Storia

Rosa Balistreri, ora ci prova Isabella Ragonese

Domenica 4 dicembre su Sky Arte il docufilm “Il canto delle sirene” con il quale l’attrice palermitana tenta di far conoscere un’artista che si agita come un fantasma nella storia siciliana. Le donne di Licata sono le protagoniste dell’opera d’esordio alla regia dell’interprete della fiction tv su Letizia Battaglia

«Rosa Balistreri è un personaggio favoloso. Un dramma, un romanzo, un film senza autore. È un personaggio che cammina su un filo di cotone, un personaggio che ha un cuore per tutti». Con queste parole il poeta Ignazio Buttitta ricordava il folgorante incontro con Rosa Balistreri. «Quella sera Rosa cantò il lamento della morte di Turiddu Carnivali che è un mio poemetto. Quella sera non la dimenticherò mai. La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venissero dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l’impressione di averla conosciuta sempre, di averla vista nascere e sentita per tutta la vita: bambina, scalza, povera, donna, madre».

La “cantatrice del Sud”, una delle prima cantautrici italiane, era davvero l’anima della Sicilia, la nostra Amalia Rodrigues, l’“alma do fado”, o, come suggerisce l’attrice Isabella Ragonese, la versione femminile italiana di Johnny Cash: «È stata in carcere, ha fatto di tutto», come l’icona rock americana. Ma se l’artista portoghese è ancora oggi venerata nel suo Paese e “The Man in Black” è entrato nel Great American Songbook, Rosa Balistreri non ha mai ricevuto nella sua terra gli stessi onori e riconoscimenti. Né quando era in vita, né post mortem. 

La pasionaria di Licata, la donna con la chitarra che non voleva ridurre la sua terra allo stereotipo di Vitti ‘na crozza, la folksinger cara all’intellighenzia siciliana e a Dario Fo, fu un personaggio scomodo per l’establishment (che le chiuse le porte del Festival di Sanremo) e, alla lunga, persino per il Partito comunista isolano, al cui fianco aveva a lungo combattuto. Morì a Palermo il 20 settembre 1990 in miseria o quasi. È sepolta nel cimitero fiorentino di Trespiano. E, fino a una dozzina di anni fa, pochi si ricordavano di lei.

Fu Carmen Consoli a riscoprirla con un evento che ebbe un’eco nazionale: il 31 maggio 2008, in piazza Università a Catania, la “cantantessa” riunì sul palco dieci primedonne della scena musicale italiana per cantare le canzoni di Rosa a una terra ca nun sente. Quella sera la Sicilia, e non solo, ascoltò. Due anni dopo, per il ventennale della morte, il regista Nello Correale volle raccontare la cantatrice nel documentario La voce di Rosa, nel quale la immagina «come una straordinaria blues woman, una donna che dà voce ad un sentimento che ti arriva dritto in faccia». Il documentario vede protagonista Donatella Finocchiaro, che interpreta sé stessa alle prese con la realizzazione di uno spettacolo dedicato alla folksinger. Successivamente, nel 2017, esce il docu-film Rosa Balistreri – un film senza autore di Marta La Licata, con la regia di Fedora Sasso. Un lavoro che nel titolo fa riferimento alla frase di Buttitta e che raccoglie inediti e testimonianze di molti intellettuali che con lei collaborarono, fra i quali Andrea Camilleri, Leo Gullotta, Otello Profazio e Gianni Belfiore. Fu proprio il paroliere di Julio Iglesias a lanciare la cantante di Licata. Dal loro incontro nacque Amuri senza amuri, uno dei classici di Rosa Balistreri.

Soltanto nel 2018 la Regione Sicilia “scopre” la “donna di Licata”, il cui nome viene iscritto nel “Registro delle Eredità immateriali della Sicilia – Libro delle pratiche espressive e dei repertori orali”. Rosa Balistreri diventa patrimonio culturale siciliano. Ventotto anni dopo la sua scomparsa.

