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Rachele Andrioli trionfa al Premio Loano

Il più prestigioso riconoscimento per la musica di tradizione in Italia assegnato a “Leuca”, esordio solista dell’artista salentina, lo scorso dicembre indicato da segnalisonori.it come il miglior album del 2022. La consegna nella tre giorni di musica e incontri che si svolgerà dal 26 al 28 luglio del paesino ligure, crocevia di incontri, influenze e scoperte

Non ci illudiamo di essere al livello di Jon Landau, ma forse avevamo visto giusto quando lo scorso dicembre segnalisonori.it proclamò Leuca di Rachele Andrioli il miglior album del 2022. Il prossimo 26 luglio, infatti, il disco che segna l’esordio da solista della cantante salentina, pubblicato da Finisterre, riceverà il Premio Nazionale Città di Loano, il più prestigioso riconoscimento per la musica di tradizione in Italia, assegnato ogni anno alla migliore produzione musicale di ambito folk da una giuria composta da oltre cinquanta giornalisti specializzati e studiosi. Sempre Leuca si aggiudica anche il Premio Giovani, riservato a musiciste e musicisti under 35.

«Portare avanti una tradizione essendo qui e oggi, non nel passato potrebbe essere paragonato a un rapporto d’amore: è qualcosa su cui devi lavorare con costanza, nel presente, per tenere accesa la fiamma», commenta l’artista che fu ospite dell’Alkantara Fest dello scorso anno.

Leuca ha rappresentato la ripartenza per Rachele Andrioli. Santa Maria di Leuca è dove è nata 34 anni fa. Leuca, il capo, come fine o un inizio. È una questione di prospettive. «Dove il mondo muore ho seminato la mia voce» dice in De Finibus Terrae, un canto appreso dal mare. «A Leuca ho avuto la percezione del tempo che scorre e della vita», spiega. «Ho compreso che non era una fine, ma una terra che piano piano stava crescendo». 

Leuca come approdo e partenza. Terza porta d’oriente, con Otranto e Gallipoli. Da qui salpavano i romani per il Medio Oriente, qui approdarono turchi e spagnoli. Come il nonno di Rachele Andrioli, ammiraglio spagnolo. Qui continuano a sbarcare migranti «che ci condizionano e ci influenzano»: dagli albanesi, come Radi Hasa, il cui violoncello risuona in Te spettu e Luna otrantina, agli indiani, cingalesi, pachistani, vicini di Rachele nella casa nel centro storico di Lecce. «Nei due anni di pandemia ho condiviso molto con loro». Anche le canzoni di Nusrat Fath Ali Khan, fra cui Mast Qalander, un canto sacro sufi che Rachele riprende nel suo album.

Leuca è la parola chiave, il gesto che orienta, lo sguardo che mira dentro, una continua ricerca del germoglio nella terra, della conchiglia in un immenso mare. La terra lascia il suo battito musicale al mare. Rachele non è una sirena. Non è bionda, tutt’altro. Ma è Fimmana de mare, donna d’Oriente. «Essere una donna ai confini di una terra mi fa sentire come quando riesco a scorgere le montagne dell’Albania quando soffia il vento di tramontana. Essere una donna alla fine della terra per me significa respirare nel mare l’apertura verso il mondo». La sua voce non ammalia, è fuoco potenza luce calore emozione.

Leuca è un nome femminile. È donna. E il vento della femminilità soffia forte spinto dalle voci del Coro a Coro, ensemble di quaranta «donne che amano cantare», come le definisce Rachele. Un progetto di canto popolare condiviso che l’artista di Leuca conduce tra Lecce e Palermo. Donne di tutte le età e provenienze, appassionate di canzoni popolari, che vede le partecipanti formare un cerchio dal quale promanano parole e sonorità coinvolgenti e trascinanti. «Quando formiamo quel cerchio un po’ magico proviamo tutte una sensazione di benessere individuale e collettiva, diciamo che questa forma di canto è terapeutica», sottolinea Rachele. «Cantare aiuta a dimenticare i problemi, ad avere maggiore fiducia in noi stesse, ci fa sentire più forti in un’epoca dove l’emancipazione della donna è tuttora messa troppo spesso in discussione. Il coro lenisce, cura. Lo stare insieme ci fa sentire tutte uguali».

