Storia

Joan Baez: Dylan mi spezzò il cuore

La pasionaria d’America racconta nel docu-film “Joan Baez: I Am a Noise” come la “stupida messicana” è diventata una star mondiale
Le sue battaglie non solo per i diritti civili, ma anche per superare ansia, depressione e lo shock delle molestie subite da piccola dal padre
– Il prossimo 4 novembre aprirà l’edizione numero 64 del Festival dei Popoli, dedicato al cinema documentario internazionale, che si terrà a Firenze

Bob Dylan l’ha definita il suo “heart-stopping soprano” (“soprano da arresto cardiaco”). Ed è vero. Perché quando Joan Baez scatenava quella voce pura e angelica nella canzone di protesta We Shall Overcome, si poteva davvero credere che si sarebbe vinto.

La celebre cantante e attivista folk si è sempre impegnata nella lotta per i diritti civili, ma ciò che si apprende nel riflessivo, approfondito e talvolta intimo Joan Baez: I Am a Noise è che la “pasionaria d’America” stava anche conducendo tante battaglie personali: ansia, depressione, solitudine e preoccupanti ricordi repressi su suo padre.

Se sembra molto da raccontare in 113 minuti, il nuovo documentario, diretto da Maeve O’Boyle, Miri Navasky e Karen O’Connor, riesce nell’intento, riassumendo in modo completo una carriera di sessant’anni, con la cantante che racconta la sua storia attraverso interviste e un’incredibile ricchezza di materiale d’archivio: filmati domestici, registrazioni audio, lettere, disegni e persino nastri di sessioni di terapia.

Il film era originariamente destinato semplicemente a coprire l’ultimo tour Fare Thee Well del 2018, ma Baez ha deciso di lasciare un’eredità più approfondita.

Il film inizia con la citazione del romanziere Gabriel Garcia Marquez su come tutti hanno tre vite: pubblica, privata e segreta. Beh, questo è certamente adatto a Baez, che è emersa improvvisamente come una star nel 1959: una diciottenne con una chitarra e quella voce squillante, che ha continuato registrando circa 40 album, entrando nel 2017 nella Rock & Roll Hall of Fame. Come vediamo dai suoi disegni e dalle lettere angoscianti a partire dalla gioventù, la sua vita pubblica ha mascherato sia un difficile privato che alcuni oscuri segreti.

Riavvolgendo il nastro, si va a quando Baez, all’apice degli 80 anni, si sta preparando per il tour d’addio, provando a casa nel nord della California. I suoi capelli sono completamente grigi, ma il suo viso non è cambiato molto. «So di avere un bell’aspetto per la mia età, ma c’è un limite», scherza sull’imminente pensionamento. Per quanto riguarda la sua voce, è lì, ma sicuramente più bassa e più sofferta.

La locandina del film

Tra le riprese dei concerti, si passa alle scene della giovinezza di Baez. Si percepisce, dentro e fuori, una strana (e piuttosto distraente) voce maschile. Si scopre che è il suo terapeuta. La storia comincia con un bel filmato in bianco e nero di Joan da bambina, che balla in un campo con i suoi genitori e le sue sorelle. Suo padre messicano era focoso. Le scene sembrano idilliache, ma ci sono segnali di problemi quando, in un’intervista, Joan annota misteriosamente: «Sono troppo conflittuale per avere solo un mucchio di ricordi felici».

Si vedono pagine del diario della giovane Joan, i suoi copiosi schizzi portati in vita da un’animazione meravigliosamente inventiva, e si viene a sapere che i bambini bianchi a scuola la chiamavano “la stupida messicana”. 

Anche quando diventa una star, con il concerto al Newport Folk Festival del 1959, l’immagine che ha di sé non sembra migliorare. Immerso tra le tante lettere ai suoi genitori c’è un disegno di una ragazza molto piccola: «È così che mi sono sentita sul palco della Carnegie Hall». Solo oggi gli attacchi di panico e l’ansia si sono stabilizzati.

E poi un carismatico cantautore invade la sua vita. «Sono stata solo lapidata per quel talento», dice parlando di Bob Dylan. Avevano la stessa età. Erano giovani, belli e talentuosi. Quel genio imperscrutabile le rubò il cuore e poi lo spezzò. «È stato inebriante stare insieme», racconta Baez. Fino al doloroso tour nel Regno Unito quando la sua fama è sbocciata ed «è stato orribile». In quel tour in Gran Bretagna, la lascia nella sua scia. «Dylan mi ha spezzato il cuore», confessa. Poi, fissando la telecamera, dice: «Ciao, Bob!». Uno dei momenti migliori del film è quando Baez fa il verso a  Dylan che la imita. È una rara opportunità per vederla ridere.

Una nuova fase vede Baez profondamente impegnata nelle proteste contro la guerra del Vietnam, anche andando in prigione. Lì, il giovane attivista David Harris le fa visita. I due si sposeranno, lei rimarrà incinta e poi lui andrà in prigione. Quando esce, il matrimonio è travagliato e non dura. «Era troppo giovane e io ero troppo pazza», ammette Joan Baez. Gabriel, suo figlio, ha suonato la batteria nella sua band durante il tour d’addio.

Joan Baez e Bob Dylan. Avevano la stessa età. Erano giovani, belli e talentuosi

L’atto finale riguarda le accuse contro suo padre di comportamento sessuale inappropriato con Joan e una delle sue sorelle, Mimi. I suoi genitori, entrambi deceduti, lo hanno negato e i ricordi di Joan mancano di dettagli. Ha detto che non avrebbe potuto raccontare questa storia mentre i suoi genitori erano ancora vivi. C’è un nastro drammatico di un messaggio telefonico di suo padre accusato, e poi una tenera scena in cui Baez conforta la madre che invecchia e muore.

Infine, dopo il filmato del concerto di chiusura al Beacon Theater di New York, vediamo la “pensionata” Joan Baez ballare in un campo vicino a casa sua. Un cenno forse alle scene dell’infanzia, ma anche una dichiarazione che, anche se non ha superato tutto, ha raggiunto una serenità.

 Joan Baez: I Am a Noise il prossimo 4 novembre aprirà l’edizione numero 64 del Festival dei Popoli, dedicato al cinema documentario internazionale, che si terrà a Firenze fino a domenica 12 novembre.

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