Interviste

Interviste storiche/8: Lou Reed

Dall’archivio personale ripesco alcune chiacchierate avute con protagonisti della storia della musica che non ci sono più. Colloqui non legati ad avvenimenti particolari, ma che sono quasi una sorta di lezione di vita. Quell’incontro indimenticabile a Bari con l’ex Velvet Underground

Ho incontrato Lou Reed nel 1998, a Bari. L’ex Velvet Underground era ospite del festival “Time Zones, sulla via delle musiche possibili”. Accadde per caso, la sera, al ristorante. Era seduto, con i suoi musicisti, a un tavolo accanto a quello dove gli organizzatori della rassegna mi stavano facendo gustare per la prima volta nella mia vita la tiella, un piatto tipico pugliese: riso, patate e cozze. Lui, invece, aveva davanti a sé un semplice brodino e beveva acqua. Altro che bagordi da rockstar. Tutt’altro.

A quel tempo aveva 56 anni, ma già con qualche problema di salute. L’influenza della solare Laurie Anderson, sua moglie, l’aveva cambiato, riportandolo sulla retta via. Fino a qualche anno prima Lou Reed era una persona scontrosa, trattava male i giornalisti. Quella sera si mostrò incredibilmente affabile. 

Si mostrò disponibile a scambiare quattro chiacchiere, anche se fece capire subito che non aveva piacere nel ricordare i suoi trascorsi di vita: «Da una parte c’è il compositore, dall’altra la persona: la droga e l’alcol non mi hanno mai spinto a fare niente di buono», disse brindando con un bicchiere d’acqua naturale. 

Raccontò quello che aveva fatto nella giornata. Si era tuffato fra la gente, provvisto di macchina fotografica si era divertito alla festa patronale di Alberobello, innamorandosi di Polignano, il paese di Domenico Modugno. Si lanciava in battute e sorrisi, firmava autografi, stringeva mani.

«Com’è cambiato il rock? Per raccontare come è cambiato il rock ci vorrebbero molti mesi», commentò a una domanda. «All’inizio c’era una grande energia incontrollata, che poi si è andata via via focalizzando ed ha migliorato le proprie capacità espressive. Io suono il rock’n’roll come antidoto alle crisi. È una musica con un potere taumaturgico».

Reed preferiva guardare alle sue più coraggiose creature, come il romanzo giallo, ambientato ovviamente a New York, che aveva intenzione di scrivere. O alla riscoperta di quel delirio sonoro contenuto nell’album Metal Machine Music. «Ho scritto alcuni brani di musica elettronica buoni per trovare la concentrazione nelle sedute tai-chi o durante un messaggio. Ascoltarli è come andare in vacanza senza muovere un passo. Alcuni miei amici me ne hanno chieste delle copie, ma non penso che troverò mai una casa discografica tanto folle da pubblicarli».

L’indomani, con la stessa generosità inaspettata, tenne un favoloso concerto rock suonando tutti i suoi brani più famosi. Indimenticabile.

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