Interviste

Nonò Salamone: «I cantastorie non esistono più»

«Non lo sono neanche io», ripete il leggendario musicista di Sutera. «Scrivo e canto storie, ma usare quel termine oggi è una forzatura. Io ho cantato sempre sui palchi e sono stato pagato per suonare». Emigrante a 16 anni, gli inizi con Modugno e Papetti, il successo dopo l’incontro con Buttitta, il ritorno a casa. Per la sua arte è stato iscritto nel Libro dei Tesori Umani Viventi. Con la complicità dei catanesi Lautari, a 77 anni progetta una svolta cantautorale

«Io non sono un cantastorie», mette subito in chiaro Nonò Salamone. «Del termine “cantastorie” si è abusato sin troppo». 

Eppure, tutti parlano del settantasettenne artista di Sutera come l’“ultimo cantastorie”. 

«Mio padre era un cantastorie. Lui arrivava con la chitarra nelle piazze e faceva la “vanniata” per richiamare l’attenzione della gente che alla fine lasciava l’obolo. Io ho cantato sempre sui palchi e sono stato pagato per suonare».

Sin da quando, a 6 anni, durante una festa di piazza nel suo paese nel Nisseno, fu accompagnato su un palco per cantare. «Alla fine, mi portarono in un bar e mi dissero: “Puoi chiedere quello che vuoi”. Io mi limitai a farmi pagare un gelato», ricorda poco prima di salire sul palco del Marranzano World Fest, dove Salamone è stato fra i protagonisti della “Notte dei cantastorie” insieme con il vittoriese Giovanni Virgadavola ed il ripostese Luigi Di Pino.

«Io scrivo e canto storie, ma non sono un cantastorie», continua a ripetere. «Omero, Ciccio Busacca, Orazio Strano, Paolo Garofalo sono stati cantastorie, non io. È una forzatura usare questo termine oggi. Negli anni in cui vivevo al Nord, quando mi vedevano con una chitarra in mano mi dicevano: “Tu siciliano? Allora sei un cantastorie!”. E mi chiedevano i pannelli e io li facevo, li dipingevo con le mie mani anche, ma non li ho quasi mai usati».

Omero, Ciccio Busacca, Orazio Strano, Paolo Garofalo sono stati cantastorie, non io. È una forzatura usare questo termine oggi. Negli anni in cui vivevo al Nord, quando mi vedevano con una chitarra in mano mi dicevano: “Tu siciliano? Allora sei un cantastorie!”. E mi chiedevano i pannelli e io li facevo, li dipingevo con le mie mani anche, ma non li ho quasi mai usati

È all’ombra delle guglie del Duomo di Milano che comincia la carriera artistica dell’allora sedicenne emigrante Nonò Salamone. «Per due anni ho cantato in diversi locali milanesi, fra cui “Il principe”. Cantavo canzonette, Domenico Modugno, il mio cavallo di battaglia era La Novia. Ho lavorato con Fiammenghi, l’autore di Berta filava, Torregiani, Papetti… Sì, Fausto, il sassofonista».

Da Milano in Germania, dove di giorno lavorava in un cantiere edile, di sera si esibiva con il suo complesso. La chitarra come compagna di viaggio. «Era la mia innamorata, mi addormentavo abbracciandola», sorride. «Oggi per i ragazzi è tutto molto più semplice: una chitarra se la può permettere chiunque. Per me invece è stata frutto di sacrifici e di un lungo periodo di risparmi».

Agli inizi degli anni Settanta, il ritorno in Italia. A Torino si aprono i cancelli della fabbrica. La nuova realtà dell’industria, unita all’esperienza operaia già maturata, lo spinge a diffondere l’autentica vicissitudine del popolo siciliano, attraverso il teatro dialettale e la canzone popolare. Nei teatri piemontesi porta in giro lo spettacolo Lu pani si chiama pani e apriti terra e dammi sepoltura nel quale musica versi di Ignazio Buttitta. 

