Interviste

Marco Ligabue, una vita da fratello

Il rocker emiliano sabato 17 settembre in concerto a Monterosso Almo. In un libro e in un disco racconta la sua storia, dalla balera di famiglia, «dove veniva Vasco Rossi a mettere i dischi», ai fischi in Sardegna a causa del suo cognome. E poi il rapporto con Luciano: «Per me è molto bello camminare al suo fianco e vivere questo percorso insieme. Certo, è un’arma a doppio taglio. Il mio nome suscita curiosità, ma anche diffidenza»

“Una vita da mediano / Lavorando come Oriali / Anni di fatica e botte”. Più che da mediano, quella di Marco Ligabue è una vita da fratello. Con un cognome impegnativo, ma nessuna voglia di staccarselo di dosso. Perché parte delle proprie radici, di un rapporto sincero e discreto. Nato Tra Via Emilia e blue jeans o Lambrusco e popcorn, fra sogni di rock’n’roll e luci stroboscopiche al Tropical, una balera della nebbiosa Bassa modenese.

“Al Tropical c’era la nebbia” attacca il fratello del Liga nel brano che dà il titolo dell’album con cui ha spento 50 candeline prima che la pandemia lo bloccasse. «Il Tropical è il motivo per cui io e Luciano siamo diventati due rocker», racconta “on the road” tra un concerto e l’altro del suo Sarà bellissimo tour 2022 che sabato 17 settembre farà tappa in piazza Martiri a Monterosso Almo (Ragusa). «Era la balera che i nostri genitori, appassionati di musica, avevano aperto negli anni Settanta a Rovereto di Secchia. Venivano a suonare le orchestre di liscio. Poi cominciarono a ospitare concerti: Ivan Graziani, Andrea Mingardi, Luciano Pavarotti, Francesco Guccini, Equipe 84. La domenica pomeriggio veniva Vasco Rossi a mettere dischi, a quel tempo faceva il dj in una radio. Io e Luciano siamo cresciuti lì, in mezzo al mondo dello spettacolo».

“Diventar grande era l’unica fretta”, continua a cantare l’incantautore emiliano, come si fa definire. Ascoltando al bar i racconti dei ragazzi più grandi che tornavano dalla riviera, descrivendo storie d’amore e conquiste femminili favolose. E quando Marco compie 18 anni carica a bordo del suo Maggiolone gli amici per andare a trascorrere il Ferragosto a Riccione. «Conquistai una svedese e la portai a Correggio, su quello che successe dopo è meglio calare un velo pietoso…», ride.

Quando arriva il giorno in cui “Mio fratello che balla sul mondo / Tutta l’Italia si accorge di un borgo / E mentre mi passa chitarra e fandango”. Siamo negli anni Ottanta. Il secondogenito della famiglia Ligabue faceva da “buttadentro”, «andavo per i bar del paese a offrire giri da bere per racimolare spettatori», ricorda. «Poi nel 1990 Luciano è esploso, e mi sono trovato in casa tutto il mondo della musica a mangiare i cappelletti di mamma».

La band era anche un modo per nascondermi. Suonavo la chitarra, scrivevo le canzoni. Non ero in primo piano. Vedevo davanti a me un muro troppo grande da superare

Marco Ligabue

Ma non ha imbracciato la chitarra anche lui per spirito di emulazione. «La prima chitarra me la regalò Luciano. Fu lui ad accendere la scintilla. Ma la musica l’avevamo nel Dna, si era formato nella balera dei miei». E non si può dire che sia un raccomandato. Il fratello di Luciano in tutti questi anni, mentre coordinava i siti Bar Mario e Ligachannel o gli faceva da consulente a 360 gradi, ha mantenuto un profilo lieve, mai invasivo, suonando e cantando prima con i Blouson Noir, «una band di amici, fatta solo per stare assieme. Poi con Little Taver & His Crazy Alligators, con la quale suonavamo rock’n’roll anni Cinquanta ed ho cominciato a prendere confidenza con i palchi. Infine, i Rio, per rispondere alle mie esigenze musicali, che mi portavano a fare cose diverse, in italiano. La band era anche un modo per nascondermi. Suonavo la chitarra, scrivevo le canzoni. Non ero in primo piano. Vedevo davanti a me un muro troppo grande da superare».

Marco Ligabue

Un muro che ha voluto oltrepassare alla svolta dei 40 anni. Quando è diventato papà di Viola. «Ho deciso di mettermi da solo, diventare frontman. Diventare papà ti fa avere una consapevolezza diversa, prima eri l’eterno bambino. Essere padre ti dà maggiore sicurezza, più consapevolezza nei tuoi mezzi, più forza».

Quella forza alla quale ha dovuto richiamarsi quando alla festa di Mondo Ichnusa fu subissato dai fischi di 60mila spettatori. «Aprivo il concerto di Caparezza. Me ne dissero di tutti i colori», sorride. «Mi ricoprirono di fischi forse perché volevano Caparezza, forse per il mio nome. Dopo due pezzi stavo per farmi prendere dallo sconforto, ma è nei momenti difficili che noi emiliani riusciamo a trovare forze inaspettate. Feci un discorso duro e riuscì a finire tranquillamente l’esibizione».

In Sicilia Marco Ligabue non ha di questi timori. Qui è stato sempre benvenuto. «Lo vedo anche nella risposta del pubblico ai concerti di Luciano. C’è sempre il “sold out” ai nostri concerti. Siamo benvoluti entrambi. Il legame con l’Isola è forte, ho collaborato con Lello Analfino dei Tinturia in un progetto sociale specifico per la Sicilia».

Il libro “Salutami tuo fratello” scritto da Marco Ligabue

Sempre sorridente e determinato come solo lui sa essere, Marco Ligabue racconta la sua storia in un libro, il cui «titolo è legato al fatto che nella mia vita c’è sempre stato il classico refrain: Salutami mio fratello», e nella raccolta Tra Via Emilia e blue jeans, contenente le sue canzoni più amate che riepilogano trent’anni di musica, prima da chitarrista e poi da cantautore, e che faranno parte della scaletta del concerto di sabato 17 a Monterosso Almo.

In conclusione, Marco Ligabue, suo fratello è stato un aiuto o una zavorra?

«Ho vissuto molto tempo accanto a Luciano, da lui ho imparato molte cose. Ho cercato di lavorare sempre a testa bassa, con caparbietà. Non ho mai vissuto il nostro rapporto con un senso di disagio. Ci vogliamo molto bene. Luciano è meno espansivo, ma quando parla è molto centrato. Dà peso ad ogni singola parola. Per me è molto bello camminare al suo fianco e vivere questo percorso insieme. Certo, è un’arma a doppio taglio. Il mio nome suscita curiosità, ma anche diffidenza. Molti si accostano a me con pregiudizi, “ah, è lì per il fratello famoso”. C’è un paragone già prima di iniziare. Ed è diventato più difficile da quando ho scelto la strada del cantautore, del frontman, la stessa di Luciano. Mi piacciono le sfide, non mi piace stare nella mia comfort zone. Diciamo che ho vissuto i due lati della medaglia».

Capiterà mai di vedervi cantare insieme?

«Mai dire mai. Quest’anno è accaduto a Campovolo: durante il raduno con i fans club, abbiamo improvvisato insieme Sogni di rock’n’roll. Il duetto, se deve nascere, deve avvenire in modo spontaneo. Se verrà, ben venga».

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