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TikTok killed the video star

La piattaforma detta dinamiche e ritmiche della fruizione della musica, banalizzandola. Ecco come cambia il rapporto tra l’artista e la produzione video. La protesta di un gruppo di musicisti, fra cui Halsey, FKA Twigs, Charli XCX e Florence Welch 

“Video killed the radio star” cantavano nel 1979 i Buggles di Trevor Horn e Geoff Downes. Nell’agosto di due anni dopo il video di quella canzone avrebbe inaugurato le trasmissioni di MTV, dando il via a una nuova era musicale. Da quel momento il video avrebbe assunto un ruolo fondamentale come strumento promozionale, innescando un dibattito sulla prevalenza del fattore immagine su quello della musica. Cominciava l’era del look. Sulla scia di questa nuova moda, gruppi come i Duran Duran arrivarono ai vertici delle top ten. In un saggio del 1984, il critico cinematografico Kenneth Turan di Rolling Stone parlava della nascita di «una generazione di drogati di sensazioni, di affamati di gratificazione con tempi di attenzione atrofizzati» (suona familiare?). Nel libro del 2011 di Craig Marks e Rob Tannenbaum, I Want My MTV: The Uncensored Story of the Music Video Revolution, vengono riportate le parole del produttore Rick Rubin: «In un certo senso, MTV ha danneggiato la musica, in quanto ha cambiato ciò che ci si aspettava da un artista. Il lavoro è cambiato. È diventato un lavoro per controllare la tua immagine».

Duran Duran – Save a Prayer

L’immagine, ovviamente, era già un elemento importante del pop, chiedi a David Bowie o ad Andy Warhol. Ma i video musicali hanno acuito l’attenzione al look e alla grafica. Clip emblematiche di Michael Jackson e Madonna hanno definito la star telegenica, trasportando lo spettatore in un’altra realtà: quella di ballerini di zombi o amanti messianici. Con il passare dei decenni, il formato si è rivelato una forma d’arte moderna. Dal montaggio spoglio di Sinéad O’Connor alle meraviglie di Lose Control di Missy Elliott, i fantastici video musicali sono stati composti con la stessa cura delle loro canzoni.

Michael Jackson – Thriller

Ancora oggi i video continuano ad avere sempre più una funzione importante nel lancio di una canzone. Devono, però, adattarsi alle nuove tecnologie che stanno via via sostituendo la televisione. Se inizialmente era MTV il canale di diffusione, poi lo è diventato YouTube, adesso sono i social a dettare dinamiche e ritmiche della fruizione della musica, con un effetto invasivo sul lavoro dell’artista. Tempi accorciati, ritmi più frenetici, tematiche più intime e, soprattutto, una presenza continua. Twitter, Instagram e Facebook hanno aperto nuove strade agli artisti per entrare in contatto con i fan, senza tuttavia mutare l’estetica dei video musicali. L’arrivo di TikTok, invece, ha avuto conseguenze devastanti. Ciò che ha senso su TikTok potrebbe non avere senso sulle vecchie piattaforme. TikTok distilla la musica in un breve frammento con cui puoi cantare, ballare o eseguire uno sketch comico.

Su TikTok, le nuove canzoni hanno successo o falliscono in base alla capacità con cui invogliano gli utenti a eseguire alcune prodezze slapdash: un semplice ballo, un cambio di costume proveniente dall’armadio della camera da letto, una confessione carina o da far rabbrividire. Con una base di utenti giovane e in forte espansione, TikTok è diventato un ecosistema di promozione musicale di estrema importanza. Quell’ecosistema prospera su un disordine calcolato.

Tutti gli elementi che hanno fatto il successo di TikTok li rintracciamo nel video 7/11 di Beyoncé dell’inverno 2014. Si vede la regina della black music fare bizzarre movenze di danza sulla terrazza di un hotel, poi balzare su un letto sgualcito e tra i banconi del bagno ingombra di prodotti che potresti trovare, infine ballare nel corridoio. Ogni scatto potrebbe essere stato catturato dalla stessa Beyoncé, utilizzando un iPhone. Le risate e gli errori apparenti erano abbondanti. Ricco di dettagli e tagli rapidi, 7/11 è stato un colpo di genio che ha avuto un grande effetto sul pubblico. Il video consente agli spettatori di assecondare i desideri umani profondi di curiosare nelle camere da letto di altre persone e di entrare in contatto con le celebrità come se fossero parenti. Tutti sanno che non possono essere Beyoncé, ma quando guardano questo video spensierato, potrebbero dimenticarlo.

Beyoncé – 7/11

I social, e in particolar modo TikTok, hanno cambiato l’ideologia del pop, hanno costretto le star a diventare più confessionali, più conoscibili. Lo stile di scrittura colloquiale di Olivia Rodrigo o di Billie Eilish, ad esempio, deriva dall’intimità di chattare con la tua migliore amica. Artisti sconosciuti hanno costruito l’inizio della loro avventura nel mondo musicale senza passare per altri sistemi che non TikTok. Più di Instagram, che privilegia vanità e bellezza, e di altri social, questo è il regno del cazzeggio puro e offre a una piccola canzone o a una danza la possibilità di ottenere i fatidici quindici minuti di popolarità: molti brani, attraverso la colonna sonora di TikTok, raggiungono la cima della classifica Viral 50 di Spotify con la stessa rapacità con cui King Kong scala l’Empire State Building.