Lo spettacolo ebbe grande successo e fu ripreso da Rai1 con un ampio servizio nel telegiornale. «Fu lo stesso Ignazio Buttitta a volermi conoscere», racconta Salamone. «Da quel momento mi volle con sé in tutte le sue manifestazioni più importanti in giro per l‘Italia. Allora in tutti i giornali scrivevano “il cantastorie Nonò Salamone” e, per essere sincero, ciò mi dava un po’ fastidio. Ma pian piano mi abituai a questa nuova veste professionale al punto che divenne il mio mestiere».

In effetti, i cantastorie sono stati i giornalisti più antichi; il loro girovagare di continuo fra paesi piccoli e grandi, tra nazioni e continenti, ne ha fatto dei “corrieri” tra i più vivaci e dei “diffusori” di notizie tra i più efficaci. In una società in cui l’analfabetismo imperava e l’oscurantismo era favorito, con il solo aiuto della chitarra e dei “cartelloni”, sono stati preziosi e coloriti veicoli di comunicazione tra le genti. Per molto tempo hanno sostituito i giornali, la radio, la televisione in tempi in cui questi mezzi di comunicazione non esistevano… Oggi anche nel più sperduto villaggio l’informazione non viene più a mancare, il cantastorie ha perso il suo compito, quello di “commentatore” di fatti di sangue e di mafia, di gioia e di dolore dei piccoli momenti della vita di tutti i giorni e dei grandi avvenimenti di portata mondiale. 

Nonò Salamone sul palco della “Notte dei cantastorie” al Marranzano World Fest 2022 al Castello Ursino di Catania photo credit @ Nina Recupero

Per fortuna di Salamone, il cantastorie entrò a far parte del “business” discografico o televisivo. E un susseguirsi inaspettato di eventi ben presto lo travolse. È ospitato per diversi anni a Uno mattina e Cronache italiane. Partecipa a rassegne musicali nazionali e internazionali. Nel 1992, al Mondial Folk di Palermo, vince il premio “Rosa Balistreri” e nel 2007 il premio speciale “Enzo Di Pisa”. AI Beaubourg di Parigi è protagonista dello spettacolo La rivoluzione del cantastorie. La città francese è solo una delle tappe in cui si esibisce per gli emigranti italiani. Germania, Belgio, Svizzera, Inghilterra, America, Canada, Argentina, Cile, sono le altre. Ha inciso decine di dischi ed è stato oggetto di studio di tesi di laurea, Il suo nome figura nelle raccolte della Curcio e della Fabbri Editori, insieme a cantautori del calibro di Roberto Murolo e di Domenico Modugno, del quale è stato amico. Ma forse, il successo più grande è l’essere riuscito a seguire le orme paterne…

«Mio padre era un poeta popolare, io lo seguivo nei suoi spettacoli in piazza. Per me è stato un modello», ricorda con nostalgia e un pizzico di emozione. 

Nonò Salamone è tornato a Sutera nel 2010. «Ho sentito il richiamo delle origini», spiega. «Voglio morire nel mio paese, dove sono sepolti i miei genitori e mia moglie che mi ha lasciato due anni fa dopo quasi cinquant’anni di matrimonio».

La chitarra ancora non è appesa al muro. Tutt’altro. «Continuo a suonare e comporre. Scrivo di tutto, di quello che accade intorno, critico l’amministrazione comunale se qualcosa non va». E, con la complicità dei catanesi Lautari, progetta una svolta cantautorale.

Per la sua arte, Nonò Salamone è stato iscritto nel Libro dei Tesori Umani Viventi: «Considerata la rilevanza culturale della figura del cantastorie nella storia della cultura collettiva siciliana, di cui Nonò Salamone risulta essere uno dei più rinomati e meritevoli rappresentanti, la commissione ha ammesso per chiara fama l’iscrizione nel Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia». 

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