Storia

Il “Tempio instabile” di Gerardo Tango

– Il ritorno del cantautore pugliese tra le vittime del lockdown. «Vivevo di musica, ma non ero una star. Il blocco mi ha costretto a trovare un altro lavoro»
– «Ero operaio, quando fui licenziato, decisi di fare della musica la mia professione». Album, concerti, premi, ma non si vive di sola gloria. «Per guadagnare ho fatto anche cover nei pub»
– Il suo nuovo disco è un eccellente lavoro fra canzone d’autore e rock. La canzone di denuncia “Paola” sulle vittime del lavoro. «L’album è un invito a entrare nel mio mondo»

Si ascoltano musiche e artisti più interessanti e originali evitando il trafficato, caotico e confuso mainstream. È frequentando strade secondarie che si incontrano talenti più validi di quanti si gonfiano di numeri, like, stream e “sold out”, spesso fasulli. Lungo queste “backstreets2”, come le chiamerebbe Bruce Springsteen, si ascoltano Suoni indelebili, come indica il nome dell’etichetta discografica che pubblica Tempio instabile di Gerardo Tango. 

Cantautore con il vizietto del rock, l’artista pugliese da vent’anni danza tra i fuochi della mediocrità e dei bassi cachet. Una carriera cominciata come tanti ragazzi in una rockband, i Mufla. «Fino al 2013 facevo l’operaio a Bari», racconta Gerardo Tango. «Quando fui licenziato, decisi di fare della musica la mia professione». 

Comincia a scrivere canzoni, alternando l’esperienza da solista a quella in gruppo con i Magic Sun. Cominciano anche ad arrivare i primi riconoscimenti. Nel 2015 a Torino vince “Duel cantautori a confronto”, l’anno dopo il “Gran Premio Manente” con il brano Canzone insoddisfatta, fino a essere inserito fra i candidati alla Targa Tenco per la “Migliore opera prima” con l’album Una donna. Anche in questo nuovo lavoro c’è una canzone, Luce, con la corona d’alloro del Premio Lauzi. Ma di gloria non si campa. «Non ho fatto i milioni, per guadagnare ha fatto anche cover nei pub». 

Il sogno di vivere di musica si infrange con lo scoppio della pandemia. Gerardo Tango è uno dei tanti lavoratori del mondo dello spettacolo che vengono messi in ginocchio dal lockdown. «Mi sono trovato in difficoltà ed ho cominciato a partecipare a qualsiasi concorso». Trova un posto al Tribunale di Fermo, che lo costringe a lasciare la sua città Andria. Ma non la musica.

Dopo quattro anni di pausa forzata, l’artista pugliese ha pubblicato il suo terzo album da solista, nel quale invita l’ascoltatore a entrare nel suo Tempio instabile, «che è un gioco di parole fra tempo e casa», spiega. «È la mia vita, il mio mondo, che non è il Taj Mahal indiano, non è soltanto luce e fiori, ma anche buio e dolori. La canzone vuole esprimere serenità, rappresenta un momento positivo della mia esistenza. Nel verso finale ricorro alla metafora della “giostra nel mare” proprio per rappresentare la felicità».

Nello stesso brano inviti a mettere su un disco di Edith Piaf o di Chico Buarque de Hollanda oppure di un Lucio: Battisti, Dalla, tutti e due?

«Entrambi e anche Lucio Corsi».

Il ventaglio di artisti citati riflette l’ampio territorio musicale nel quale ti muovi. Non solo canzone d’autore, ma anche new wave anni Ottanta, rock, elettronica.

«Sono solito ripetere che ho cantato tutto quello che ci sta nel mezzo tra Nino D’Angelo ed i Metallica. Dalla canzone napoletana classica al blues, al jazz, che sto approfondendo adesso al Conservatorio, fino al prog. L’album rispecchia i miei gusti variegati».

La Danza del fuoco, che è il nuovo singolo, accenna alle difficoltà nel mondo dello spettacolo durante la pandemia.

«L’ho scritta proprio in quel periodo ed è un invito ai colleghi ad andare avanti, a tenere duro. Io canto che se si smette di volare, se si richiudono le ali, è come morire. Canto la bellezza dell’essere musicista in mezzo al “fuoco” della mediocrità e dei bassi cachet».

Oggi per chi fa musica di contenuto, per chi non si piega alle regole del mercato, è difficile entrare nei canali che consentono visibilità e promozione.

«Le canzoni che si ascoltano alla radio sono soltanto commerciali. Non sono mai riuscito ad apprezzare la trap, così come non capisco Madame. Non mi fa impazzire, anche se forse è la migliore tra tanta musica brutta in giro. Eppure, nei concorsi trovi tanti bravi autori che stentano ad emergere, a entrare nelle programmazioni delle radio. Si dà poca importanza alla musica originale».

Nel disco ci sono molte canzoni d’amore, ma Paola, l’ultima traccia dell’album, ha qualcosa di diverso.

«Paola è una canzone d’amore, dedicata a Paola Clemente, morta nelle campagne di Andria, dove vivevo. Era una bracciante di Taranto, era venuta per l’acinino (una lavorazione che consiste nella eliminazione dal grappolo d’uva degli acini più piccoli, nda), si è sentita male sotto la tenda del vigneto. Io sono molto legato al mondo della sinistra, del lavoro, essendo stato un operaio. Mi sono messo nei panni del marito di Paola che aspetta il rientro della moglie a casa e la vede arrivare dentro una bara. Vuole, comunque, essere una canzone allegra anche questa. Tranne nell’ultima strofa, quando punto l’indice: “Di chi è la colpa? Chi dice il caporale, più su deve cercare”. È il politico che fa poco per proteggere i lavoratori. Qualche giorno fa c’è stata un’altra vittima in un frantoio ad Andria. Con questo brano ho voluto denunciare una situazione, tenere alta l’attenzione. Paola chiude anche lo spettacolo teatrale Padrone mio, tratto da un testo di Matteo Salvatore, nel quale denunciamo lo sfruttamento nelle campagne. Sono anche attore, sebbene non abbia mai fatto teatro. Sul palco siamo in tre, Savino La Sorsa impersona un sindacalista, Nicola Conversano è un giornalista e io sono un musicista. Si chiude con il sindacalista che mi chiede di scrivere una canzone ed io canto Paola».

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