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Bahrami: in Iran libertà represse da 40 anni

Il pianista fuggito da Teheran pubblica l’EP “In Perfect Harmony” con il proposito di contribuire a una maggiore sensibilizzazione del mondo occidentale su quanto sta succedendo nel suo Paese. «Le sofferenze del popolo iraniano che domanda la libertà non sono diverse da quelle del popolo ucraino o russo»
L’Ep “In perfect harmony”

Suo padre si chiamava Parviz Bahrami, era un ingegnere iraniano. Fu assassinato nel 1991 con l’accusa di essere un oppositore della Repubblica islamica e di aver collaborato con lo Scià. A 11 anni Ramin Bahrami fuggì dall’Iran con in testa le parole che gli ripeteva suo papaà: «Frequenta Johann Sebastian Bach… perché la sua musica potrà aiutarti molto». Non le avrebbe dimenticate mai. Tanto da cercare una nuova patria in Germania, diplomarsi in piano al Conservatorio Verdi di Milano e diventare uno dei più grandi studiosi del compositore tedesco. Fino a scrivere il libro Come Bach mi ha salvato la vita.

«Ho scritto quel libro perché credo che ogni giorno Bach salvi la vita a milioni di persone in tutto il mondo, come l’ha salvata a me, dando loro una direzione mentale, una direzione di bellezza. La sua musica è universale, annienta le razze e le bandiere, percorre tutti i sentimenti e gli stati d’animo umani. È la percezione della bellezza al servizio dell’uomo», spiega il pianista «nato 46 anni fa a Teheran, capitale dell’Iran, in una famiglia letteralmente cosmopolita. Da padre metà tedesco e metà iraniano e da mamma di origini russo-turche. In un Paese libero e pieno di vitalità, colori e sapori cangianti», sottolinea. «Poter danzare, baciarsi pubblicamente, cantare le canzoni di Michael Jackson, solo per citare alcune libertà fondamentali, sono atti repressi puntualmente da quarant’anni in quel Paese». È la denuncia del pianista cittadino onorario di Palermo. 

Perché Teheran, l’Iran, resta nel cuore del pianista. «È la cultura della Persia che mi ha insegnato il dialogo, la conciliazione con il mondo». La Persia dello Scià, non l’Iran degli ayatollah. E, come scriveva sui social, fa rabbia a Bahrami che non si parlasse più di Iran «come se nulla fosse accaduto e tutto andasse benissimo. Si è per caso risolto il problema e sono tutti felici? No, è solo che il pubblico ha fame di novità, e c’è chi gliene serve. Il sistema dell’informazione ha le sue regole. The show must go on».

Adesso la rivolta delle donne, alla quale si è aggregata la protesta per la crisi economica, ha riportato alla ribalta il Paese degli ayatollah e Ramin Bahrami vuole contribuire a una maggiore sensibilizzazione del mondo occidentale su quanto sta succedendo pubblicando l’EP In Perfect Harmony con tre brani. «Non molti anni fa Paul McCartney, fantastico artista al quale non oso paragonarmi, dedicò una bellissima canzone alla lotta contro il razzismo nel nome di una convivenza serena tra le persone di colore diverso», commenta Bahrami. «Non vi è alcuna ragione perché nel mondo razze, culture, popoli, religioni e sessi differenti non possano convivere pacificamente. Le differenze sono preziose. È un momento tremendo, in cui ai tanti focolai di guerra nel mondo se ne è aggiunto uno in Europa. Certo, è terribile vedere ciò che sta succedendo non lontano da noi, ma la tragedia russo-ucraina non deve farci dimenticare tante altre situazioni che la gente tende a rimuovere, anche involontariamente».

Il pianista ribadisce come «ciò che sta succedendo in Iran è terribile, con migliaia di donne e uomini che subiscono da troppi anni una repressione cruenta e inaccettabile: non possiamo dimenticarlo, perché le sofferenze del popolo iraniano che domanda la libertà non sono diverse da quelle del popolo ucraino o russo», continua. «Da musicista e da iraniano, con questo progetto desidero solo ricordare come le nostre culture non siano così lontane, e la musica iraniana possa affiancare in perfetta armonia e dignità quella dei grandi compositori della storia europea».

Bahrami spiega poi che «il brano di Anoushiravan Rohani, che fin da ragazzo ascoltavo ed è molto noto in Iran, ha nel suo titolo un valore per me altamente simbolico. L’auspicio è che dalle pietre possano nascere fiori, che il popolo iraniano possa finalmente godere della libertà e della pace dopo tante sofferenze e che tutti possano conoscere questa nazione per ciò che è. Eseguirò questo brano d’ora in poi in tutti i miei prossimi concerti, perché tutti, anche solo per un attimo, possano riflettere e ricordare la lotta del popolo iraniano per un mondo migliore». 

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