L’artista britannico è partito da Cracovia con l’“i/o tour” che farà scalo il 20 maggio a Verona e il 21 a Milano. «L’ambiente è uno dei temi dello show. Penso che siamo al punto di una crisi esistenziale, non solo climatica, ma anche l’intelligenza artificiale (AI). E poi la vecchiaia: io ho 73 anni». Al suo fianco una band «magnifica»
i/o, ovvero input/output, è il titolo del nuovo album di Peter Gabriel, il primo di inedito da Up, uscito nel 2002, la cui data di pubblicazione ancora non è stata indicata. A conferma che non si tratti di una fake new, l’artista britannico fa uscire un singolo ogni notte di luna piena. Non solo. Mettendo da parte la sua abituale pigrizia, ha deciso di tornare in tour, a sette anni dai suoi ultimi concerti negli Stati Uniti, nove da quelli europei.
i/o, come sottolinea lo stesso autore, è «il punto di partenza dell’idea e del tentativo di parlare dell’interconnessione di tutto». È un concept album, che sta alla base dello spettacolo che l’ex Genesis presenterà in Italia il 20 maggio all’Arena di Verona e il giorno dopo al Mediolanum Forum di Milano.
«Ci sono diverse idee in alcune canzoni, come riconnettersi con la natura. Personalmente, sento che abbiamo perso il senso da dove veniamo, che ci siamo dimenticati del pianeta e della natura, anche se in realtà sono ancora intorno a noi», dice in una intervista a un sito polacco alla vigilia del tour partito il 18 maggio da Cracovia. «Ci piace fingere di vivere in un ambiente creato dall’uomo, di essere indipendenti e isolati, ma in realtà dipendiamo molto dal pianeta che ci ha dato i natali. Questo è uno dei temi. Penso che siamo al punto di una crisi esistenziale, non solo climatica, ma anche l’intelligenza artificiale (AI). Sono un grande sostenitore della tecnologia, ma come con qualsiasi di questi potenti strumenti, devi avere un’idea di cosa vuoi da essa e dove può portarti. Inoltre, ora ho 73 anni e sto solo invecchiando. Questo è un altro problema. Cerco di selezionare le cose che apprezzo, chi è importante e cosa è importante nella mia vita… cose del genere. In un certo senso, c’è più riflessione, ma penso che ci sia anche molto divertimento ancora».
Per questo tour, come accaduto nei due precedenti – Secret World Live e Growing Up Live – Peter Gabriel ha scelto di lavorare con il regista e sceneggiatore canadese Robert Lepage. «Sì, lui è uno straordinario visionario, amo la sua mente. È anche molto divertente, a volte anche maleducato, quindi è divertente lavorare con lui. Quello in cui è davvero bravo è raccontare storie, mettere insieme le cose per dare un senso all’intera faccenda. Sfortunatamente, ora ha molti clienti per molti anni a venire, quindi non abbiamo avuto tutto il tempo che avrei voluto. Ma abbastanza per preparare lo spettacolo e aiutarci a concentrarci su quale storia vogliamo raccontare e su come la racconteremo. Non potrei immaginare nessuno meglio di lui per le esibizioni dal vivo perché Robert ha un grande senso visivo».
Lepage, come i musicisti da portare in tour, sono frutto della ricerca di Peter Gabriel del perfezionismo. Anche in questo tour avrà al suo fianco alcuni tra i migliori session man del mondo. C’è l’incredibile violoncellista Ayanna Witter-Johnson, che suona anche le tastiere e canta magnificamente; c’è Marina Moore al violino e alla viola e c’è Richard Evans, flauto e chitarre. Poi Josh Shpak, brillante trombettista: «Questo ragazzo è fantastico», assicura Gabriel. Come è «fantastico» anche il tastierista Don-E, consigliatoli da Brian Eno. E infine i fedeli e collaudati Manu Katché, tornato alla batteria, David Rhodes (chitarra) e Tony Levin al basso. «Penso che sia la migliore squadra con cui ho avuto il piacere di lavorare, tranne quando ho collaborato con Sting», sottolinea Gabriel. E aggiunge: «Sono ormai un vecchio ragazzo, ma mi fa bene avere molta di questa giovane energia intorno. Penso che le cromie che ora possiamo usare, con i corni e gli archi, abbiano un significato che dal punto sonoro mi rendono davvero felice».
La scaletta mescola canzoni storiche del suo repertorio e i singoli che a cadenza mensile sta pubblicando in doppia versione con un inedito dedicato a sua madre. «Le persone generalmente vogliono ascoltare ciò che sanno e gli artisti tendono a voler suonare cose nuove», commenta. «Quindi penso che ci sia una sorta di baratto in cui devi sopportare un po’ di nuovi brani per ascoltare quelli vecchi. Almeno è così che è sempre stato con me, ma penso che sia un bel gruppo di canzoni!».
Comincia acustico con Washing of the Water e Growing Up, prima di snocciolare le nuove canzoni Panopticon, Four Kinds of Horses e i/o. In scaletta successi come Digging In The Dirt, Sledgehammer, Don’t Give Up, Red Rain fino al trittico conclusivo composto da Solsbury Hill, In Your Eyes e Biko.