Interviste

Le due Lucia Filaci unite dall’armonia

Soprano lirico leggero e cantante jazz, le strade parallele dell’artista romana che debutta con l’album “A tu per tu” dove mette a confronto le sue anime. «È la fotografia della mia carriera, nella quale swing e lirica camminano in parallelo». Ellington in versione operistica in una ironica e spumeggiante corsa fra tanti stili
La copertina dell’album

A sinistra, c’è Lucia Filaci sbarazzina, con i capelli ondulati sciolti, giubbotto nero, l’amante dello swing, ironica e spiritosa. A destra, c’è l’altra Lucia Filaci, capelli raccolti in uno chignon basso, giacca e foulard, sempre sorridente, ma più rigorosa, soprano lirico leggero. L’una di fronte all’altra, A tu per tu, come indica il titolo del suo album d’esordio, strabiliante duello di bravura fra le due. 

«L’album è la fotografia della mia carriera, nella quale jazz e lirica camminano in parallelo», racconta l’artista romana dall’anima napoletana, figlia di un batterista jazz e di una ballerina. «Fin da quando entrai al Conservatorio di Terni e il primo giorno, sulla bacheca dell’istituto, lessi l’annuncio di una big band che cercava una cantante. In repertorio avevano brani di Ella Fitzgerald, la cantante che mi ha fatto scoccare la prima scintilla per il jazz quando ero adolescente. La sua voce è una cura per l’anima, possiede dolcezza e passione, allo stesso tempo riesce a essere veloce e “scat”. Risposi, quindi, a quell’annuncio e fu amore a prima vista. Da quel momento lirica e jazz hanno seguito strade parallele, anche se spesso cerco di farle intrecciare».

Come nel pezzo di bravura di In my swing mood, che apre l’album e nel quale canta: “La mia voce è questa qua” e da uno strabiliante “scat” passa a gorgheggi da soprano. O, ancora, nella straordinaria versione “operistica” di Serenade to Sweden, pietra miliare autografata dall’immenso Duke Ellington. 

L’amore per lo swing s’insinua, infatti, anche nell’altra Lucia. Che sta alla larga da Verdi, Puccini e Bellini, «anche se li ho studiati tantissimo e li amo», tiene a sottolineare. E che predilige un repertorio cameristico del Novecento, «che ha qualcosa di ibrido fra l’Opera e la musica americana». Alla Traviata preferisce le musiche di Nino Rota, alla Tosca il The Medium di Giancarlo Menotti, alla Norma il songbook di Leonard Bernstein o il repertorio del Quartetto Cetra. 

Le eccellenti doti canore di Lucia Filaci le consentono di giocare con la musica con una facilità strabiliante, di spaziare in tutti gli stili. Donna Lee di Charlie Parker è un esercizio di maestria. È donna sentimentale fra ritmi caraibici in Estate sei mia, “sophisticated lady” in Siamo il jazz, una “garota” sbarazzina in Sembra un samba. Riscopre l’anima napoletana e l’avanspettacolo nello spassoso can can di Friariello swing. Passa dal blues al funky al jive in Indecisione blues, per poi affrontare spavaldamente audaci raffronti con Mina e Rita Pavone nella cover di Che m’importa del mondo

Lucia Filaci, artista romana con anima napoletana

«La musica è il mio lavoro, è ciò che amo fare, espressione di quello che sono», spiega. «E penso di essere autoironica, simpatica, esprimo energia e sono sempre positiva». Caratteri che l’artista romana, pupilla di Nicky Nicolai e Stefano Di Battista, ha rintracciato nella folle era dello swing e negli impasti vocali della sua “omonima” Lucia, Mannucci, con il Quartetto Cetra.

Intrecci vocali, arrangiamenti swing e una spiccata predilezione jazz conditi da ironia e intelligenza. Proposte artistiche originali e di altissimo livello in una atmosfera vintage, simile a quella dei club degli anni Quaranta. Ed i valenti musicisti che accompagnano Lucia Filaci facilitano la creazione di questa ambientazione “live”. Grandi firme del jazz nazionale come Andrea Beneventano (pianoforte), Dario Rosciglione (contrabbasso) e l’antesignano Gegè Munari (batteria) a 88 anni ancora a picchiare o spazzolare con le bacchette su piatti e tamburi. «È stata una fortuna poter contare su questi musicisti straordinari, ottenere la loro fiducia», sottolinea Lucia. «Hanno contribuito agli arrangiamenti, sono state importanti figure di riferimento. Mi hanno saputo dare slancio, energia, idee, che soltanto i grandi riescono a offrire».

Lei ha detto che la musica è il suo lavoro. Le maggiori opportunità che offre il mondo classico non possono far prevalere la cantante lirica sulla jazzsinger?

«Lavorare con la musica non è semplice, è vero. L’importante, però, è credere nel proprio percorso ed essere coerenti. Poi le occasioni vengono fuori. Indubbiamente il mondo classico offre più vantaggi. Ci sono eventi più grandi che prevedono tempi lunghi fra prove e recite. Il concerto jazz, invece, si conclude in una sera. Io cerco sempre proposte dove possono far convivere le due Lucia, con richiami al jazz o al musical».

Quali sono, se ci sono, i confini della sua musica?

«Dopo aver fatto anche musica contemporanea, tendo a non pormi limiti. Amo tutte le musiche, anche il pop. Mi piace esplorare, sperimentare territori nuovi, mantenendo però un mio stile. Nel cassetto ho anche il sogno di Sanremo. Chi non ci andrebbe. L’ho sempre visto, mi piacerebbe avere anche questa esperienza».

Ma alla fine chi vince fra le due Lucia? Il confronto finisce in parità. Come canta in Siamo il jazz, sono “due diverse melodie messe insieme dall’armonia”.

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