Adesso è l’attrice palermitana Isabella Ragonese a tentare di valorizzare questa figura della storia siciliana ancora scomoda per molti. Una sorta di fantasma. Che forse fa paura agli stessi siciliani, per quel passato che riemerge con tutti i suoi spettri. Tant’è che è più facile trovare una sua canzone nella playlist di Thom Yorke dei Radiohead piuttosto che in quella di un cantautore italiano.

«Ancora adesso, quando chiedevo di Rosa alle persone più anziane, loro ne parlavamo come di una prostituta. Girare per locali, suonare e fare tardi, per la gente non significava essere un’artista, ma essere una che non stava rincasando alle otto e non si stava dedicando alla famiglia», racconta Isabella Ragonese parlando del suo debutto cinematografico con Rosa. Il canto delle sirene presentato fuori concorso al Torino Film Festival. Il film, interamente girato a Licata, sarà trasmesso da Sky Arte domenica 4 dicembre alle 21:15 e in streaming su Now e disponibile anche on demand. Tutto è nato a Palermo, alla festa di Sky Arte a Palazzo dei Normanni. Era l’ottobre del 2018. In quella occasione Isabella Ragonese volle omaggiare Rosa Balistreri con un piccolo recital. «Mi sembrava fosse un personaggio rappresentativo della mia città», ricorda l’attrice palermitana in una intervista su rollingstone.it. «Sky però non la conosceva, così hanno pensato che sarebbe stato bello far qualcosa per farla scoprire anche ad altri».

Un fotogramma dal docufilm “Rosa.Il canto delle sirene”

La prima domanda che si è posta è stata: come si fa a raccontare la voce di una donna che non hai mai conosciuto, ma che frequenti da sempre? Come si evocano i fantasmi? Perché Rosa Balistreri non era Letizia Battaglia, che Isabella Ragonese ha interpretato per la fiction Rai di Roberto Andò. Non c’è un immaginario collettivo mitico a supporto della narrazione. «Rosa era più piccolina, era un po’ la nostra Chavela Vargas. Fa tuttora parte di una cultura popolare in cui le sue canzoni sono più famose di lei». Né aveva la possibilità di farsi raccontare cosa vuol dire avere un padre violento o farcela da sola. «Allora l’ho chiesto ad alcune donne che me ne hanno parlato come probabilmente avrebbe fatto lei. L’idea era di fare una sorta di casting dell’anima. Cercare qualcuno che non somigliasse fisicamente a Rosa, ma che ce l’avesse nello spirito e in alcuni passaggi della vita. Io in Concetta, in Enza o in Massimona ci vedo tanto di lei. La immagino come una che si metteva a ballare in piazza per sorridere in faccia al dolore, fregandosene di quello che pensavano gli altri».

La mia convinzione è che la forza di Rosa Balistreri sia proprio nel non essere troppo conosciuta, ma allo stesso arriva a tante persone, che magari non sanno che è lei

ISABELLA RAGONESE
Isabella Ragonese

L’altra domanda che la regista si è posta è stata: cosa resta di un artista quando muore? E la risposta Isabella Ragonese non la chiede a musicisti che hanno suonato con Rosa Balistreri, né a studiosi di musica. A parlare di lei c’è solo un gruppo di donne, distanti per età ed estrazione sociale, che si riconoscono nella storia e nella voce di “Rosa la battagliera”. Una voce che, prendendo in prestito le loro parole, è un misto di rabbia e di amore. Alla fine, la convinzione della regista è che «la forza di Rosa Balistreri sia proprio nel non essere troppo conosciuta, ma allo stesso arriva a tante persone, che magari non sanno che è lei».

La domanda alla quale, invece, cercherei una risposta è perché, quando all’estero è una tendenza consolidata, apprezzata dal pubblico e premiata anche con Oscar, in Italia il biopic film non sia tenuto in considerazione o sia emarginato sul piccolo schermo. Ci sono storie che non hanno nulla da invidiare a quelle diventate soggetto di pellicole come The RoseBohemian RhapsodyRocket ManI Wanna Dance with Somebody. Una è, appunto, quella di Rosa Balistreri. 

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