Interviste

James Senese: in Italia mi sento un extraterrestre

Il leggendario sassofonista insieme con Napoli Centrale domani 16 agosto protagonista al Castelbuono Jazz Festival. «Dopo Peppino Di Capri e Carosone sono stato fra i primi a rivoluzionare la musica partenopea». «Il mio strumento porta le cicatrici della gioia e del dolore della vita». «Oggi impera la canzonetta, nessuno prende direzioni diverse, alternative»

Sono sessant’anni che James Senese soffia nel suo sax. Sessant’anni dal suo esordio con Gigi e i suoi Aster. Sessant’anni dopo, James is back è il ventunesimo album in una discografia dove ormai non si distinguono i lavori da solista da quelli con Napoli Centrale, tanto quel glorioso marchio, presente in copertina anche stavolta, coincide ormai con i suoi sax (tenore e soprano), la sua voce, il suo sound.

Il suono è quello di sempre ma anche in perenne divenire, verace eppure black, melodico eppure ritmico, neapolitan power. James soffia nel suo strumento dando voce al suo popolo, anzi ai suoi popoli, alle sue terre, alle sue culture. Partenobeat, funkyjazz, postsoul, newpolitano, chiamatelo come volete: James is back resta inconfondibile. E James Senese lo presenterà il 16 agosto a Castelbuono (Pa), ospite della rassegna jazz madonita.

Sono nato nero e sono nato a Miano, suono il sax tenore e soprano, lo suono a metà strada tra Napoli e il Bronx, studio John Coltrane dalla mattina alla sera

James Senese

«Sono nato nero e sono nato a Miano, suono il sax tenore e soprano, lo suono a metà strada tra Napoli e il Bronx, studio John Coltrane dalla mattina alla sera, sono innamorato di Miles Davis, dei Weather Report e in più ho sempre creato istintivamente, cercando di trovare un mio personale linguaggio, non copiando mai da nessuno… Il mio sax porta le cicatrici della gioia e del dolore della vita». Così James Senese si racconta nel libro Je sto ccà… di Carmine Aymone. Era il 1945, fine della seconda guerra mondiale, le truppe tedesche e fasciste si arrendono, nasceva Gaetano, figlio di un soldato afroamericano di presunto nome James Smith e di una mamma napoletana, Anna Senese. «Sin da piccolo ho sempre cercato di contrastare quello che ritenevo ingiusto, primo fra tutti il pregiudizio», racconta il “nero a metà”. «Sicuramente il colore della mia pelle ha contribuito a sviluppare questo sentimento. Immaginatevi come poteva sentirsi nel 1960 un ragazzo di 15 anni napoletano guardandosi allo specchio, vedendosi diverso dai miei coetanei, e da quello che la società del dopoguerra imponeva. Insomma, ho avuto la mia parte di complessi da superare, cercando di sentirmi uguale agli altri che spesso non mancavano di far notare la mia “diversità”.  Poi un giorno ho scoperto lo strumento che ha cambiato per sempre la mia vita, il sassofono».

Suonando decisi che avrei voluto parlare degli ultimi, di quelli che non ce la fanno, di quella parte di popolo che vive a testa bassa per portare a casa la pagnotta; ma avrei anche voluto parlare di amore e rispetto per le persone. Non mi è mai interessato il denaro

James Senese

Gaetano diventa James, come il papà, ma mantiene il cognome della madre, e in quello strumento condensa tutte le sue angosce, le sue paure, soffiandole via, letteralmente. «Ho capito che potevo liberarmi di tutti i problemi, che potevo scacciare i timori che attanagliavano la mia anima. Sono di famiglia modesta, per non dire povera. A Miano, a pochi chilometri da Napoli, dove sono nato succedeva e succede ancora di tutto. Non mi piaceva quello che vedevo dalla finestra: malavita, delinquenza, omertà e tanta sofferenza», ricorda Senese. «Suonando decisi che avrei voluto parlare degli ultimi, di quelli che non ce la fanno, di quella parte di popolo che vive a testa bassa per portare a casa la pagnotta; ma avrei anche voluto parlare di amore e rispetto per le persone. Non mi è mai interessato il denaro. Ho rinunciato a contratti importanti che mi avrebbero però fatto tradire quello in cui credevo, e credo ancora; la coerenza e l’onestà artistica. Credo di essere diventato un buon musicista e un buon compositore, con sentimenti forti, lasciando da parte gli egoismi e i personalismi; ringraziando invece per quello che in quasi cinquant’anni di musica ho ottenuto. Di questo devo dire grazie a Dio, alla mia famiglia, che mi hanno dato la forza e i giusti valori. Credo che soltanto il rispetto e l’accoglienza dell’“altro”, del diverso, possa contribuire alla pacificazione delle persone, e ci dia quella parte di felicità necessaria per amare il prossimo».

1981, uno foto storica la superband di Pino Daniele con James Senese al sax, Rino Zurzolo al basso, Tullio De Piscopo alla batteria, Tony Esposito alle percussioni, Joe Amoruso al piano e alle tastiere, Fabio Forte al trombone. Usciva il disco “Vai mo’”

In questo mezzo secolo, e oltre, di carriera, James Senese ha vissuto un’epoca irripetibile: Murolo, De Simone, Nccp, Troisi, Arbore, il neapolitan power, attraversando trasversalmente la canzone leggera italiana con gli Showmen e poi il funk-jazz stridente dei Napoli Centrale. È una leggenda vivente, colui il quale ha dato uno dei primi ingaggi all’indimenticabile Pino Daniele, con cui collaborerà ed avrà amicizia vera sino al suo ultimo giorno.

«L’inizio della mia carriera risale a molto più di sessant’anni fa, al 1961 con Gigi e i suoi Aster e Vito e i 4 Conny apriamo la via italiana al rhythm and blues degli Showmen. È dal primo disco degli Showmen, uscito nel 1968, che calcoliamo questo mezzo secolo di sax, anche se avevo già iniziato a incidere dal ‘64. Con Mario Musella, il “nero a metà” che ha iniziato tutto, eravamo davvero una bella coppia: lui di madre napoletana e figlio di un soldato pellerossa, io di madre napoletana e figlio di un soldato afroamericano. Dopo Peppino Di Capri e Carosone sono stato fra i primi a sconvolgere la cultura napoletana. Poi è venuto tutto il resto. Napoli Centrale rappresentò una vera e propria rivoluzione. E lo è ancora in questa Italia dove impera la canzonetta. Nessuno prende direzioni diverse, alternative».

Di appendere il sassofono al chiodo ancora non ci pensa, sfidando i suoi 77 anni e i malanni dell’età. «Senza dischi e concerti sarei niente. Forse sarei già morto», confessa. «Sono stanco, non lo nascondo. Ma appena salgo sulla pedana gli acciacchi e la stanchezza scompaiono. Il pubblico è sempre così affettuoso, poi. Si entusiasma in modo tremendo, scegliendo di venire ad ascoltare una musica che per noi è normale, ma non lo è… Io mi sento un extraterrestre, nella scena musicale italiana».

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