Storia

«Portiamo in Sicilia “Sidun” di De André»

– Beatrice Campisi e Francesca Incudine cantano nel loro dialetto la potente canzone tratta dall’album “Crêuza de mä”. Cambia anche la prospettiva e il punto di osservazione
 – «La composizione, che abbiamo adattato nella nostra lingua, tratta un tema che ci sta molto a cuore: l’abbandono forzato della propria terra, la fuga, l’emigrazione, il dolore e la violenza che comportano»
– Il brano inserito nel triplo CD “Shahida-Tracce di Libertà”, progetto a favore delle donne rifugiate, al quale hanno aderito oltre cento artisti 
– Antonella Ruggiero propone la sua versione di “Povera patria (O zemle maty)”, il celebre brano di Battiato, inciso con l’ucraino Oleksandr Iarmola

“… E oua grûmmu de sangue ouëge / e denti de laete / e i euggi di surdatti chen arraggë / cu’a scciûmma a a bucca cacciuéi de bæ…”. Sono parole di Sidun, uno dei brani più potenti dell’album capolavoro Crêuza de mä, cantato in genovese da Fabrizio De André. In siciliano suonano così: “E ora cocciu di sangu ‘un senti / di latti li denti… / E l’occhi de surdati, cani arraggiati / a circari e ammazzari cu voli scappari”. 

A trasportare Sidun in Sicilia sono Beatrice Campisi e Francesca Incudine, due tra le voci più talentuose e due “pasionarie” sempre sulle barricate per la difesa dei diritti civili. Resta identico il significato del brano: la follia della guerra, la morte di un bambino. Una tragedia che le due artiste siciliane estendono all’odissea di chi fugge la guerra, la carestia, le persecuzioni religiose, cambiando prospettiva e osservandola con lo sguardo di due donne.

«Sidun è un brano nato in dialetto genovese, in riferimento alla città di Sidone, teatro di ripetuti massacri durante la guerra civile in Libano», spiegano le due cantautrici siciliane. «La composizione, che abbiamo adattato nella nostra lingua, il siciliano, tratta un tema che ci sta molto a cuore: l’abbandono forzato della propria terra, la fuga, l’emigrazione, il dolore e la violenza che comportano. Quando Appaloosa Records e Centro Astalli ci hanno proposto di partecipare a Shahida-Tracce di Libertà, un triplo album realizzato a favore delle donne rifugiate, abbiamo pensato che questa rivisitazione fosse perfetta per l’occasione».

Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all’uso delle lettere dell’alfabeto anche l’invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l’attacco subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz’età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. Un grumo di sangue, orecchie e denti di latte, ancora poco prima labbra grosse al sole, tumore dolce e benigno di sua madre, forse sua unica e insostenibile ricchezza. La piccola morte, a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea

Fabrizio De André

Il brano, scritto da Fabrizio De André e Mauro Pagani, rivisitato dalle due artiste siciliane è inserito nel triplo CD Shahida – Tracce di libertà, realizzato a sostegno delle donne rifugiate, ed è accompagnato da un video diretto da Lù Magarò e Gabriele Zanoncelli, con la partecipazione speciale dell’attrice e ballerina Rosy Bonfiglio. Un viaggio tra colori e sfumature accompagna la coreografia, basata sull’interazione fra corpo, oggetti simbolici e proiezioni.

«Siamo entrambe impegnate nell’approfondimento di tematiche sociali, sia nel nostro repertorio musicale, sia nella vita», continuano la siracusana Beatrice Campisi e l’ennese Francesca Incudine. «Siamo due insegnanti, a contatto con storie dolorose, ma anche di integrazione e riscatto. Da questo comune sentire è nata l’idea di adattare Sidun nel nostro dialetto. Noi, isolane, trapiantate al Nord, abbiamo sentito il bisogno di dedicarci a questo progetto e abbiamo cercato di condurlo nel rispetto degli autori e del messaggio della canzone, ma rendendo personale il brano, facendolo nostro. Abbiamo sentito di dover mettere l’accento sul rapporto tenero fra madre e figlio, sulla disperazione e l’impotenza della perdita. Una prospettiva al femminile degli orrori di guerra, delle sofferenze legate alla migrazione dalla propria terra e alla separazione dai propri cari. Un innesto tra il nostro sentire e le parole degli autori, a cantare e a raccontare il dolore per “una piccola morte” che oggi, più che mai, risuona e ci travolge». 

