Interviste

Marco Selvaggio surfa con l’hang nel mare della musica

Il musicista e cantautore catanese pubblica l’Ep “Island”, in cui l’acqua è il filo conduttore. Un disco elettro-pop, realizzato con il contributo del Producer inglese T. O. L. D. Con il suo particolare strumento suona in tutto il mondo. Il concerto con Ludovico Einaudi e la prossima avventura con il videomaker etneo Emilio Messina
La copertina di “Island”

“Questi laghi non sono la mia terra” fa cantare ai suoi nuovi compagni di avventura nel singolo Island che dà il titolo al progetto con il quale inaugura il 2023. Perché gli orizzonti di Marco Selvaggio non possono restare chiusi fra le montagne del Varesotto, dove lavora, ma hanno bisogno dell’immensità del mare della Sicilia dove è nato e cresciuto. Per surfare, per suonare, per sognare. 

«Per fortuna vivo vicino all’aeroporto di Malpensa e ogni volta che posso prendo un aereo e parto per le mie avventure con il mio hang». Che, per chi non lo sapesse, è un rarissimo strumento a percussioni realizzato da pochi artigiani in Svizzera. Il musicista e cantautore catanese lo porta con sé per tutto il mondo: «È il mio bagaglio a mano».

Dopo la laurea in Giurisprudenza a Catania, Marco è diventato avvocato, ha vinto un concorso pubblico e ora lavora a Varese, ma la sua vita resta la musica. Percussionista poliedrico, sempre alla ricerca della creatività e della sperimentazione del suono in tutte le sue sfumature. Usando il suo hang come una tavola, surfa nel mare della musica: dai ritmi tribali al chill out, dall’house all’elettronica. Ha inciso due album di successo: The eternal dreamer e Aether, oltre ad alcuni Ep, uno di quattro canzoni composte tramite Skype con una chitarrista canadese, Lea, conosciuta su Instagram, l’altro di tre pezzi realizzato con un producer peruviano. Ha duettato con diversi artisti, tra cui la cantante Arisa e la dj milanese Nora Bee, suonando ai concerti di Ludovico Einaudi al Teatro Dal Verme di Milano. «Quando ci siamo incontrati nel backstage, gli sono andato incontro per ringraziarlo: “Marco, grazie a te, sei tu quello bravo”, mi ha accolto. Non escludo che possa nascere qualcosa insieme».

Per il momento c’è da promuovere Island, l’Ep in uscita il 6 gennaio, che ha per tema l’acqua, il mare, con una immancabile dedica alla Sicilia, nella ballad che fa da finale al disco. «Con questo Ep adesso esploro l’elettro-pop, gruppi che amo come The XX», spiega. «Cercavo un produttore che si adattasse a queste mie idee e l’ho trovato in T.O.L.D. producer e cantante inglese che con la sua Lucifer’s Eyes ha raggiunto gli oltre 2.700.000 ascolti su Spotify. L’ho contattato su Internet e lui ha accettato di lavorare insieme. I brani vedono la sua voce affiancata a quella della sua fidanzata, la cantante inglese Krystall Scott in arte USE».

Canzoni borderline, che corrono sinuose, sognanti e soffici al confine tra elettronica e pop, ambient e indie, tropici e dance, in cui l’hang drum di Selvaggio assume un ruolo melodico. «Quello che mi interessava è il prodotto finale», spiega l’autore. «Non pretendevo che il mio strumento avesse un ruolo centrale, ma l’amalgama fra i suoni. Quando vado in giro mi esibisco da solista e capisco che l’hang può stufare. Quindi ho bisogno di spezzare».

Non a caso, da alcuni tempi Marco Selvaggio viaggia con il suo hang drum e l’iPad sul quale ha scaricato un’App che gli consente di avere uno strumento che produce diversi loop. 

