Interviste

Saro Cosentino, l’amico nomade di Battiato

Nome e collaborazioni tradiscono le sue origini catanesi. Ha lavorato con il Maestro di Milo, Sgalambro, Alice e tanti altri protagonisti della scena musicale italiana. Poi è andato alla corte di Peter Gabriel. Ora è «espatriato» a Praga. Il prossimo 7 ottobre pubblica il suo nuovo album: fra gli ospiti Peter Hammill e straordinari musicisti. «Preferisco lavorare a progetti, non tanto alla promozione del nome. Deve essere il lavoro a parlare di te. L’opposto di quello che accade oggi, dove l’influencer prevale sul musicista»

Sulla biografia si legge che Saro Cosentino, compositore e musicista italiano, è nato a Roma nel 1960, per poi trasferirsi a Milano, viaggiare in Europa e in Oriente, lungo i percorsi spirituali tracciati dagli echi delle danze Sufi e dai pellegrini buddhisti, per poi trasferirsi stabilmente negli Stati Uniti e in Inghilterra, trovando infine a Praga il suo rifugio ideale. Eppure, tre indizi conducono al Sud. Il primo è nel nome: Rosario Cosentino. Il secondo è nelle frequentazioni: Franco Battiato, Manlio Sgalambro, Radiodervish. Infine, una canzone dell’album Cities dedicata a Palermo.

«È vero», sorride sornione all’altro capo del telefono sulle rive della Moldava. «Mio papà è di Catania e la mia infanzia l’ho trascorsa lì. Natale e Pasqua a Catania, l’estate sull’Etna a Nicolosi. Poi l’inizio del lavoro con Franco Battiato ha cementato il mio rapporto con il Sud».

L’incontro con il Maestro di Milo avvenne a Milano, che a quel tempo, siamo nel 1979, rappresentava la capitale della musica. La voglia di sperimentare e la passione per l’elettronica avvicina i due. «Insieme abbiamo scritto canzoni (I treni di Tozeur, nda), abbiamo prodotto il disco di Sgalambro e di altri, nel 1987 sono stato voce recitante dell’opera Genesi messa in scena al teatro Regio di Parma. Nel 1988 lui ha prodotto il mio primo album e nell’estate dello stesso anno ho partecipato al tour di Fisiognomica. Nel 1992 io gli ho prodotto l’album Cafè de la Paix».

Saro Cosentino

Un anno importante il 1992. Che segna anche l’allontanamento fra i due e l’inizio di una vita nomade. La strada di Cosentino incrocia a Bath, Inghilterra, quella di Peter Gabriel. «Ero andato a lavorare alla Real World (l’etichetta dell’ex Genesis orientata sulla world music, nda) per portare alcune mie produzioni. Lì conobbi Peter Gabriel». Che lo coinvolse nel progetto Peter Gabriel’s Secret World Live. Da quel momento, il nome di Cosentino comincerà ad apparire accanto a quelli di musicisti del calibro di Peter Hammill, Lal Shankar, Trey Gunn, Kudsi Erguner, Karen Eden, David Rhodes, Tim Bowness, Pandit Dinesh, Tony Levin, Laurence Revey, Natasha Atlas, Jakko Jakszyk, Gavin Harrison. Considerando anche le collaborazioni avute in Italia – Alice, Giusto Pio, Mino Di Martino, Morgan, Giorgio Gaber, Milva, Ivano Fossati, Radiodervish, Massimo Zamboni – ci si chiede: chi è Saro Cosentino? Una sorta di Zelig della musica? Su di lui dovrebbero esserci pagine e pagine, invece è difficile trovare sue tracce.

«Cerco di non promuovere troppo il mio nome», risponde estremamente rilassato, e non solo per alcuni decimi di febbre che si porta da alcuni giorni. «Preferisco lavorare a progetti, non tanto alla promozione del nome. Deve essere il lavoro a parlare di te. L’opposto di quello che accade oggi, dove l’influencer prevale sul musicista».

