Interviste

Mengoni: racconto la mia storia infinita

«A Sanremo per divertirmi: aprirò un lido dove succederanno varie cose». «Quando venni qui per la prima volta pensavano che fossi una meteora». Adesso è il favorito. «Resto fedele alla mia passione per la black music: sono appena tornato da un viaggio sulle rotte del blues»

Marco Mengoni torna al Festival a dieci anni esatti dalla vittoria con L’essenziale. Ed è lui il favorito secondo i bookmakers, davanti a Ultimo e Giorgia. Lui non ci pensa, a Sanremo, dice, è venuto per divertirsi. Tant’è che la prima cosa che annuncia è l’apertura di un non meglio precisato lido Mengoni a Sanremo, dove «succederanno varie cose, compreso un podcast mattutino con Fabio De Luigi, leggero, con commenti su cosa è successo la sera prima e sulle notizie del giorno».

E poi, spiega alla stampa convocata in presenza e in streaming, di aver detto sì ad «Ama deus ex machina», come lo chiama lui, perché ha la canzone giusta: «Due vite apre la fine del percorso di Materia. Questa canzone racconta la mia storia infinita, la ricerca di se stessi, qualcosa che non si scopre mai, che io ho intravisto nei miei sogni, nel mondo onirico su cui poi si interroga la mia parte razionale. È un’apocalisse lunare, un notturno, ma per me ha un valore molto positivo: dagli errori si impara, come dagli schiaffi, quanti ne ho presi nel 2013 all’Ariston».

Quell’anno nessuno avrebbe scommesso un cent su di lui. Secondo molti si trattava di una meteora. Invece… Invece arrivò il primo posto sul podio. «Allora arrivai a Sanremo in Cinquecento e con molti vestiti, mica avevo uno stilista, chi badava al trucco e parrucco. Avevo pensato che quell’esperienza avrebbe concluso il mio lavorare con la musica, che sarei tornato all’università. Avevo dubbi profondi. Ne ho ancora, ma diversi. Allora eravamo soltanto io e la mia manager, Marta Donà: mi avevano buttato sul palco del Festival appena uscito da X Factor».

“Se il gioco si fa duro è da giocare” cantava in L’essenziale. Questa volta racconta la voglia di isolarsi dal caos del mondo: “Restiamo al buio avvolti solo dal suono della voce al di là della follia che balla in tutte le cose”, canta in Due vite, ballata atipica piena di parole, scritta con Davide Petrella, alias Tropico, e Davide Simonetta.

Tenco nel 2013 mi sembrava un omaggio dovuto, stavolta avevo voglia di una cosa internazionale, magari anche per farmi perdonare la verbosità del pezzo con cui sono in gara. “Let it be” non è una canzone, è un inno

Marco Mengoni

Nel 2013 nella serata delle cover propose Ciao amore, ciao di Luigi Tenco, quest’anno ha optato per Let it be dei Beatles che interpreterà con l’accompagnamento del coro gospel londinese dei Kingdom Choir. «Allora, mi sembrava un omaggio dovuto, stavolta avevo voglia di una cosa internazionale, magari anche per farmi perdonare la verbosità del pezzo con cui sono in gara. Let it be non è una canzone, è un inno, scritto da tipi eccezionali, anzi soprattutto da un tipo eccezionale, Paul McCartney. Un inno alla vita, a lasciarla scorrere. Con l’aiuto dei tredici elementi del Kingdom Choir aggiungerò un sapore gospel al brano. Resto fedele alla passione per la black music. Sono appena tornato da un viaggio sulle rotte del blues: Alabama, Mississippi, Louisiana, New Orleans. Mia madre ascoltava musica afroamericana, io non ho mai smesso di frequentarla, di studiarla: mi calma, mi placa, mi distende, mi rende felice. Rispondo a un istinto».

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