Beatrice Campisi e Francesca Incudine

E il pensiero va alle immagini di guerra tra Israele e Hamas. «In queste ore in cui ci sentiamo impotenti e annichiliti di fronte alle immagini di distruzione e morte che scorrono sui social, l’unica voce che, come artiste, ci sembra di poter comprendere e interiorizzare, è “l’urlo nero” senza tempo, lanciato da persone innocenti, che piangono figli, madri, padri, persone care. Un sentimento universale che ci accomuna come umanità senziente ed empatica», commentano. «De André e Pagani sono riusciti a farsi portavoce di questo lutto con un brano potente e straziante, noi abbiamo provato a trasferire le loro parole taglienti e commoventi nella nostra lingua», spiegano. «Il messaggio è il medesimo, seppur interpretato da una prospettiva femminile: le vittime civili delle guerre, sottoposte a ingiustizie e crudeltà, alla detenzione, alla migrazione forzata, sono la ferita aperta di questo nostro mondo. La cura, secondo noi, può essere cercata solo nel dialogo, nella mediazione, nella costruzione di un clima di pace, accoglienza e crescita reciproca».

Anche il video si fa portavoce dello stesso messaggio: il dramma della madre, che ha perso il figlio durante un bombardamento, si alterna ora alla rabbia, ora alla tenerezza. Il telo blu, come le onde del mare, rappresenta la necessità di migrare e fuggire dalla guerra. Un video concettuale, che mira al profondo, con un montaggio artistico serrato, che segue il flusso musicale e alterna dramma e sospensione.

Tutte le foto sono di @Jesuit Refugee Service. Il Centro Astalli è la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati – JRS. Considerando nell’insieme le sue differenti sedi territoriali (Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Trento, Vicenza), il Centro Astalli ha risposto alle necessità di circa 18.000 migranti forzati (dati 2023)

“Shahida – Tracce di libertà”: 3 CD oltre 100 artisti

Shahida, il titolo scelto per questo progetto musicale, è un nome di donna. In arabo vuol dire testimone. È anche il nome della giocatrice della nazionale di hockey del Pakistan morta nel naufragio al largo di Steccato di Cutro dove hanno perso la vita 94 persone di cui 35 bambini.

Shahida è il simbolo di tutte le donne che in questo momento si battono per la libertà, rischiando la vita in una piazza che protesta, pronunciando pubblicamente parole censurate, chiedendo uguaglianza e dignità e di tutte le donne migranti, rifugiate, che camminano lasciando tracce di libertà nel mondo.

Shahida è un viaggio musicale intrapreso da cantanti, musicisti, attori, scrittori: sono stati oltre cento gli artisti che hanno partecipato portando parole e melodie che raccontano storie, percorsi e volti da ogni parte del mondo. Alcuni esempi solo per rendere l’idea della varietà degli orizzonti musicali toccati. Antonella Ruggiero propone la sua versione di Povera patria (O zemle maty), il celebre brano di Franco Battiato, inciso con l’ucraino Oleksandr IarmolaSaba Anglana, da sempre vicina all’attività del Centro Astalli, che con Lorenzo Monguzzi presenta Nada más que suerte, o ancora, il rapper Amir Issaa con il suo Guerra tra poveri, remix di un brano del 2022. Il triplo CD contiene, inoltre, brani e poesie recitate da Alessandro BergonzoniAscanio CelestiniAnna FogliettaFlavio InsinnaDavid Riondino e Ana Varela Tafur.

I proventi derivanti dalla vendita di Shahida- Tracce di libertà sosterranno i progetti in favore delle donne richiedenti asilo e rifugiate accolte al Centro Astalli, non di rado vittime di violenza, abusi e tortura, che cercano di costruirsi una nuova vita in Italia.

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