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The National: rinati grazie all’amicizia

Dopo il tour del 2019 che l’aveva portata all’Ypsigrock di Castelbuono, la band di Cincinnati ha attraversato un lungo periodo di crisi. “First Two Pages Of Frankenstein” è il meraviglioso fiore spuntato fuori dalle macerie. «Ci possono essere momenti in cui tutti nella band possono prendere direzioni diverse e poi altre volte possono appoggiarsi l’uno all’altro e questo è sicuramente il disco nel quale noi ci appoggiamo l’uno all’altro»
La band The National

«Molte delle più grandi band rock non sono mai arrivate a dieci anni», osservava Bryce Dessner, chitarrista dei The National pochi giorni prima di salire sul palco dell’Ypsigrock Festival a Castelbuono. Era il 2019, era appena uscito l’album I Am Easy to Find che poteva essere il punto di arrivo della band di Cincinnati. «Da tempo pensavamo di fermarci. Con questo album abbiamo raggiunto tutti i “cliché rock’n’roll”», confermava il frontman Tom Berninger. «Abbiamo solo bisogno di riavviare tutto. Gli ego, i desideri, le ambizioni creative: ognuno ha la sua sfida personale da portare avanti. Dopo questo album ci sarà probabilmente una lunga pausa». E, pochi giorni dopo il concerto del 9 agosto 2019 a Castelbuono, complice una separazione forzata dalla pandemia e il blocco creativo per Berninger, l’avventura dei The National sembrava al capolinea.

Come in tutte le relazioni, non c’è mai un grande fallimento, ma l’accumulo di rancori e momenti che possono alterare irrevocabilmente un rapporto. Tuttavia, il gemello di Bryce, Aaron Dessner, ha sempre creduto che sarebbero potuti tornare insieme. 

First Two Pages Of Frankenstein è il meraviglioso fiore spuntato fuori dalle macerie. È l’album dal suono più classico che hanno pubblicato in quasi un decennio. The National – ovvero Berninger, i gemelli Dessner e dai fratelli Scott e Bryan Devendorf – si sono ritrovati andando alle origini del suono che l’aveva trasformata nella “più grande band di culto del pianeta”. Accadeva mentre Aaron co-produceva gli album di Taylor Swift Folklore e Evermore nel 2020 e lavorava su Subtract di Ed Sheeran.

Canzone simbolo di First Two Pages Of Frankenstein, in uscita il 28 aprile, è il singolo Eucalyptus. Che può essere letto in diversi modi. L’interpretazione più letterale è chiara: l’imbarazzante e triste separazione dai ricordi di una relazione fallita. Come si chiede il frontman Matt Berninger “chi si terrà i dischi dei Cowboy Junkies e degli Afghan Whigs? E lo schermo tv? E gli strumenti? Forse dovremmo seppellirli?”. Ma dal brano filtra il tumulto intorno alla creazione dell’album. Quando canta di non essere la persona giusta per prendersi cura di quei beni perché «lo romperò solo», non è difficile immaginare che stia parlando di loro, dei suoi fratelli, in equilibrio precario.

First Two Pages Of Frankenstein è un disco di grande sensibilità, toccante, che oscilla tra intime ballate per pianoforte (Once Upon A Poolside) e assoli di chitarra epici (Tropic Morning News). I New Order fanno capolino non solo sulla maglietta di New Order T-Shirt. La ninna nanna di chiusura Send for Me è una ballata ariosa e tenera suona come Sometimes You Can’t Make It on Your Own degli U2 o Fix You dei Coldplay. Entrambi i Dessner lo paragonano a Boxer e Trouble Will Find Me.

«Questo disco per me – e per tutti noi – sembra il culmine di tutto ciò che abbiamo imparato. Esteticamente, siamo davvero orgogliosi del lavoro fatto», afferma Bryce. «Suoniamo più come noi stessi forse di quanto abbiamo fatto negli ultimi tempi».

Nel disco è presente Taylor Swift che appare in The Alcott, un duetto sottile tra Berninger e l’icona pop. The National e la bionda cantante si erano incontrati più di dieci anni fa nel backstage del Saturday Night Live e da allora hanno mantenuto un dialogo aperto. Taylor Swift non è l’unica ospite nel disco: Phoebe Bridgers presta la voce nei cori di due brani, così come Sufjan Stevens in Once Upon A Poolside

È questo ecosistema di relazioni personali che li mantengono forti e appassionati anche di fronte alle turbolenze all’interno della band: «Non credo che la band sarebbe arrivata così lontano senza amici», dice Aaron. «È strano avere una relazione intima e platonica con cinque persone e poi una gigantesca comunità intorno a questo. Ci possono essere momenti in cui tutti nella band possono prendere direzioni diverse e poi altre volte possono appoggiarsi l’uno all’altro e questo è sicuramente il disco nel quale noi ci appoggiamo l’uno all’altro».

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