Storia

Neil Young, il rocker sulle barricate

Dalle battaglie contro la guerra, con la storica “Ohio” del 1970, alle sfide alle multinazionali, fino alla nuova “Love Earth” che annuncia l’uscita il prossimo 18 novembre di “World Record”, il cantautore canadese non ha mai smesso di utilizzare la sua voce, la sua chitarra e le sue canzoni come armi da mettere al servizio dei più deboli. Il nuovo album ha per tema la salvaguardia del Pianeta. «Dobbiamo aiutare la Terra a rigenerarsi. Se non possiamo farlo, non si potrà salvare l’umanità e tutti gli esseri viventi della Terra»

Gli anni Sessanta fecero sudare lo zio Sam. La guerra fredda fuori, le rivolte dentro. Scongiurando nel 1962 un confronto diretto contro l’allora URSS (crisi dei missili cubani), l’America si impantana in un conflitto in Vietnam che non finisce mai.

I neri americani hanno vinto il Civil Rights Act nel 1968. Una sanguinosa vittoria per i diritti civili. Perché sono anni sanguinosi per il Paese con cinquanta stelle sulla bandiera. Il piombo è stato trovato nei corpi dei Kennedy (presidente John Fitzgerald nel 1963, senatore Bobby nel 1968). Così come in quelli Malcolm X (1965), Martin Luther King (1968) e Fred Hampton (1969).

Una società profondamente divisa, la cui gioventù fece sentire sempre più la propria voce nella seconda metà degli anni Sessanta. Beatnik, hippy o semplici coscienze politicizzate, parte di questa generazione si solleverà contro il conservatorismo ambientale e la guerra in Vietnam di cui sentono il loro Paese colpevole.

Nel 1970 accadde l’impensabile. Al culmine di un clima di tensioni forse, ma che nessuno avrebbe voluto immaginare. Il 4 maggio in Ohio si svolge una manifestazione studentesca per la pace nel campus della Kate University. La Guardia Nazionale di Stato apre il fuoco: 4 morti e molti feriti.

Una scintilla e poi il dramma

Lui non c’era. Non era nemmeno negli Stati Uniti. Il canadese Neil Young firmerà tuttavia una delle canzoni di protesta più emblematiche del secolo. Lo spirito ribelle e il cuore indignato sicuramente, ma alla base una totale devozione alla musica.

Non c’è lui all’origine del brano For What It’s Worth, firmato Stephen Stills, con il quale condivide il gruppo: i Buffalo Springfield. Che pubblicano il brano nel 1967, titolo che divenne rapidamente l’emblema di una gioventù sempre più ribelle. La canzone fu scritta dopo la manifestazione di un gruppo di giovani hippie, fra cui Jack Nicholson e Peter Fonda (che venne anche arrestato dalla polizia) sul viale della Sunset Strip a Los Angeles nel novembre 1966. Le forze di polizia intervennero a ristabilire l’ordine con metodi violenti, picchiando i manifestanti e disperdendoli con i manganelli. Stills, testimone oculare dell’accaduto, decise di scrivere una canzone sulla vicenda.

Così come nell’agosto 1968 a Chicago, quando Graham Nash raccontò nella canzone che porta il nome della capitale dell’Illinois i violenti scontri tra giovani manifestanti, polizia locale e guardia statale 

Nel 1970, quando ancora né i documenti del Pentagono né lo scandalo Watergate avevano minato la fiducia degli americani nelle loro istituzioni, Nixon festeggia la sua prima candela come inquilino della Casa Bianca. L’inquilino della Casa Bianca, convinto di avere il sostegno di un’opinione pubblica “silenziosa”, intende dimostrare la sua intransigenza partecipando direttamente alla guerra civile cambogiana. È la scintilla per gli studenti della Kent University in Ohio.

Lunedì 4 maggio, mezzogiorno. Due giorni dopo che alcuni di loro hanno appiccato il fuoco al quartier generale del corpo di addestramento degli ufficiali di riserva del loro college, è prevista una manifestazione pacifica nel campus. Sul posto sono circa tremila manifestanti. Di fronte a loro ci sono tre unità della Guardia Nazionale dello Stato dell’Ohio. Granate a gas lacrimogeni da un lato. Pietre e insulti dall’altra. Dopo essersi ritrovati in un vicolo cieco a seguito di una brutta manovra, gli agenti di polizia ripiegano su una collina.

Ore 12:24. Un gruppo di soldati prende di mira gli studenti. In tredici secondi sparano sessantuno colpi. Quattro ragazzi cadono inerti al suolo. Nove sono gravemente feriti.

Neil Young

Nascita di un ribelle

I giovani del Paese sono traumatizzati. Il resto della popolazione meno, secondo un sondaggio nazionale, dal quale emerge che la maggior parte degli americani incolpa gli studenti. Loro, e non la Guardia Nazionale, sarebbero i responsabili.

Neil Young non è più un membro dei Buffalo Springfield, sciolti nel 1968. Non ci vuole molto, però, per trovare il suo ex compagno in Crosby, Stills e Nash. Un trio a cui va aggiunto l’anno successivo il nome del canadese, per dare il CNSY.

Fu durante questo anno eroico che pubblicarono Deja Vu, con il quale si esibirono con orgoglio sul palco di Woodstock ad agosto. Una nuova formazione per colui che in seguito sarà soprannominato The Loner (il solitario), e i compagni, che a differenza di lui, avevano già firmato diverse canzoni di protesta.

