Il film di Darren Aronofsky con Brendan Fraser nei panni di un personaggio con un corpo di 270 chili è stato fra i più visti dello scorso weekend. Affronta con serietà un problema d’attualità: la grassofobia. Nel mondo il 50% degli adulti è sovrappeso
Per interpretare un personaggio con un corpo di 272 chili in The Whale, il film sorpresa della settimana, l’attore Brendan Fraser ha indossato protesi pesanti stampate in 3D e realizzate a mano fino a ogni poro, ruga e capelli. «Non chiamatelo vestito grasso», ha tenuto a sottolineare il regista Darren Aronofsky. «Penso che sia un termine terribile. È offensivo per molte persone. Ma è anche impreciso: è il trucco. È una protesi».
Il film candidato all’Oscar
Il linguaggio ingannevole è solo un esempio dell’opera di bilanciamento che il cineasta ha tentato con The Whale. Creare il ritratto di Charlie, un uomo alle prese con un’insufficienza cardiaca legata all’obesità, rinchiuso in un appartamento dal quale si vergogna di uscire. Il personaggio del signor Fraser è un uomo gay il cui dolore per la morte del partner è precipitato in una grave obesità. La storia si svolge nei confini dell’appartamento di Charlie, dove lasciare il divano comporta per lui prove di forza ed equilibrio. Per il suo lavoro di insegnante di scrittura su Internet, tiene spenta la fotocamera per nascondersi dagli studenti.
Oltre a un ragazzo delle consegne invisibile che lascia le pizze davanti alla porta, l’unico visitatore abituale di Charlie è Liz (Hong Chau), un’infermiera che informa la sua migliore amica che sta morendo di insufficienza cardiaca congestizia. Negli apparentemente ultimi giorni della vita di Charlie arrivano due forze: un giovane missionario cristiano (Ty Simpkins), deciso a salvargli l’anima, e la figlia adolescente di Charlie (Sadie Sink), con cui cerca disperatamente di riconciliarsi.
Ai festival di Venezia e Toronto, il film ha ricevuto un’accoglienza entusiastica da parte del pubblico. È stato nominato per il Golden Globe come miglior attore, cerimonia alla quale Brendan Fraser non ha partecipato per aver accusato un ex presidente della Hollywood Foreign Press Association, che gestisce i Globes, di averlo palpato nel 2003. E adesso è candidato agli Oscar.
L’obesità nel mondo e la “grassofobia”
Il successo del film è probabilmente legato al fatto che affronta un tema di grande attualità e, secondo la World Obesity Federation, può essere uno stimolo per la prevenzione del sovrappeso e dell’obesità e per la sensibilizzazione sull’argomento e sulla malattia. Come dichiara il regista del film, «mostra al pubblico un ritratto di una umanità raramente e negativamente rappresentata dai media».
La grassofobia è una «discriminazione sistemica» delle persone grasse, perché attraversa tutti gli ambiti sociali possibili, costantemente: lavoro, scuola e anche sanità. Da questa originano anche le difficoltà di riconoscere l’obesità come patologia e non come vizio, mancanza di forza di volontà o autodisciplina. Le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rivelano che sono sovrappeso (oppure obesi) il 50% degli adulti e il 30% dei bambini e adolescenti del Pianeta. In Italia sono 18 milioni gli adulti in sovrappeso (35,5%) e 5 milioni (secondo Italian Obesity Barometer Report) quelli obesi, ovvero una persona su dieci.
Secondo Edoardo Mocini, medico chirurgo specialista in Scienza dell’Alimentazione ricercatore della Sapienza al Policlinico Umberto I, autore del libro Fatti i piatti tuoi (Rizzoli), «il numero delle persone affette da obesità nel mondo sfiora ormai il miliardo. Affrontare il tema in maniera stigmatizzante e semplicistica, concentrandoci solamente sulle cause individuali, ha dimostrato di non riuscire né ad invertire la tendenza globale né a migliorare la salute dei pazienti. È importante piuttosto riconoscere le numerose cause ambientali che non sono sotto il controllo dei pazienti e permettere loro di accedere a cure mediche specialistiche, che non consistano in indicazioni vaghe ed aspecifiche sul migliorare la propria alimentazione ed aumentare l’attività fisica ma in vere terapie multidisciplinari: dietoterapiche, psicologiche, farmacologiche».
Il ruolo dei social media
Secondo un sondaggio, promosso dall’americana Allurion e condotto da YouGov, che indaga su come gli italiani vedono e percepiscono il problema del sovrappeso e dell’obesità tramite i social media, è Instagram il social più rilevante nel divulgare informazioni su come affrontare obesità e sovrappeso, segue Facebook e quindi solo per i più giovani Tiktok. Più di un terzo dei nostri connazionali (35%) ritiene che almeno uno fra i tre social abbia un ruolo molto rilevante in questa divulgazione. Inoltre, gli italiani ritengono che durante la pandemia nei social media sia cresciuta l’attenzione per le tematiche legate all’obesità in particolare su Instagram, seguito da Tiktok.
