Interviste

Peppino Di Capri: vi racconto la mia “dolce vita”

A 83 anni l’autore di “Roberta” non ha alcuna intenzione di smettere. «Il Number Two, il locale dove suonavo a Capri, e poi quello di Roma erano pieni ogni sera di attori e attrici. A Capri Aristotele Onassis era solito venirsi ad appoggiare sul mio piano per ascoltare le mie canzoni». «Oggi troppi giovani costruiti a tavolino». “Champagne” la canzone più suonata: «Tutti la usano ai matrimoni, per il taglio della torta, ma lo hanno ascoltato bene il testo?»

Ha cominciato a cantare 64 anni or sono. Il primo disco risale al 1958. Ma già a 4 anni si esibiva per l’esercito americano. «Mio zio mi portò a suonare per il generale Clark, certe canzoncine americane che avevo imparato alla radio. Sul piano c’era un piatto d’argento, a fine serata era pieno di AM-lire, a casa svuotavo le tasche e crollavo».

A raccontare è Giuseppe Faiella, in arte Peppino Di Capri, 83 anni, 500 canzoni, nessuna intenzione di smettere (alcune sere fa è stato ospite di un evento privato tra Noto e Vendicari) e, soprattutto, nessun rimpianto. «Sì, nessun rimpianto» ribadisce. Poi, ripensandoci bene, corregge: «Mah, forse ho trascurato un po’ troppo l’estero. Nel ‘64 i Beatles mi vollero come “spalla” nella loro tournée italiana: dissero che mi avevano ascoltato e che suonavo una musica vicina alla loro. Cantavo RobertaDon’t play that song e altre quattro canzoni. Ma non sono riuscito a sfruttare quella occasione, anche perché non mi hanno mai rivolto la parola per tutto il tour. Fu comunque un’esperienza importante, la musica dei Beatles è l’unica influenza straniera che ho accettato e condiviso».

Peppino Di Capri, con gli occhiali il secondo da destra, la sua band e i Beatles

L’emozione più grande «alla Carnegie Hall di New York, nel ‘61. La sera andammo in un locale ad Harlem, appena undici bianchi, lo speaker ci fece fare l’applauso. Entrando un tizio disse: “Who is this monkie?”: ero secco secco, con gli occhialoni… ».

Una vita trascorsa sui palcoscenici di mezzo mondo, quindici volte al Festival di Sanremo, due vittorie (nel 1973 con Un grande amore e niente più e nel ‘76 con Non lo faccio più), l’ultima volta nel 2005 con La panchina. «Ma il mio Sanremo migliore fu quello de Il sognatore (1987). Mi arrivò un telegramma di Lucio Dalla: “Stupenda esibizione”. Mi ero illuso di arrivare tra i primi, non fu così, non so se per qualche inghippo. Al Festival ci andrei in eterno: in una sera becchi 15 milioni di spettatori. Ora puntano sui giovani, ma troppi sono costruiti a tavolino, manca la gavetta. Mi piace Tiziano Ferro, timbrica vocale inconfondibile. Non amo la generazione che “pausineggia”, pallide imitazioni della caposcuola».

Sanremo 1973, da sinistra: Peppino Di Capri, Gabriella Farinon e Mike Bongiorno

Una vita piena di ricordi. «Le foto in bianco e nero raccontano la vita di un uomo troppo zingaro e randagio» canta in I miei capelli bianchi. «Il mio pianoforte è stato tra i protagonisti della “dolce vita”», s’inorgoglisce. «Il Number Two, il locale dove suonavo a Capri, e poi quello di Roma erano pieni ogni sera di attori e attrici. A Capri Aristotele Onassis era solito venirsi ad appoggiare sul mio piano per ascoltare le mie canzoni. Questo tizio inquietante, vestito di scuro, mi fissava dietro gli occhialoni neri. Non ne potevo più. Andai da mio zio Ciro che faceva il barman: “Zi’ Cirù, toglietemi da davanti questa ciucciuvettola, questa civetta”. Mi mollò una scoppola sul collo: “Suona e zitto, ha già ordinato sei bottiglie di champagne”. Scoprii dopo che al tavolo c’erano pure Maria Callas, Ranieri e Grace di Monaco». 

Mentre suonavo “St. Tropez”, Carolina di Monaco è salita sul palco per ballare con me uno scatenato twist. Non era mai successo che un membro della famiglia reale salisse sul palco per ballare

Peppino Di Capri

«Un’altra volta, nel Principato do Monaco, verso la fine degli anni Ottanta allo Sporting Club di Montecarlo per poco non scoppiò uno scandalo», continua a sfogliare l’album dei ricordi. «Mentre suonavo St. Tropez, Carolina di Monaco è salita sul palco per ballare con me uno scatenato twist. Non era mai successo che un membro della famiglia reale salisse sul palco per ballare».

Erano i tempi dei night-club, delle canzoni sussurrate, dei balli lenti. «Negli Anni Sessanta ci si divertiva con meno. Oggi il pubblico è diventato più esigente. La discoteca ha fatto perdere il gusto della conquista: non mi sembra di aver mai visto una coppia fidanzarsi al suono dei Rolling Stones. Invece ai miei spettacoli molte coppie vengono a dirmi: “Sa ci siamo fidanzati al suono di quella sua canzone”. Una volta bastavano un piano, una mattonella e poche luci. Anzi, più basse erano, meglio era. Oggi invece il pubblico vuole più luci, vuole essere sbalordito».

Nella carriera di Peppino Di Capri c’è stato però un “buco nero”. «Verso la fine degli anni Sessanta», ricorda. «Era l’epoca degli hippies, del dopo Woodstock. Fu un periodo nero per molti. Mi misi di lato, sapevo che quella musica non ci apparteneva, che sarebbe durata solo pochi anni. Altri miei colleghi invece preferirono adeguarsi alla moda, perdendo in originalità. Il tempo mi ha dato ragione».

Peppino Di Capri al pianoforte

«Da questa mia finestra i raggi della luna colorano d’argento i miei capelli bianchi / la stessa luce che illumina i poeti e gli occhi dei ragazzi innamorati», chiude I miei capelli bianchi. Nel segno dell’amore e della luna caprese. «Le canzoni di ieri forse non sono proprio migliori… però lasciano una traccia più profonda», constata Peppino Di Capri. «La musica prima veniva assimilata di più, era una storia che ti riguardava da vicino, un messaggio diretto. A una canzone era legato un ricordo. Oggi ciò non avviene più: c’è un ascolto distaccato, la gente è sommersa di musica ed è confusa. Io ritengo che non ci sia bisogno di promozione per una canzone. Se è bella, comunque dovrà avere successo».

E la sua canzone più suonata?

«In testa, naturalmente, c’è Champagne. La lanciai alla Canzonissima del 1973, dissanguandomi per investire nelle cartoline-voto, come si faceva allora. Ma non bastò, non andai oltre il quinto posto, vinse la Cinquetti con Alle porte del sole, cinque o sei mesi dopo, però quel pezzo scritto pensando ad Aznavour e Modugno iniziò il suo giro del mondo, che continua ancora… L’ho cantata almeno cinquemila, solo nei concerti, l’anno prossimo compie 50 anni. Se non la eseguo c’è la rivolta. Tutti la usano ai matrimoni, per il taglio della torta, ma lo hanno ascoltato bene il testo? “Per brindare a un incontro, con te, che già eri di un altro…”. Non mi pare tanto adatto».

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