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La musica popolare per non spopolare la terra

– A Cursi, nel Salento, piccoli agricoltori, artigiani, amministratori e musicisti inventano l’”artecoltura”
– Fare cultura partendo da un quotidiano fatto di suoni, colori, dialetto, abitudini e cibo. «Qui tutti suonano»
– Alfio Antico scelto come “guida spirituale” «perché ci riporta in quel vissuto»

«Alla fine, tutti qui dovevano venire. A Galatina. Qui il Santo faceva il miracolo alle tarantolate». L’anziano socio della Società Operaia di Mutuo Soccorso rivendica il ruolo centrale di Galatina nel comprensorio della taranta. 

I Santi sono due in verità: Pietro e Paolo, ma è in particolare il secondo quello con le capacità di curare le donne dal morso del ragno. Ed era qui, a Galatina, nel cuore del Salento, che ogni 29 giugno fino al termine degli anni Settanta le persone si raccoglievano per chiedere il miracolo.

I LUOGHI: Melpignano (in alto), la chiesa di san Pietro e Paolo a Galatina (al centro), Palazzo Di Donno a Cursi (in basso a sinistra), tamburi in legno d’ulivo a Cursi

Viaggio fra i misteri del Salento

«Venivano da tutto il Salento, anche dalla Murgia. Chi sul carretto, chi in groppa a un animale, chi a piedi. Sempre accompagnati da suonatori. Perché la musica era preparatoria, serviva alla cura dal morso», prosegue il nostro Virgilio. 

Le famiglie si ammassavano davanti alla cappella di san Paolo. Si aprivano a fatica un varco nella ressa attorno alla bocca di un pozzo, dal quale veniva attinta un’acqua prodigiosa. «Appena uno dei tiragni compariva, dieci, venti mani arraffavano e intorno all’orlo del recipiente le bocche si protendevano bramose», scrive Giovanni Vincenzi nell’introduzione al libro Le tarantate di Galatina di Gianfranco Conese. «Due, tre, cinque tarantolate avevan bevuto. Molte si levavano in piedi… La voce del miracolo traboccava fuori, sulla piazza».

Il pasticciotto

Se Galatina, patria anche del pasticciotto, è la tappa finale dell’odissea della tarantata, l’inizio ha il suono di un tamburello. La prima cura consisteva nel far ballare nella propria casa la malata. Instancabilmente e ripetendo cicli di movimento che alludono simbolicamente alla particolare specie di ragno dal quale sarebbe stata morsicata. Violino, fisarmonica e tamburello “scazzavano” (stimolavano) la tarantata con una serie di motivi popolari (la pizzica) finché veniva raggiunta la trance che spingeva la malata alla danza. 

La musica come elemento decisivo nella riorganizzazione di queste comunità che hanno conservato le loro abitudini

Giovanni Epifani
Giovanni Epifani

È per questo motivo che la musica scorre nel sangue dei salentini. «Qui tutti suonano», sottolinea Giovanni Epifani, paroliere e ideatore dell’evento svoltosi sabato 14 ottobre a Cursi, nel triangolo della Taranta, a cinque minuti da Melpignano, location del celebre concertone di fine agosto, ed a dieci da Galatina. È stato un incontro che ha messo assieme nello storico Palazzo Di Donno del piccolo centro agricolo salentino piccoli agricoltori, alfieri dell’agricoltura sostenibile, artigiani, creatori e suonatori di tamburo, «perché è lo strumento più vicino alla terra, in quanto fatto nel Salento con il legno dell’ulivo». Quell’ulivo oggi reso spettrale dalla famigerata Xylella. 

Un albero d’olivo attaccato dalla Xylella

«Riorganizzare le comunità» 

L’iniziativa vuol essere una piccola rivincita, un testimone che viene impugnato da produttori agricoli, amministratori locali, artigiani, musicisti popolari, docenti di scuola media appartenenti all’entroterra salentino, quello dell’autoproduzione di sopravvivenza, della biodiversità, del km0, dei giovani che fuggono verso le luci delle grandi metropoli, ma anche di quelli che tornano, dopo aver conseguito una laurea, per ritrovare se stessi, valori veri, e avviare produzioni di eccellenza agricola. 

