Interviste

Raffaele Genovese, un pianista in equilibrio

– Il musicista siracusano pubblica “The Tightrope Walker”, in bilico fra la volontà di trasmettere emozioni attraverso gli 88 tasti e quella di non tradire la sua impronta crossover
 – «Mi sono protetto con l’elettronica, gli archi e la voce di Elisa Nocita». «Un album da ascolto, fatto in casa, autoprodotto, con un sound coerente. Si presta molto alle immagini»

La musica strumentale per solo pianoforte è un genere un po’ delicato, perché facilmente si può essere troppo orecchiabili e melensi, oppure troppo noiosi, oppure troppo complicati. Raffaele Genovese riesce a trovare un buon equilibrio tra queste situazioni, creando un lavoro che può piacere a un vasto pubblico. 

La cover dell’album

Lo stesso titolo dell’album pubblicato alla vigilia di Pasqua, The Tightrope Walker (Funambolo), sembra voler indicare una musica in equilibrio fra la volontà di trasmettere emozioni attraverso gli 88 tasti e quella di non tradire la sua impronta crossover. «Ma anche perché nel fare un lavoro da solista ti senti un po’ come un equilibrista», spiega il musicista siracusano. «Io mi sono protetto un po’ con l’elettronica, qualche violoncello e l’intervento vocale di Elisa Nocita. Resta, comunque, una impresa solitaria, molto ardua, non hai un gruppo alle spalle che ti supporta. Indica l’equilibrio precario del pianista».

Come un funambolo, Raffaele Genovese si muove con lentezza, grande concentrazione e senso dell’equilibrio. Raramente ricorre a virtuosismi, ad arpeggi sofisticati o anche semplicemente a frasi avventurose. Riesce però sempre a restare piacevole all’ascolto. Con delicatezza e incredibile bellezza, conduce lo spettatore in un suggestivo viaggio musicale che mette in mostra l’incredibile talento del compositore nel creare un chiaro senso di atmosfera ed emozione. Musica che libera la fantasia, la fa viaggiare alta per uscire dalle ristrette mura in cui viviamo tutti i giorni. Mura non solo fisiche ma soprattutto mentali, costrette a sopravvivere nella routine che senza accorgercene ci logora a poco a poco. Una possibile terapia è quella di prendersi poco più di mezz’ora di tempo, sdraiarsi sul divano e ascoltare questa musica rilassante con un buon impianto stereo, recuperando un po’ di tempo per noi stessi e per la nostra psiche.

The Tightrope Walker, prodotto dalla Anaglyphos Records (Mhodì Music Company) e distribuito da YouIndependent, può essere descritto come una perfetta miscela di minimalismo e romanticismo, con un ricco arazzo di intricati motivi armonici e temi che si intrecciano senza sforzo in tutto l’album. Il jazz sembra essere messo da parte.

«Mi viene difficile trovare una etichetta stilistica», commenta. «Comunque, sì, è sicuramente un po’ minimalista. Lo stile di scrittura è però sempre lo stesso. Che si tratti di jazz o di musica classica, a livello armonico, strutturale, tematico è molto affine a cose che ho fatto in precedenza. Magari non al primo disco, ma certamente rispetto ad Anamnesi e Mosaico c’è un legame a livello compositivo. È diversa la veste. Ci sono differenze nell’arrangiamento, nello sviluppo, nel sound. C’è poca improvvisazione. È limitata alla traccia La scatola e ad alcune parti nelle code di Refraction e Transparency. È un lavoro più arrangiato, più articolato».

È una scelta dettata da un desiderio di cambiamento? Oppure legata ad altre motivazioni?