Il 49% degli italiani ritiene che media e social media poco rappresentino persone sovrappeso e obese, spesso in modo negativo o addirittura comico, un ruolo particolarmente negativo è quello di Tiktok percepito dal 51% degli italiani come il social che peggio rappresenta questa fascia di popolazione. Del resto nel maggio scorso TikTok ha dovuto eliminare una challenge terribile, la “Boiler Cup”, una sfida tra ragazzi con l’obiettivo di «prendere di mira ragazze grasse a scopi sessuali e con l’intento di umiliarle, denigrarle e deriderle», come denunciavano Chiara e Mara, le due autrici della pagina Instagram Belle di faccia (se non le conoscete vi consigliamo di seguirle, parlano di body shaming e grassofobia). I contenuti di questi video riprendono queste ragazze mentre ballano e senza il loro consenso le pubblicano online con tanto di didascalie ironiche. Molte e molti creator, per fortuna, hanno apertamente condannato la challenge contribuendo a sollevare un polverone che ha permesso a TikTok di intervenire per rimuovere molti dei contenuti.
Tornando a The Whale, l’interpretazione di Brendan Fraser fa ben capire come lui abbia fatto suo ciò che sta dietro ai problemi di peso, partendo dalle motivazioni che portano qualcuno a non essere più padrone del proprio corpo. Queste persone oggi chiedono un aiuto importante ai social media, responsabili di una negativa percezione della malattia: prima di tutto sono richieste attività di divulgazione da account istituzionali soprattutto su Facebook (48% degli italiani), mentre su Instagram il 37% degli interrogati si aspetta campagne di sensibilizzazione. In generale semplicemente dare maggiore visibilità nei social a persone obese o sovrappeso può aiutare a combattere questo stigma (complessivamente lo pensa il 40% – a prescindere dal social network).
Qualcosa si fa: Lara Lago, ad esempio, conduce su Sky la rubrica sulla body positivity Caro Corpo e su Tik Tok e Instagram con la GRassegna racconta la rassegna stampa delle notizie grassofobiche e dai social e dai talk show televisivi è attiva nella lotta agli stereotipi, per una società più giusta ed inclusiva senza grassofobia e conduce incontri come quello a febbraio, organizzato da WeWorld a Milano dal titolo “Quanto ci aiuta la body positivity?”.
La graphic novel “A volontà”
Come scrivono le autrici Madamoiselle Caroline e Mathou del graphic novel A volontà – Giornata semi-vera in compagnia di due amiche che sfidano i pregiudizi sulla grassofobia (Edizioni Lswr), «quando avremo veramente capito che il peso non è una scala di valore, che io non sono un numero sulla bilancia, che non sono una sfigata, che prendere peso non vuol dire sprecare la tua vita, che la grassofobia rende la gente più grassa e più triste, che nessuno decide se sono bella, sexy e adorabile… Quando capiremo tutto questo e saranno diventate parole capite, assimilate, digerite alle quali aderiremo completamente senza dirci “Oh si, però se perdessi qualche chilo sarei una persona migliore… “, quel giorno sarà una grande vittoria».
A volontà è il racconto ironico della loro giornata: la voglia di pranzare senza rinunciare al dolce; le taglie dei vestiti che vorrebbero acquistare ma che non vanno bene; gli appuntamenti con medici che sembrano non capirle; le battute di amici e sconosciuti sul loro peso, anche durante le feste. Al giungere della sera, però, le due autrici portano il lettore a fermarsi, un attimo, per riflettere: cosa c’è dietro la loro incapacità di seguire una dieta? Cosa si nasconde dietro la loro voglia di cercare sempre del cibo? Semplice: ci sono situazioni, vissuti e problemi che nessuno conosce, se non le dirette interessate. E che le porta a non poter rinunciare a determinati sfizi e abitudini alimentari (anche scorrette) non senza della sofferenza. C’è anche una società che non lascia spazio a chi non rientra nei canoni di bellezza imposti. Una delle due autrici mostra come provi da sempre ad accettarsi così per come è, ma deve fare i conti con il giudizio della gente. L’altra, invece, cerca un modo per provare a dimagrire iniziando diete e andando in palestra, con scarsi risultati. Così sono diventate vittime della “grassofobia”, un vero e proprio problema sociale.
A volontà è quindi un invito a riflettere, a non giudicare e a ponderare bene quelle battute sul peso e sul corpo altrui. Battute che possono sembrare innocue, ma che spesso fanno male. Al punto che “fat-shaming”, cioè la derisione di una persona per il suo peso considerato eccessivo, è uno dei neologismi introdotti nello Zingarelli 2023.