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Storie di “numeri 1” più o meno celebri

Nel libro “The Number Ones: Twenty Chart-Topping Hits That Reveal the History of Pop Music” il giornalista Tom Breihan analizza venti canzoni che hanno raggiunto la vetta della Hot 100 di Billboard dagli anni Sessanta ai Duemila, rivelando alcuni curiosi retroscena 
L’autore Tom Berihan e la copertina del libro

Nel febbraio 1964, Paul McCartney salì a bordo di un aereo per il suo primo viaggio transatlantico a New York. Lui e i suoi compagni di band dei Beatles erano stati ingaggiati per suonare nel popolare “Ed Sullivan Show” e nella famosa Carnegie Hall. Meno di una settimana prima, I Want to Hold Your Hand, l’esuberante cantilena che aveva scritto insieme con John Lennon, aveva raggiunto il numero 1 della Billboard Hot 100.

Tuttavia, il giovane McCartney era preoccupato. La Capitol, l’etichetta americana della band, pensava così poco ai Beatles che si era rifiutata di fare uscire i loro singoli precedenti. Invece, l’etichetta di Chicago Vee-Jay aveva pubblicato Please Please Me e From Me to You, mentre la Swan Records, un’etichetta con sede a Filadelfia co-fondata da Dick Clark della televisione American Bandstand, aveva dato alle stampe She Loves You. Nessuna di queste canzoni era entrata nelle classifiche di vendita.

In quel volo Pan Am di tanto tempo fa verso la Grande Mela, McCartney sedeva accanto a Phil Spector, l’architetto del Wall of Sound e futuro produttore di Let It Be. «Dal momento che l’America ha sempre avuto tutto, perché dovremmo essere laggiù a fare soldi?», chiese McCartney a Spector. «Hanno i loro gruppi. Cosa daremo loro che non abbiano già?».

Nient’altro che una rivoluzione musicale e culturale, secondo Tom Breihan, autore del coinvolgente, illuminante e divertente The Number Ones: Twenty Chart-Topping Hits That Reveal the History of Pop Music. I Beatles, osserva Breihan, hanno aperto la strada all’invasione britannica, hanno registrato un record di venti singoli “numero 1” e hanno rivoluzionato la musica popolare.

«In termini di impatto nella musica pop, l’arrivo dei Beatles è stata una cometa che ha colpito la terra», scrive Breihan. «Se I Want to Hold Your Hand avesse annunciato semplicemente l’arrivo in America della band, sarebbe uno dei singoli più importanti di tutti i tempi. Ma I Want to Hold Your Hand ha fatto di più. Ha aperto le cateratte».

In The Number Ones, Breihan analizza al microscopio successi classici come  Baby One More Time di Britney Spears o Dynamite dei coreani BTS del 2020. Breihan seleziona sei “numero 1” degli anni Sessanta, quattro degli anni Ottanta, quattro dei Novanta e quattro degli anni Duemila. Curiosamente, presenta solo due canzoni dei Settanta, inclusa la dimenticabile hit del 1974 Rock Your Baby di George McCrae, «il primo hitmaker disco», nelle parole di Breihan.

Breihan ammette che le sue scelte non sono necessariamente le migliori Hot 100 in cima alle classifiche di tutti i tempi. Ma quelle che, secondo lui, «hanno segnato la nascita di nuovi momenti nell’evoluzione della musica pop, quelli che hanno immediatamente fatto sembrare i successi delle settimane precedenti come reliquie». Ad esempio, secondo l’autore del libro, Ice Ice Baby del 1990 sarebbe stata la prima canzone rap in cima alle classifiche. E che dire di Rapture di Blondie, che ha raggiunto il numero 1 nove anni prima e presenta un rap esteso e persino riferimenti al pioniere dell’hip-hop Fab 5 Freddy? Grande assente Satisfaction, l’iconica canzone dei Rolling Stones del 1965 che ha lanciato un migliaio di garage band e ha ispirato il rock basato sul blues per i decenni a venire? Che dire dell’assenza di punti di riferimento come Stevie Wonder, U2, Drake, Beyoncé e altri artisti famosi?

Breihan, senior editor presso il sito di notizie musicali Stereogum, scrive dall’alto della sua esperienza, trascorsa negli ultimi cinque anni a scrivere di ogni numero 1 nella storia della Billboard Hot 100, a cominciare da Poor Little Fool di Ricky Nelson nel 1958. Sono molti e divertenti i retroscena di ogni successo raccontati dall’autore. Come nel vaso di Ice Ice Baby, la sciocchezza orecchiabile che sfruttava la base ritmica di Under Pressure dei Queen e David Bowie. Come racconta Breihan, Suge Knight, un ex candidato della NFL (National Football League) e futuro criminale condannato, aveva minacciato di buttare Vanilla Ice dal balcone del suo hotel a meno che non avesse accettato di cedere alcuni dei diritti d’autore del grande successo. Mario “Chocolate” Johnson, un rapper di Dallas e uno dei clienti di Knight, aveva affermato di aver scritto Ice Ice Baby e altre canzoni di Vanilla Ice ma non era mai stato pagato. Un Vanilla Ice terrorizzato acconsentì rapidamente alle richieste di Knight, che sfruttò la manna finanziaria per co-fondare la Death Row Records, lanciare la carriera solista di Dr. Dre con il blockbuster The Chronic e diventare manager di Snoop Dogg e 2Pac. In sostanza, il successo di Vanilla Ice ha contribuito a gettare le basi per il gangsta rap che ha ucciso la sua carriera.

Attraverso Buy U a Drank (Shawty Snappin’) di T-Pain, che ha raggiunto il numero 1 per una settimana nel maggio 2007, Breihan racconta lo sviluppo della tecnologia dell’auto-tune che l’artista ha portato all’estremo e ha reso popolare. Poi è iniziata la reazione negativa, con Usher che avrebbe detto a T-Pain di aver rovinato la musica. Altri musicisti si sono lamentati del fatto che l’auto-tune diminuisse l’importanza del vero canto. Sebbene i rapper fino ad oggi continuino a scalare le classifiche utilizzando l’auto-tune, T-Pain stesso a volte si è mosso in una direzione diversa. Nel 2014, ha mostrato le sue straordinarie doti vocali apparendo senza filtri nel video Tiny Desk Concert di NPR. Cinque anni dopo, T-Pain ha vinto la prima stagione del programma televisivo The Masked Singer (Il cantante mascherato) della Fox. 

Nel capitolo su Good Vibrations dei Beach Boys, Breihan osserva che il gruppo smise in gran parte di produrre grandi successi dopo il suo primo numero 1. Solo all’inizio degli anni Settanta realizzarono alcuni dei loro lavori più forti, tra cui Sunflower, che i critici salutarono come una rinascita creativa.

Allo stesso modo, gli Human League non è svanita improvvisamente e si è ritrovata relegata nel circuito del revival dopo il periodo di massimo splendore commerciale degli anni Ottanta. Il gruppo synth-pop, la cui Don’t You Want Mesulle ali di MTV raggiunse la vetta delle classifiche nel 1982, è entrato nella Top 40 di Billboard con Tell Me When tredici anni dopo, nel 1995.

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