Storia

La festa dei giudei, trombe e “pumpini”

Per le vie di San Fratello nei giorni della tradizionale ricorrenza in occasione della Settimana Santa. Tanti emigrati tornano per indossare lo “sbirrjan” e molti giovanissimi seguono le orme dei nonni. Si gira un docu-film per promuovere il paesino dei Nebrodi nel mondo
Benito Gentile

Giubba giallo-rossa, ricoperta di ricami e perline, e code di volpe al posto di quella di cavallo. «Perché io sono più furbo», ride Benito Gentile mentre indossa lo “sbirrjan”, come chiamano in lingua gallo-italica il cappuccio con il simbolo della croce che nasconde il volto del “giudeo”. Benito vive in Lussemburgo da cinquant’anni, ma non manca mai di tornare a San Fratello in occasione della Settimana Santa per indossare il costume del “giudeo” e prendere parte attiva alla tre giorni di festa.

«Nel 1967 ho lasciato il paese, avevo 15 anni», racconta. «In Lussemburgo già c’era mia sorella che era emigrata due anni prima. Io arrivai una domenica e, l’indomani, lunedì già lavoravo: mio cognato mi aveva trovato un impiego». Autista. E lo è stato per cinquant’anni, prima di mettersi in pensione, «ma ogni anno ero qui per Pasqua, tranne un anno quando si è sposata mia figlia». Che di “giudei” non ne vuole sapere. «Mia figlia viene in Sicilia per le vacanze, in estate, per il mare. Non sono riuscito a tramandare questa tradizione», si rammarica Benito.

È questo il timore di molti sanfratellani. La paura che le loro tradizioni, la loro lingua, la loro comunità si disperdano. Un fenomeno cominciato nel 1922 quando una devastante frana portò morte e terrore a San Fratello. «Prima eravamo quasi dodicimila abitanti, oggi siamo meno di quattromila. In tanti preferiscono andare a vivere ad Acquedolci o lasciare la Sicilia», osserva con amarezza Benedetto Cracò, anche lui “giudeo”. 

Eppure, passeggiando in questi giorni lungo via Roma e in Cian du Munumant, come è detta in gallo-italico Piazza del monumento, sono tanti i gruppi di ragazzini che indossano i costumi lasciati in eredità dal nonno o dallo zio, strombettando per le vie del paese o nelle case di amici e parlando tra loro nella lingua che mescola siciliano e dialetti del nord d’Italia. Il più piccolo ha 9 anni, il «più grande» 14. Per Paolo Bellitto, 10 anni, è la prima volta: «Perché a mio papà non piace». Lui si è lasciato trascinare dai parenti della mamma. Kevin, 9 anni, è già alla sua sesta volta: «Ho cominciato nel 2018 a vestirmi da giudeo: la giubba è di mio nonno». Antonio, il “più grande”, è anche alla prima volta: «Quand’ero piccolo i giudei non mi piacevano, adesso sì. Volevo provare anche io, anche per portare questa giubba antichissima che è appartenuta al papà di Anna Calcò, la vicepreside della scuola Manzoni». 

Sono dei nonni anche le trombette nelle quali soffiano a pieni polmoni. Non suonano rap, né canzoni di Sanremo, ma marcette militari, pezzi tradizionali, ascoltati da giudei più grandi. «Musiche tramandate dagli anziani», spiega Filadelfio Rausa, un giudeo “più grande”. «Brani che mettono insieme frasi da canzonette, segnali militari, motivetti inventati». 

La tromba

Tutti autodidatti. La scuola è la festa, l’imitazione del giudeo adulto. Anche per Filadelfio. Ha 31 anni, da dieci vive e lavora a Bristol, Gran Bretagna, dove ha una fidanzata portoghese. «Sono riuscito a coinvolgere anche lei in questa tradizione», racconta. «All’inizio era restìa, poi quando l’ha vista per la prima volta se ne è innamorata. Certo, in cambio, ho dovuto cedere sull’estate che trascorriamo nel suo Paese». La fidanzata è a San Fratello, ma nella tre giorni della festa dei giudei, starà lontana da Filadelfio. Perché il giudeo è un po’ misogino e maschilista. Nessuna donna può far parte della congregazione. Questi tre giorni, alla fine, diventano occasione per star lontani dalle proprie famiglie e riunirsi con gli amici per bere un bicchiere di vino, organizzare mangiate luculliane e giocare a carte. 

«Andiamo in giro per il paese, bussiamo alle case e, se loro ci invitano, facciamo una suonata. Ci offrono un bicchiere di vino, un piatto di carduai (i cardi selvatici in pastella), mandorle, l’agnello pasquale», spiega Benedetto Celsa, «sanfratellano puro» di 56 anni. «Trent’anni fa, agli inizi, avevamo il corno al posto della tromba e non c’erano le possibilità economiche per avere questi costumi. Ci vogliono tanti soldi. Il mio, che me l’ha fatto mia moglie, è costato mille euro. Ma se vai da una sarta puoi pagarlo 2,5/3mila euro».

Sanfratellano doc è anche Alfio Catanzaro, 55 anni. A 13 anni la sua “prima volta” da giudeo. «Nella famiglia non c’era questa tradizione, sono stato io a inaugurarla e adesso la tramando a mio figlio», racconta. «Ero attratto dalla festa e fui coinvolto dagli amici. Mi ricordo che, non avendo il costume, mi mettevo il fazzoletto sulla faccia a mo’ di cappuccio e facevo finta di suonare usando un bastone». 

I “pumpini”

La festa è un gran frastuono di trombette, una via di mezzo tra fanfare dei Bersaglieri, petulanti vuvuzele e cacofonici kazoo, che accompagna la processione lungo via Roma. Alla tromba i giudei affiancano la “disciplina”, “d’scplina” in vernacolo locale: è un pendaglio pieno di monete ed è simbolo di autoflagellazione. È un altro elemento di disturbo durante le manifestazioni religiose, nel loro girovagare per il borgo, visitando bar, osterie e abitazioni, dove, secondo una tradizione ritenuta di buon auspicio, vengono offerti loro vino e “pumpini”. Ma non equivocate: i pumpini non sono altro che dolci a forma di “S” ai semi di anice, cui si aggiunge un uovo in occasione della Pasqua. Gli abitanti ci giocano: «A San Fratello fanno i pumpini migliori di tutta la Sicilia», dicono. Ci scherzano, anche per farsi conoscere.

E per farli conoscere all’Italia e al mondo, quest’anno la tre giorni di festa dei giudei è stata seguita dalle telecamere della troupe con la quale Eleonora Bordonaro e Puccio Castrogiovanni stanno costruendo un progetto discografico, letterario e documentaristico sulle tradizioni di San Fratello. 

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