«Ero con alcuni amici tra le sequoie a Redwood, dopo siamo scesi, suonando musica per le persone. Eravamo in questo canyon, in una capanna di tronchi. Era bellissimo. C’erano animali e uccelli dappertutto», racconta il canadese nel documentario di Thomas Boujut, Neil Young – Les raisons de la colère. «Ero appena arrivato da Los Angeles, e abbiamo sentito che alcuni studenti erano stati uccisi a fucilate dalla Guardia Nazionale. Tristezza e dolore ci hanno invaso. Era tutto bellissimo. Eravamo seduti, tutto stava andando così bene. Ci siamo accorti che tutto era cambiato».

Questo è forse il vero inizio di Neil Young. La nascita di un artista impegnato che non smetterà mai di cantare le rivolte sue e degli altri. Eccolo qualche giorno dopo di nuovo in città, a Pescadero, in California. David Crosby gli viene incontro con sotto il braccio il numero mensile della rivista Life. Lo mostra a Young. In prima pagina, uno studente ferito a terra, lo sguardo rivolto al cielo, la bocca aperta, compagni tutt’intorno per aiutarlo. All’interno della rivista, pagine dedicate all’evento, foto che evidenziano l’orrore e la morte, l’intervista agli studenti, ai parenti delle vittime. Un secondo shock per Young. Il detonatore.

«Sono andato a fare una piccola passeggiata e sono tornato. Ho messo i testi su carta e ho preso la mia chitarra. Abbiamo registrato la canzone subito», prosegue Neil Young, nel documentario di Boujut.

Lui e Crosby volano immediatamente a Los Angeles per unirsi a Nash e Stills. Solo poche riprese in studio ed è nel nastro. Una registrazione dal vivo, a soli undici giorni dagli eventi.

Quando è stato pubblicato, in giugno, il singolo non ha ottenuto immediatamente il sostegno unanime. Alcuni attivisti accusarono il quartetto di voler fare soldi con un dramma. Altri continuarono ad attribuire la responsabilità agli studenti. Forse è anche questo il punto di forza del pezzo. Una canzone di protesta contro l’opinione pubblica. Non ci vorrà molto prima che venga ripreso dalla gente come un inno di protesta pacifista, uno dei primi grandi successi di CNSY, l’inizio di una lunga serie di titoli impegnati per Neil Young.

Soldati di latta e Nixon in arrivo / Finalmente siamo soli. / Quest’estate sento i tamburi / Quattro morti in Ohio. / Nixon e i suoi soldatini stanno arrivando. / Finalmente abbiamo la nostra libertà di pensiero. / Quest’estate sento i tamburi. / Quattro morti in Ohio

Neil Young, “Ohio”

«Ama la terra»

Da quel giorno, Neil Young non è mai sceso dalle barricate. Oltre a creare musica, The Loner ha intrapreso battaglie contro i più potenti. Ha denunciato le atrocità dei conquistadores in America Latina, ha condannato il conflitto iracheno, si è schierato contro Reagan, i due Bush e Trump, ha dato voce al movimento Occupy Wall Street, ha attaccato la Monsanto, multinazionale di biotecnologie agrarie e sementi transgeniche, ha lanciato una campagna di boicottaggio della Starbucks che compra il caffè dalla Monsanto. Ha sfidato Facebook, Google, Spotify e le multinazionali che inquinano il pianeta. Senza sosta ha parlato di pace, di amore, di lotta, di impegno. Ancora oggi, nonostante una vita segnata dalle malattie (dal diabete alla poliomelite, dall’epilessia all’ aneurisma che lo ha colpito nel 2005), il grande cantautore canadese, considerato il precursore del punk e del grunge, non è stanco di vivere in prima linea e di utilizzare la sua voce, la sua chitarra e le sue canzoni come armi da mettere al servizio dei più deboli.

Il prossimo 18 novembre, sei giorni dopo aver compiuto 77 anni, tornerà con World Record, album registrato con i Crazy Horse. Ad annunciarlo il primo singolo, Love Earth. Un disco «luminoso», promette un comunicato stampa, registrato dal vivo allo studio Shangri-la di Malibu e prodotto con l’aiuto di Rick Rubin. In questa raccolta di dieci titoli inediti, Neil Young invita a una meditazione ottimistica sul passato, presente e futuro della Terra e a riflettere sulle nostre azioni per preservarla. Un messaggio importante che distilla anche lui appena può sul suo sito, un vero e proprio forum per le sue crociate.

«Dobbiamo amare la Terra. Abbi cura di essa. Mantienila pulita. Aiutala a rigenerarsi. Se non possiamo farlo, non si potrà salvare l’umanità e tutti gli esseri viventi della Terra», scrive Neil Young commentando un articolo che analizza le ondate di siccità dal titolo “Dobbiamo sentire piangere questi poveri alberi”.

Un disco necessario secondo l’artista canadese, che nel singolo invita ad «amare la Terra» per «riportare indietro le stagioni» e ricorda «il cielo azzurro, l’aria pura e l’acqua cristallina». «Vivevamo con il sole e avevamo tutto. Vivevamo in un sogno», canta. Per uscire dall’inferno dei cambiamenti climatici, dell’estinzione degli animali e di altre ferite causate dall’Uomo, la soluzione per The Loner è semplice: «Ama la Terra, per avere amore in cambio».

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