Storia

Su Sky storie rock di “donne che spaccano”

Dall’8 marzo una serie di documentari in quattro parti su icone musicali femminili, uniche e pionieristiche, artiste intrepide che hanno rivoluzionato il mondo della musica. Da Ma Rainey a Billie Eilish

Da Billie Holiday a Billie Eilish il ruolo della donna nella storia della musica ha cambiato completamente volto. C’è voluto quasi un secolo per liberarsi da stereotipi e imposizioni di mercato, e ci vorrà ancora tempo per scardinare gerarchie maschili che continuano a determinare i ruoli ai vertici dell’industria discografica, ma enormi passi avanti sono stati fatti da una Billie all’altra.

Alla donna la cultura musicale occidentale ha sempre concesso un ruolo abbastanza marginale: l’ha accettata come interprete, ma l’ha rifiutata come creatrice. È accaduto anche nell’ambito del jazz e del rock, fatte rare eccezioni: Joni Mitchell, Laura Nyro e Joan Armatrading, mosche bianche in un panorama dominato dagli uomini. Neanche le “streghe” del femminismo anni Settanta sono riuscite a imprimere una inversione di rotta.

Paradossalmente fu, invece, il punk trucido, iconoclasta e antifemminista a spalancare le porte alle donne. Nella furia distruttiva del punk, le rockeuse trovarono un alleato per stravolgere i tradizionali canoni della femminilità, usandoli come materiale per parodie, rivendicazioni e feroci critiche. La Madonna di Like a virgin fu la capofila di un nutrito drappello di donne che avevano deciso di non sottostare alle abitudini del mercato, di non fasciarsi in abiti da sera, di non esibire decolleté e, soprattutto, di tirare fuori gli artigli per sfidare le gerarchie maschili dell’universo musicale. 

Oggi il rock ha le sue “riot grrrls”. Angeli, sacerdotesse, ragazze impertinenti. “Bad girl”, cattive ragazze. Giovani e spregiudicate. Cariche di eros e di rabbia. Pallide e vulnerabili. Forti, indipendenti, anticonformiste, trasgressive. Sono tutto ciò che vogliono, sono allergiche ai ruoli di fidanzata, mamma, amante, puttana, sexy. Sono molte meno incazzate rispetto alle “streghe” degli anni Settanta, ma assai più razionali e concrete. Non sono dive, né ambiscono a diventarlo. Non sono bellone sexy e appariscenti. Vogliono piacere soprattutto a se stesse. Non esibiscono l’eros in modo sfacciato stile Madonna o Janet Jackson. Piuttosto, è il modo con cui la loro voce abita il corpo a scatenare brividi di sensualità e ondate di emozione, è la capacità di usare la musica per far parlare il corpo, di esplorare senza pudori i fantasmi del desiderio. Non hanno tentato di imitare modelli maschili (come Chrissie Hynde o Taylor Swift), ma si sono imposte con la propria personalità, i propri sentimenti, la propria sensibilità: possono far ondeggiare la platea raccontando episodi di abusi tremendi o tenere storie d’amore. Sono mischiate tra la folla, non hanno referenti politici o ideologici alle spalle: i loro modelli sono Eva e la Maga Circe, Elena di Troia e Messalina, Mae West e Janis Joplin, Sharon Stone e Patti Smith, Thelma & Louise e Anna Magnani. Sono sole. Ballano da sole. Però sanno di potercela fare, a dispetto del conformismo.

Un esempio emblematico di questa tendenza è rappresentato dalla scena del rap, tradizionalmente dominata dagli uomini. Negli ultimi anni, alcune artiste hanno guadagnato un grande successo e una grande popolarità, come Cardi B, Megan Thee Stallion, Lizzo e tante altre. Queste artiste hanno portato una nuova energia e un nuovo stile alla scena hip-hop, dimostrando che le donne possono essere tanto forti, potenti e autentiche quanto gli uomini.