Una via per non perdere contro il tempo e l’abbandono è creare un sentimento di attaccamento al territorio. «Abbiamo bisogno di nuove coscienze più che di nuovi mercati», arringa un giovane rappresentante di SeminAzioni che ha organizzato la mietitura del grano al ritmo “live” dei Sud Sound System.

L’altra via, parallela, è quella di far conoscere e diffondere la cultura dell’entroterra. Anzi l’«artecoltura», come l’ha definisce Epifani, coniando un nuovo termine. Che, tradotto, vuol dire: «Musica popolare per non Spopolare questa terra», spiega. «Perché qui tutti suonano». Una sorta di invito a fare cultura partendo da un quotidiano fatto di suoni, colori, dialetto, abitudini e cibo. «La musica come elemento decisivo nella riorganizzazione di queste comunità che hanno conservato le loro abitudini».

Mario Salvi, suonatore e docente di organetto

Da Villa Castelli a Ceglie Messapica

A Villa Castelli, ad esempio, paese del Brindisino di poco meno di novemila anime, suonano davvero tutti. Tanto che è stato aperto un Centro accademico musicale dove ci sono corsi di strumenti popolari. «Ancora si va in giro nelle campagne a organizzare serenate e qualche pizzica. Ci sono intere famiglie di suonatori», racconta Mario Salvi, un romano che ha scoperto a Cisternino le sue origini e l’organetto, che adesso insegna al Cam di Villa Castelli. «Nella Bassa Murgia, o Alto Salento come si vuole certe volte definire, ho trovato terreno fertile ed ho scoperto l’organetto. A Cisternino e, ancor più, a Villa Castelli ho conosciuto suonatori anziani che mi hanno aiutato ad approfondire i moduli esecutivi e lo stile. A Villa Castelli oggi c’è una densità di suonatori di organetto notevolissima, siamo riusciti a tirare su una presenza attiva e significativa in un paese che l’aveva quasi persa».

Lillino Silibello della trattoria Cibus di Ceglie Messapica. Sull’ingresso della porta, una foto di Alfio Antico

È come la cucina di Cibus, la trattoria di Lillino Silibello a Ceglie Messapica. Una cucina dissidente che comincia dal basso, dalle mani, dalla terra, dalla fatica. Il dissidio con le logiche industriali si manifesta di varietà antiche, di materie prime e nella ricerca di processi di trasformazione puramente tradizionali figli di incontri tra contadini e artigiani. È una forma di resistenza per non lasciarsi inglobare dal mercato globale, per mantenere sapori dimenticati. «Il cibo non soltanto come elemento di piacere ma anche come chiave per penetrare la cultura e la storia dei luoghi».

Incontro fra “giganti” del tamburo

Guida spirituale di questo movimento che parte dall’entroterra salentino è stato scelto Alfio Antico. Il lentinese è stato l’ospite d’onore dell’incontro fra “giganti” dei tamburi che ha visto per protagonisti anche Andrea Piccioni, Federico Laganà e Sergio Pizza. 

GIGANTI DEL TAMBURO: da sinistra, Federico Laganà, Alfio Antico, Sergio Pizza e Andrea Piccioni (per l’occasione al marranzano)

«Alfio Antico perché ci riporta in quel vissuto», spiega Epifani. «Ascoltare come lo racconta è un incanto, ci porta in una dimensione che non è quella attuale. Alfio è una roccia che nessuno riesce a scalfire». 

La comunità come punto di partenza e di arrivo. E, all’incontro di Cursi, sono arrivati musicisti d’ogni parte della Puglia. Per ritrovarsi attorno a un tamburello d’olivo o in un cerchio canoro. Soltanto per la gioia di stare insieme, di fare musica, per curarsi dal morso malinconico del ragno. 

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