«Non c’è una volontà ad abbandonare l’improvvisazione. È un lavoro pensato nel 2021, quando c’era la pandemia, non si suonava, i locali erano chiusi e i festival non ripartivano. Ho cercato di tirare fuori il meglio da quel brutto momento che stavamo vivendo. Nel jazz, per necessità, devi suonare dal vivo, stare con altre persone. Per l’esigenza di non fermarmi, mi sono dedicato a questo lavoro solistico, anche se non mi sono sentito di fare un album di piano solo. Quella sì che è davvero una impresa ostica. Poi, i miei riferimenti sono Keith Jarrett, Brad Mehldau, Fred Hersch, John Taylor. Quindi, ho pensato di elaborare degli arrangiamenti attorno al pianoforte».

Raffaele Genovese

Il pianoforte è al centro della galassia sonora di Genovese. Attorno alla tastiera ruotano come satelliti il violoncello e gli archi del campano Giuseppe Tortora, che aggiunge profondità emotiva in due brani – Lebeg e Overcoming – e la voce di Elisa Nocita che carica di pathos il brano Transparency. E poi l’elettronica, manovrata dallo stesso pianista, che dà movimento a tutte le dieci tracce del disco.

«Quando scrivo, quando preparo la scaletta di un concerto, penso sempre che c’è un pubblico che mi ascolta. Mi pongo dalla sua parte. E un disco di piano solo, tranne che a suonarlo non siano i citati Hersch, Jarrett o Mehldau, francamente mi annoierebbe. Mi interessa fare qualcosa che sia godibile, variegato, non monotono. Aggiungere il violoncello, mettere l’elettronica, la voce, gli archi, è stato dettato dalla voglia di diversificare. Lo reclamavano gli stessi pezzi. Ad esempio, in Transparency, sentivo che mancava qualcosa. Ho chiamato Elisa Nocita, della quale ho apprezzato molto il lavoro di rilettura del repertorio napoletano fatto con Nello Toscano, e improvvisando con la sua voce ha riempito quel vuoto».

Molti brani sono dettati da momenti, sensazioni vissute, attimi colti e fermati con una nota. L’iniziale Terrarossa, lenta e surreale, è stata scritta durante una delle ormai consuete piogge di sabbia su Siracusa. Lebeg, fresca e leggera, è nata in una sera afosa d’estate allietata dal soffio del vento di libeccio. Nazir, ovvero l’opposto dell’Azimut, ha a che fare con gli astri ed è più intimistica, astratta, rarefatta. «In genere, però, il titolo viene dopo la scrittura», tiene a sottolineare Genovese. «Non compongo mai pensando a un tema. Questo lavoro non l’ho approcciato come compositore carta e penna, mi sono messo al computer a registrare delle cose e lavorandoci direttamente con il software di registrazione. Ho scritto le parti per gli archi perché dovevo inviarle a Roma a Giuseppe Tortora».

The Tightrope Walker è un disco destinato all’ascolto, da sottofondo mentre si fa qualche altra cosa, si legge, si studia, o da essere portato in tour?

«Più da ascolto. Non è da “live”. Di sottofondo non saprei. Si presta molto alle immagini. Infatti, abbiamo già pubblicato un videoclip sul brano La scatola e adesso sta per uscirne un altro per la ripresa di Terrarossa, che è una versione più breve con l’aggiunta dell’elettronica. È più da immagini forse perché di recente ho composto un paio di colonne sonore per un mio amico, Luca Pappalardo, un siracusano che gira cortometraggi a Londra, l’ultimo dei quali Stationary bike è tratto da una storia di Stephen King della quale l’autore ha ceduto i diritti per un dollaro. Ha ottenuto diversi premi».

Premi che meriterebbe anche The Tightrope Walker di Raffaele Genovese, un lavoro tutto autoprodotto, casalingo, realizzato con un investimento minimo. «Mi sono messo alla prova anche nel mixaggio, perché ci tenevo molto a curarlo con le mie idee. Cercavo il mio suono, quello che avevo in mente. Ho lavorato molto ai suoni, giorno e notte. Il disco avrà qualche imperfezione, ma sono certo che si riconosce un sound coerente. È stata una sfida, ma anche un gioco. Ed è stato divertente». 

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