– “Taranràh (Tarantella project)” è il titolo dell’album con cui l’allievo di Giovanni Sollima porta il suo violoncello nel regno di Sua Maestà “lu friscalettu di canna”
– «Abbiamo riarrangiato canti popolari siciliani, stravolgendoli, ma lasciandoli riconoscibili, con un gusto che avvicina l’ascoltatore alla musica colta», spiega il musicista di Menfi
Quando si ascolta Tarantella di Nonno Nino, il brano che apre Taranràh (Tarantella project) di Mauro Cottone, sembra di entrare nel mondo fantasmagorico di Fantasia, il classico della Disney. Se il capolavoro dell’animazione nacque dall’incontro fra il direttore d’orchestra britannico Leopold Stokowsky, Stravinsky ed il genio di Walt Disney, ebbene l’album del pupillo di Giovanni Sollima è una suggestiva sinestesia di suoni e colori, una fantasmagoria che sfiora i limiti dell’astrazione, nella quale la musica classica incontra le tradizioni popolari siciliane, la tarantella in particolare.
Per immergersi in quel mondo, Mauro Cottone ha portato il suo violoncello sulle colline di San Biagio Platani, nel più grande ovile che custodisce ben tremila capre girgentane, per entrare nel regno di Sua Maestà “lu friscalettu di canna”, quello che detta il ritmo delle suonate dei gruppi folkloristici e delle tarantelle. Ed ha tentato una impresa che nessuno, prima di lui, aveva mai sperimentato. Ovvero, ricreare con il suo strumento blasonato e nobile, alla stregua del friscalettu, «le immagini della Sicilia con i suoi colori, le sue tradizioni, le sue architetture e le sue Tarantelle».
Ha impiegato quattro anni per portare a termine questo esperimento. «Quattro anni di lavoro sul campo», racconta il musicista di Menfi. «Esattamente dal 31 dicembre 2020, quando Giovanni Sollima mi regalò a Capodanno il primo arrangiamento. Da lì è partito tutto… Giovanni mi ha sempre spronato in questa ricerca dei suoni mediterranei attraverso il folk».
«Quello di Mauro Cottone è un bellissimo progetto che racconta una terra», scrive Giovanni Sollima sulle note di copertina del disco. «Lo ha fatto attraverso il suo strumento – il violoncello – e attraverso una forma musicale famosissima forse mai esplorata più di tanto cioè la Tarantella Siciliana. Forma musicale che ha tutta una sua dinamica diversa dalla Pizzica Salentina o dalla Taranta e che Mauro riporta tutto alla dimensione espressiva del violoncello. Mauro è stato l’unico ad aver pensato a cercare, a ritrovare e a rileggere quelle radici!».
Mauro Cottone del celebre violoncellista palermitano è stato un allievo. Forse quello prediletto, tant’è che era chiamato ad aprire i concerti dei 100cellos, una delle avventure più ambiziose di Sollima, con il suo Cuntu, una raccolta di filastrocche siciliane inserita in questo album. La Tarantella Missinisa è il brano arrangiato da Sollima per violoncello solo che è stato il primo brano composto per il progetto. «Poi alcuni brani li ho “lavorati” io, mentre altri li ho affidati alle sapienti mani di miei amici compositori, come Giovanni Mattaliano, Silvio Lucido, Maurizio Bignone, Ceo Toscano, Nanà Gulino, Roberto Scolaro», continua Cottone. «Arrangiamenti per violoncello solo, per linee di violoncelli diversi, ma sempre suonati da me, e poi contrabbasso e violoncello, fisarmonica e violoncello, chitarra, piano e violoncello. Arrangiamenti svolti da autori provenienti dall’area classica e tutti siciliani, che stravolgono la tarantella, lasciandola riconoscibile però con un gusto che avvicina l’ascoltatore alla musica colta».