Ma le donne hanno lasciato il loro segno in molti altri generi musicali, dal rock al jazz, dal pop al country. Ci sono molte artiste donne che hanno fatto la storia della musica, come Janis Joplin, Nina Simone, Joni Mitchell, Madonna, Aretha Franklin, Beyoncé e molte altre. Queste donne hanno sfidato gli stereotipi di genere, hanno affrontato le difficoltà e le discriminazioni, e hanno ispirato milioni di persone in tutto il mondo. 

Per le donne quasi tutto richiede un impiego di energie, di intelligenza, di creatività e una tenacia che non vengono richieste agli uomini. Sul palco salgono donne straordinarie. Ma, appunto, sono straordinarie. Il punto è che troppo spesso una donna deve essere dieci passi avanti rispetto a un uomo per poter trovare il suo spazio

Carmen Consoli
Carmen Consoli

«Per le donne quasi tutto richiede un impiego di energie, di intelligenza, di creatività e una tenacia che non vengono richieste agli uomini», ha commentato Carmen Consoli. «Sul palco salgono donne straordinarie. Ma, appunto, sono straordinarie. Il punto è che troppo spesso una donna deve essere dieci passi avanti rispetto a un uomo per poter trovare il suo spazio».

Di donne straordinarie, di donne che hanno scritto pagine importanti nella storia del rock parla Women who rock, serie di documentari in quattro parti da mercoledì 8 marzo alle 21.15 su Sky Documentaries, in streaming solo su NOW e disponibile anche on demand.

https://app.shift.io/review/63f78c1e6e058c42261979c5/a32325de-b9da-40db-b1a7-6a9938355a4d

L’8 marzo s’inizia con un doppio appuntamento: nel primo episodio Mavis Staples, attraverso il blues di Chicago, il gospel e il soul, racconta di leggende del passato come Ma Rainey, Sister Rosetta Tharpe, Wanda Jackson e Aretha Franklin e spiega come queste vere pioniere abbiano aperto le porte a un futuro che include il glorioso debutto di Janis Joplin al Monterey Pop. Nel secondo episodio Tori Amos, Susanna Hoffs, Norah Jones, Kate Pierson, Tina Weymouth, Joan Jett, ci guidano attraverso un’era di musica fatta da donne che ha preparato il terreno per la ribellione dell’era punk.

Nel terzo episodio Pat Benatar, Nancy Wilson e Aimee Mann raccontano un epico cambiamento culturale, quando MTV ha esercitato un’enorme pressione sulle artiste affinché utilizzassero la loro immagine per vendere dischi. Infine, nell’ultimo episodio, Sarah McLachlan e Sheryl Crow, Bjork, Taylor Swift, Gwen Stefani e Billie Eilish riflettono su come le donne possono ottenere il successo quando lavorano insieme e tutto il cast spiega cosa significhi essere una “donna che spacca”.

Negli ultimi anni si assiste a un’altra rivoluzione. Se in Italia l’indie è tutto d’impronta maschilista, con testi che mischiano frasi degne del miglior Marco Ferradini declinate con un’estetica romantica e adolescenziale, oltr’Alpe invece avanza un esercito di ragazze toste. A capeggiarlo è Billie Eilish, ormai diventata quasi una stella. Dietro di lei giovanissime sconosciute, i cui nomi però circolano nelle playlist Spotify delle adolescenti o nelle classifiche di vendita internazionali. Non sono Lolite, né sex symbol, alcune sono lgbtq. Sono voci esili, adolescenziali, multiculturali. Accompagnandosi con una strumentazione scarna, essenziale, cantano melanconiche armonie, testi che mescolano storie personali e problematiche sociali, ambientaliste. 

Apparentemente indipendenti, innovative e fortemente aggrappate al posto di guida, hanno trovato un nuovo livello di successo alle loro condizioni e non a quelle del mercato. Molte di queste nuove artiste non hanno praticamente alcun profilo mediatico, nessun passaggio radiofonico, la maggior parte neanche un contratto discografico e rilasciano a malapena interviste.  È un pop underground, un universo musicale alternativo e innovativo.

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