Interviste

Terry Gilliam: è un mondo senza ironia

– Il celebre regista ospite di Matera Film Festival, protagonista di una masterclass e di una retrospettiva 
«Il mondo ha finito per raggiungere la mia visione di distopia. Le persone oggi hanno più timore di esprimere il proprio pensiero, di far sentire la propria voce»
«I Monty Python sono stati una esperienza irripetibile». «Il mio miglior film? Scriveranno “Brazil” sulla tomba, ma “Tideland” è unico»
Il regista Terry Gilliam incontra la stampa nel panorama dei sassi di Matera

Terry Gilliam è come i suoi film, capace, forse fra pochissimi, di dire la propria su qualunque cosa, anche a costo di risultare fuori dal coro e stonato rispetto alla massa. Sempre però con il sorriso sulle labbra. Perché è sì un maestro d’improvvisazione e di rigore, ma anche di goliardia e ironia. Quella «che oggi sembra essere scomparsa», come si lamenta durante l’incontro con la stampa organizzato fra i Sassi di Matera, dove è protagonista di una masterclass e di una retrospettiva. 

«Mi sono informato prima di venire qui», debutta. «Ho letto che una volta Matera era considerata la “vergogna d’Italia”. Sono rimasto sorpreso alla vista di una città così bella, scolpita nelle pietre. È una città organica, con un progetto urbanistico costruito non solo dai cittadini, ma dal caos dell’umanità», ridacchia. «Ambientare qui un film? Perché no. Ho una sceneggiatura per un film satirico, potrei darle una ambientazione italiana…».

La retrospettiva dedicatagli dal Matera Film Festival ha abbracciato tutto l’arco della carriera dell’ex Monty Python. Un cinema che sa di impresa epica. Questo è il bello di ogni lavoro, fin dal’inizio e dai Monty Python in tv, «la mia fortuna», la chiama. «Mi hanno lanciato. Da lì è arrivato il successo, ho fatto un film, Monty Python e il Sacro Graal, insieme a Terry Jones», ricorda Gilliam. «Oggi non sarebbe più possibile rimetterli insieme. I 2/3 dei Monty Python vivono, ma il restante non c’è più (Terry Jones è morto due anni fa, nda). Erano la reazione chimica di una combinazione unica, impossibile da ripetere se non ci sono tutti gli elementi. Era qualcosa di speciale». E la malinconia viene subito spazzata via dalla battuta: «Comunque potete comprare i dvd dei nostri show, così contribuite a ripulire l’ambiente evitando che finiscano nell’immondizia».

È impossibile non aver visto almeno una volta un film di Terry Gilliam. Parliamo di Banditi del tempo (Time Bandits), del quale si stava realizzando una serie tv firmata da Taika Waiti “bocciata” però da Gilliam, i capolavori di Brazil, Le avventure del Barone di Münchausen, La leggenda del re pescatore, Paura e delirio a Las Vegas, L’esercito delle 12 scimmie, sconfinando oltremodo dalla trilogia dell’immaginazione, attraverso I fratelli Grimm e l’incantevole strega, Parnassus, Tideland – Il mondo capovolto, fino a The Zero Theorem. 

«Brazil è il titolo che scriveranno sulla mia tomba», sghignazza. «Tideland è però più unico. Per farlo cercavo un ragazzino che rispecchiasse il fanciullo che è in me. Ironicamente ho trovato che il fanciullo che è dentro di me era una ragazzina. Ho anticipato i tempi».

Mondi capovolti e surreali, specchianti e distopici, in cui i protagonisti danzano e recitano “furiosamente”, perché orchestrati da un autore indomito, incapace di arrendersi, incapace di cedere al sistema e alle convenzioni. Un autore-idealista, dai valori forti, un gran sognatore, un po’ come il suo Don Chisciotte, portato faticosamente sul grande schermo dopo mille peripezie, cambi di location, di cast, da Johnny Depp ad Adam Driver come protagonista. 

Quando Don Chisciotte ti entra in testa, si diventa come lui: sogna e cade, sogna e cade. E diventi un fallimento come lui. Anch’io fallivo e ritentavo. Sono triste che Don Chisciotte non viva più dentro di me. Lui, nonostante le sconfitte, credeva che il mondo fosse bellissimo. Non è più dentro di me, perché oggi penso che il mondo non è così bello

Terry Gilliam

«Il personaggio di Cervantes è molto pericoloso», sottolinea il regista. «Quando ti entra in testa, si diventa come lui: sogna e cade, sogna e cade. E diventi un fallimento come lui. Anch’io fallivo e ritentavo. Sono triste che Don Chisciotte non viva più dentro di me. Lui, nonostante le sconfitte, credeva che il mondo fosse bellissimo. Non è più dentro di me, perché oggi penso che il mondo non è così bello». 

Forse un rimpianto per Gilliam è il mancato premio Oscar   per Robin Williams nel film La leggenda del re pescatore. Probabilmente legato alla sua fuga dall’America, dov’è nato nel 1940, per trasferirsi in Gran Bretagna con una scia di critiche alla sua patria. «Mi sono separato dall’America dopo che Bush fu eletto per la seconda volta. Sono rimasto lontano dagli USA per dieci anni e questo ha ucciso la mia carriera con Hollywood. Il paradosso è che quando sono diventato inglese al 100% con passaporto britannico e quindi europeo, poco dopo c’è stata la Brexit. Adesso la Gran Bretagna rischia di diventare una nuova Atlantide, sta sprofondando nell’Atlantico. La Brexit è stata un disastro».

Terry Gilliam, regista, sceneggiatore, comico, animatore, scrittore, produttore cinematografico e scenografo statunitense naturalizzato britannico, 82 anni

L’altro rimpianto è quello di non essere stato lui il regista di Unforgiven (Gli Spietati) di Clint Eastwood. «Appena sono uscito dal cinema dopo averlo visto mi sono detto: “Dannazione, morirei pur di fare un film così straordinariamente bello”. E dire che lo sceneggiatore è lo stesso che ha lavorato con me nel film L’esercito delle 12 scimmie».

Un ultima considerazione riguarda l’elemento distopico che caratterizza i suoi film. Ed è un’analisi amara. «Il mondo ha finito per raggiungere la mia visione di distopia. Le persone oggi hanno più timore di esprimere il proprio pensiero, di far sentire la propria voce. Le parole rischiano di diventare un crimine. L’ironia sembra essere scomparsa dal mondo quotidiano».

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