Ogni mese quasi 15 milioni di italiani accedono alla piattaforma, cioè oltre un terzo di tutti quelli che si collegano a Internet nel nostro Paese. Non che fossero necessari i numeri per capirlo, per avere la conferma che tutto quello che passa dall’app controllata da ByteDance diventa un fenomeno, che sia la Prof di Cörsivœ, un brano della scuola neomelodica napoletana di fine anni Novanta (Povero gabbiano del catanese Gianni Celeste) o il feed dei Per Te che fanno ballare la cumbia colombiana senza quasi muovere un passo.TikTok rende il mondo della musica più banale, in alcuni casi lo fa suonare anche in questo modo. Una moda passeggera sono le canzoni che prendono espedienti adatti all’asilo – un conto alla rovescia, un effetto sonoro – e aggiungono volgarità per adulti, creando un cocktail di riconoscibilità. Abcdefu di Gayle, un successo di Billboard Hot 100 del 2021, è l’esempio più nitido: riscrive l’alfabeto come una ringhiosa nota di rottura. Brani come Build a Bitch di Bella Poarch e 10 Things I Hate About You di Leah Kate hanno formule tali da suscitare reazioni e parodie.

Gayle – abcdefu

Abcdefu ha fatto tendenza anche per un altro motivo. L’anno scorso, Gayle, allora una cantautrice sconosciuta, aveva chiesto ai suoi fan idee per le canzoni. Un commentatore le ha suggerito di scrivere una melodia basata sull’alfabeto e Gayle ha obbedito, cantando con la chitarra acustica da un bagno. Incredibile retroscena per un successo globale? Non proprio. Altri creatori di TikTok alla fine hanno ammesso che il suggerimento dell’alfabeto era arrivato da un responsabile marketing della Atlantic Records, che da poco aveva ingaggiato Gayle.

Storie simili si sono ripetute tante volte sulla piattaforma. Anche quando Halsey si è lamentato di TikTok, gli utenti hanno ipotizzato che la lamentela avesse lo scopo di creare quel momento virale che l’etichetta della star aveva voluto. Halsey ha respinto tali accuse, solo costruendo ulteriore intrigo attorno a una canzone inedita. Il ciclo è vertiginoso e paralizzante: il fascino dell’autenticità invita al fascino e poi, inevitabilmente, allo scetticismo. Per tutto il tempo, la verità e la fiducia sono destabilizzati. Forse la vecchia idea che il pop viva sull’artificiosità si sta solo evolvendo. I post di Charlie Puth, un maestro trentenne della sdolcinatezza radiofonica, sembrano un po’ come una performance art postmoderna. I suoi video fondono l’abietto nerdismo, l’oggettivazione e la promozione in modo così frenetico che Puth sembra oscillare tra l’essere umano reale e la caricatura. Per mesi, ha coinvolto gli spettatori mentre costruiva una canzone attorno al suono di un interruttore della luce che veniva azionato. Era solo uno stratagemma messo in scena per accumulare clamore per un singolo che era già stato scritto?

Charlie Puth – Light Switch

Si potrebbe immaginare che le popstar siano sollevate dalle richieste apparentemente poco esigenti di TikTok. Piuttosto che essere costrette a sfoggiare i propri corpi per un video ad alto budget, possono semplicemente comportarsi in modo sciocco nel loro accappatoio o nel cortile di casa. Alcuni artisti sono bravi a fare questo genere di cose. Lizzo sembra felice di filmarsi impettita su un tapis roulant. Lil Nas X sembra dedito all’uso della sua fotocamera selfie mentre è a torso nudo.

Negli ultimi tempi, un gruppo di artisti affermati ha accusato la piattaforma di essere uno ostacolo e di rendere più estenuante il loro mestiere. A puntare il dito contro TikTok, ma soprattutto contro l’uso massiccio al quale ricorre l’industria discografica, sono stati, tra gli altri, Halsey, FKA Twigs, Charli XCX e Florence Welch. Halsey ha condiviso un messaggio con i fan: «Fondamentalmente ho una canzone che amo che voglio pubblicare il prima possibile», ha scritto la musicista americana. «Ma la mia etichetta discografica non me lo permette: sostiene che non posso pubblicarlo a meno che non lo faccia diventare virale su TikTok». E soltanto quando “So Good” è diventato virale sulla piattaforma del cazzeggio la Capitol Records ha annunciato in un post su Twitter rivolgendosi all’artista che si sarebbe «impegnata a pubblicare» il brano.

«L’etichetta mi ha chiesto di fare il mio ottavo tiktok della settimana», si è lamentato Charli XCX. Mentre con un sospiro Florence Welch canta una canzone a cappella per soddisfare le presunte richieste della sua etichetta di «tik toks low fi». FKA Twigs, in un video presto cancellato, ha rivelato di essere stata rimproverata per non aver fatto abbastanza sforzi sulla piattaforma. Ora il pubblico, o, meglio, il mercato della musica vuole che le stelle siano più piccole, più normali. Vogliamo davvero che i nostri intrattenitori siano absolute beginners o disperati? Siamo troppo cinici e distratti per goderci l’evasione musicale sul grande schermo? Beyoncé non pubblica un album da solista in studio dal 2016, anno in cui è iniziato TikTok, e soltanto quest’anno dovrebbe uscire con un disco. Ha un account sulla piattaforma, ma al momento non ha pubblicato nulla. C’è qualche segno più chiaro che viviamo in un’epoca di disincanto? Purtroppo, come cantavano più di quarant’anni fa i Buggles (band meteora come tanti artisti usciti dai social), «non possiamo riavvolgere, siamo andati troppo oltre».

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