Saro Cosentino il prossimo 7 ottobre pubblicherà il suo decimo album, intitolato The Road to Now. «Ovvero, la strada per l’adesso: indica il vivere al momento. Ma, nello stesso tempo, tutto quello che ha portato a questo momento», spiega l’autore. E il disco rispecchia la carriera, le passioni musicali, le amicizie, dell’artista. Sin dalle prime note di You are the Story, il brano iniziale, dalle atmosfere ovattate alla Robert Wyatt: una tromba in sottofondo accompagna una malinconica melodia cantata dalla morbida voce di Tim Bowness, per chiudersi con una struggente chitarra che aggiunge pathos. «Non nego che Wyatt è tra i miei musicisti preferiti», confessa. «Lo conobbi in occasione della cover di un suo brano, Alifib, realizzato con Battiato e Morgan. È stato un piacere conoscerlo».

E poi la voce di Peter Hammill, il leader dei Van Der Graaf Generator, icona del progressive rock degli anni Settanta, protagonista in ben quattro canzoni dell’album, fra cui il singolo The Joke, chiuso da una ritmica alla Peter Gabriel, il cui video è una rassegna di tutti gli orrori che minacciano il mondo. 

Nostalgia per quel periodo musicale oppure i tempi che stiamo vivendo sono tormentati e oscuri quanto e più di una canzone dei Van Der Graaf?

«Ho sempre amato la voce evocativa di Peter Hammill, è una gioia lavorare con lui. È un cantante che ti pone domande, che ti rivela che la natura umana è pericolosa. È vero, questi tempi sono bui. Non so, però, se questo basti per rendere contemporanea la voce di Peter Hammill».

A proposito di tempi bui. Come osserva le vicende elettorali italiane?

«Sono espatriato per questo motivo».

Perché Praga e non Londra o New York?

«Per staccarmi dall’influenza anglosassone. Praga è una capitale, ma dalle dimensioni umane. È al centro dell’Europa, culturalmente attiva. Mi sono trasferito qui nei primi anni Duemila, portando il mio studio. È una città magica».

Eppure, The Road to Now è stato registrato tra Regno Unito e Stati Uniti, con una band tutta anglosassone: Tim Bowness (già con i No-Man), la cantante australiana Karen Eden, il batterista Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson), i bassisti John Giblin (Peter Gabriel, Simple Minds, Jon Anderson e molti altri) e Trey Gunn (KingCrimson), il chitarrista David Rhodes, elemento indispensabile per Peter Gabriel, sin dal suo inizio solista post Genesis.

«Continuo a frequentare Londra, da dove sono tornato appena ieri. Quello che non sopporto è la celebrazione dell’Impero, come questa lunghissima cerimonia per i funerali della regina».

Lei ha sempre detto di avere una inclinazione per le colonne sonore. Si avverte che ogni canzone sembra essere nata per accompagnare una immagine. Questo disco, fatta eccezione per il lungo strumentale finale Howl, è tutto cantato.

«Gli album a mio nome sono sempre cantati. Le immagini, certo, hanno una forte influenza sulla mia musica. Quando scrivi per il cinema segui un immaginario reale, in questo caso segui un immaginario mentale. Mi piacciono gli album che ti portano in un posto».

Oggi De André, Fossati, Battiato non li prenderebbero, perché bisognerebbe investire sul lungo periodo. Invece, bisogna fare colpo subito, diventi merce da supermercato. E prevale la bassa qualità

Saro Cosentino

Com’è cambiata la musica in questi ultimi trent’anni?

«È cambiato il mondo, non solo la musica. La musica rispecchia i cambiamenti. Oggi l’attività principale dei ragazzini è quella di farsi le foto e condividerle sui social. È il trionfo dell’effimero, non importa quale storia ci sia dietro le cose. I giovani sono mandati ai talent show come carne da macello. Durano sei mesi, un anno. Oggi De André, Fossati, Battiato non li prenderebbero, perché bisognerebbe investire sul lungo periodo. Invece, bisogna fare colpo subito, diventi merce da supermercato. E prevale la bassa qualità».

Nuovi progetti?

«Concerti no, perché per avere un livello qualitativo buono l’investimento è alto e non mi va di andare in giro con formazione e strumentazione ridotte. Sto lavorando con Nicola Alesini a un secondo capitolo di Cities e sto ultimando la colonna sonora del film su Marco Pannella, intitolato Romanzo radicale. Ma con i tempi che corrono chissà quando e se uscirà…».

1 Comment

  • Paolo Settembre 28, 2022

    Grande Saro!

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