Il video di Island è stato girato alle Canarie, nell’isola di Fuerteventura, fra la costa di Cotillo ed il labirinto di Wolf Patton. «Un luogo dove vado almeno tre o quattro volte l’anno per fare surf», racconta. «L’anno scorso sono stato ospite del raduno internazionale di tutti i suonatori di hang che è stato organizzato a Fuerteventura. Lì ho conosciuto un videomaker di Barcellona con il quale ho girato il video».

Una composizione con gli scatti ricordo dei viaggi di Marco Selvaggio

Ogni viaggio è una nuova esperienza, una nuova conoscenza, che porta a collaborazioni e scambi culturali. E ogni luogo può diventare fonte di ispirazione per una nuova composizione. «Amo i posti suggestivi, intimi e la natura con il cielo stellato. Ricordo le terme Achilliane sotto il Duomo di Catania (con l’orchestra), una caverna illuminata dalle candele (ho ripetuto per otto volte di fila nella stessa serata la mia performance perché potevano entrare al massimo trenta persone), a Salina il palco era a strapiombo sul mare, come cornice c’erano i delfini che saltavano e il tramonto rosso».

Come non può dimenticare l’esibizione al Teatro Bellini di Catania, il cui video ha migliaia di visualizzazioni su YouTube ed è il suo pass per suonare in tutti i Paesi. Ha tenuto concerti in Vietnam, Argentina, Thailandia, Cambogia, Birmania, Libano, Marocco, Sud Africa, Norvegia, Francia, Spagna, Islanda, Canarie e Perù. «Quando parto, stabilisco l’itinerario e, appena ho chiari i luoghi dove andare, contatto locali, agenzie, dj, radio per organizzare piccoli concerti. Naturalmente invio la mia scheda e alcuni video. Quello registrato al “Bellini” li conquista subito. E tutti mi dicono sì».

L’HANG ha due parti convesse di metallo unite l’una all’altra: il lato ding e quello gu. Il primo ha otto zone tonali poste nella parte più esterna del corpo. Al centro c’è una sorta di cupola che percossa produce un suono simile a un gong. Il secondo, invece, è prevalentemente studiato come cassa risonante. Ha un diametro di 53 centimetri e un’altezza di 24. È uno degli strumenti più rari al mondo di origine svizzera, di cui esistono poco più di 10.000 esemplari

Le sue composizioni sono molto apprezzate all’estero. «Ho sempre un riscontro positivo perché sono attratti dalla mia particolarità. L’Asia è particolarmente recettiva, nei concerti in Vietnam c’era un silenzio totale, religioso. A Cuzco, in Perù, alcuni musicisti locali, un batterista e un trombettista, hanno voluto suonare con me. Sempre in Perù mi sono unito ad alcuni artisti di strada che facevano musiche etniche e il connubio ha funzionato molto bene. L’hang è uno strumento duttile, che si adatta a diversi generi, anche alla classica».

L’hang ha un diametro di 53 centimetri, un’altezza di 24 e pesa fra i 7 ed i 9 chili. Non è faticoso viaggiare con questo fardello sulle spalle?

«Ho la schiena distrutta. È il mio guscio di tartaruga incorporato. Un peso che, dopo un po’, ti distrugge. Ora suono un po’ di meno. Il problema è che non lo faccio per il guadagno, ma per piacere, per l’amore della musica».

È tempo di tornare in ufficio, dove lavorerà sino a tarda ora per accumulare ore di straordinario che poi trasforma in ferie per i suoi viaggi nel mondo. «Un mese di duro lavoro e in febbraio si parte di nuovo», è felice solo a pensarci. «Stavolta non sarò solo, ma in compagnia di un amico, il videomaker catanese Emilio Messina. Dalla Colombia alla Bolivia per poi andare in Cile attraversando in jeep il Salar di Uyuni, la più grande distesa salata al mondo».

Non sarà un viaggio musicale, ma sulle spalle porterà sempre il suo hang drum, come se fosse la coperta di Linus.

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