Perché Mauro Cottone spoglia la Tarantella da panzere e pon pon e la veste di abiti eleganti, ma pur sempre leggiadri, colorati e allegri come un minuetto in Tarantella di La Putia, ispirata dalla bottega d’arte del geniale pittore di Realmonte Giovanni Proietto; etnici in Tarantella dei Riflessi che viaggia fra Balcani e Maghreb. Porta con disinvoltura il chiodo di pelle nell’energica Kiovu – Abballati, Abballati, «con la K perché è rock». Indossa l’abito da sera nella title-track Taranrah, «sembra arabo ma non lo è, è più onomatopeico che altro», sorride Cottone. «È stata scritta da Giovanni Mattaliano, che insegna clarinetto jazz. Bella lunga, una composizione alla pari di un brano di Giovanni Sollima. Lascia la veste di connotazione folcloristica per vestirsi di un aspetto più classico, tecnico, più studiato nei particolari». Fa capolino Napoli fra arabeschi andalusi e blues.
Spesso la tarantella, nella rilettura del musicista di Menfi, perde la sua tendenza alla ballabilità, al ritmo. «La Tarantella è una tipologia di composizione in sei/ottavi, come potrebbe essere quella di Rossini, che però non è che sia ballabile, ma si chiama tarantella», spiega. «È una forma musicale trattata dai compositori sin dall’antichità, dal Barocco, poi assume varie sfaccettature. Nasce come una scrittura musicale, come la gavotta, il preludio, il minuetto. Si riferisce al tempo segnato in chiave, all’andamento ritmico, poi dipende dall’autore: assume la caratteristica del luogo».
Nel disco ci sono la Tarantella siciliana alla Saranniota, ovvero degli abitanti di Salina Grande (Trapani), e quella Missinisa. Ci sono differenze territoriali?
«No, non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo: non sono legate al luogo di appartenenza. Entrambe le tarantelle, ad esempio, sono state scritte da autori catanesi».
Fra tante tarantelle come si deve interpretare la presenza di Vitti ‘na Crozza?
«Vitti ‘na crozza come Sulitati non c’entrano proprio niente. La prima l’ho messa dentro perché in qualche modo è la Sicilia, parla delle zolfatare, del lavoro nelle miniere e io l’ho voluta arrangiare in omaggio ad Agrigento, la città dove vivo da sei anni. Spesso mi sono trovato a confrontarmi con la canzone che l’empedoclino Franco Li Causi scrisse per il film Il cammino della speranza del regista Pietro Germi. La eseguo filologicamente per violoncello solo. Sulitati (che vuol dire solitudine) è stata scritta da mio padre per flauto solo, ma io l’ho trasformata per violoncello. Sono tracce più lontane dal contesto, sono più meditative, più riflessive».
Sono la leggerezza e la grazia il filo rosso dell’album di Cottone, un esordio dopo anni trascorsi a collaborare in tutti i generi musicali e nelle combinazioni più disparate. Una lunga esperienza, non soltanto concertistica, ma anche teatrale, che riversa in questo lavoro. Il violoncello si interfaccia con le percussioni, con la voce stessa di Cottone che è una specie di “cuntastorie”, uscendo spesso, sulla scia del suo maestro, dai canoni tradizionali. E c’è molta teatralità in brani come il citato Cuntu o nel divertissement di ‘Ommari, dove il grammelot si unisce a rumori registrati. «‘Ommari è un arnese per arare il terreno, e nel brano dovevo evocare sonorità e colori del mondo agricolo. Sono andato in campagna ed ho improvvisato con il telefonino, ho lasciato pure dentro la voce di mia figlia che mi aveva accompagnato. Alla fine, una dedica al barone Planeta, il cavaliere di Menfi che ha creato l’impero del vino».
L’attenzione per la musica classica, il rispetto per il tessuto delle tradizioni e la libertà artistica fanno di Taranràh (Tarantella project) un’opera coraggiosa, pionieristica, originale, che cambia il modo di percepire quella che per antonomasia è considerata un tipo di danza popolare meridionale, restituendole quella dignità e quella classicità che una riproduzione oleografica le aveva sottratto.
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