Leuca come macchia mediterranea, ulivi, muri a secco tipici della penisola salentina. E alberi di noci. «Dove cresce il noce è nata la mia voce», canta ancora in De finibus terrae. «Perché dove abitavo io, a Salve, c’era un giardino di aranci che cresceva all’ombra di un enorme albero di noci. Mio padre mi diceva che non potevo entrarci perché era un giardino segreto. Io allora pensai: “Se non potevo raggiungerlo, potevo fargli arrivare la mia voce con il canto”. E fu quella la prima volta in cui cantai». A quel giardino è rimasta legata, tanto da ricrearselo, nel suo piccolo, anche nella casa di Lecce. «Ho l’orto, allevo galline e tartarughe, ed ho tre gatti», ride. 

Leuca come viaggio. Collaborazioni e incontri con le altre culture del mondo. Rachele Andrioli è una Ulisse che ci invita a “seguir virtute e canoscenza”. Offre una strepitosa interpretazione della poesia di Rina Durante Luna otrantina, strabilia quando si sdoppia in Tutt’egual song’ e criature, dove la si può scambiare per Enzo Avitabile, sembra una nuova Violeta Parra quando riprende il Manifiesto di Victor Jara. Perché Rachele Andrioli è talmente brava da saper spaziare tra la musica tradizionale e il ruolo della cantautrice, dalla musica radicata nel Salento alla world music, al jazz. In Finisterrae, il brano che chiude l’album, incrocia la sua voce con quelle di Ugia Pedreira, galiziana di Vilaronte, e di Elsa Corre, bretone di Douarnenez, donne che vivono e cantano nelle Leuca di Spagna e Francia. Anche in questo caso, non si tratta di una fine, ma di un inizio. Ovvero il seguito di Marinae, storie di donne da tre speciali punti di osservazione ai lembi estremi d’Europa: il capo De Finibus Terrae di Santa Maria di Leuca in Puglia, il Cabo Fisterra in Galizia e il Penn-ar-Bed/Finistère in Bretagna. «S’intitolerà Marinae, voci di donne alla fine della terra», annuncia.

Nessun siciliano nella Top ten

Al secondo posto tra gli album più votati dalla giuria del Premio c’è ρημία/Eremìa del calabrese Ettore Castagna. Musicista, ricercatore, etnomusicologo, scrittore, antropologo, Castagna ha attraversato gli ultimi quarant’anni di folk in Italia da protagonista, prima con Re Niliu e Nistanimèra e poi con il progetto Antiche Ferrovie Calabro-Lucane, fra i molti. ρημία/Eremìa lo vede cantare in calabrese, in greco, in arabo, fra suoni della tradizione e innovazioni. Al terzo posto, a pari merito, Cipria e caffè di Peppe Barra, monumentale summa di una delle più grandi voci napoletane dell’ultimo mezzo secolo, e Inghirios delle sarde Le Balentes. 

Nessun lavoro di artista siciliano è rientrato nella top ten finale che vede invece: Uauà – Omaggio in musica ad Eugenio Cirese di Giuseppe Moffa al quinto posto; al sesto 996 – Le canzoni di G.G. Belli degli Ardecore; al settimo Alle radici del canto di Radicanto; all’ottavo Polaris di Folkatomik; al nono Maresia di Fabrizio Piepoli (un altro dei dischi evidenziati da segnalisonori.it); decimo Meuseucca servadze del Teres Aoutes String Band feat.Tatè Nsongan.

Alcuni di questi artisti – fra cui la vincitrice Rachele Andrioli e poi Peppe Barra, Giuseppe “Spedino” Moffa, Ettore Castagna, Placida Staro e Teres Aoutes String Band – saranno presenti alla tre giorni di concerti e incontri che si svolgeranno dal 26 al 28 luglio a Loano, paesino del Savonese affacciato sul Mar Ligure, crocevia di incontri, influenze e scoperte. 

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