Interviste

Il jazz da camera di Ludovica Burtone

S’intitola “Sparks” l’album di debutto della violinista friulana che ha suonato con Jon Batiste ed i Dream Theater e spazia nei generi musicali. È la storia di una emigrante italiana che ha realizzato il suo sogno in America. «Oggi a New York c’è molto spazio per le donne musiciste e c’è un grande mercato per gli strumenti ad arco»
La copertina dell’album

Quando senti parlare Ludovica Burtone ti sembra di essere proiettato per le strade ed i locali di una frenetica metropoli come New York, città nella quale la musicista friulana risiede e lavora da sette anni. Non per le incomprensibili citazioni nel gommoso inglese tipico degli americani, ma nel modo di raccontare tutte le sue innumerevoli attività, fra scuola e concerti. Così tante che «sono stata costretta a ridurre l’insegnamento in una scuola del Village a un’ora, perché ti prende troppa energia». Che Ludovica riserva la sera quando si presenta sul palco nelle sue diverse vesti e formazioni. È morriconiana nella band spaghetti&western Tredici Bacci («per un errore di trascrizione») con la cantante Sami Stevens, è brasileira in O Kwarteto, è jazz con Ron Carter o Michael Leonard. Ma può anche essere metal con i Dream Theater, con i quali ha registrato un Dvd, o classica, soul e folk con Jon Batiste. La potete incontrare alla Carnegie Hall, come al Carlisle Cafè o agli Electric Lady Studios. 

«Beh, è la vita del “free lancer”, collabori con chi ti chiama», sorride all’altro capo del telefono. «Mi piacciono tutti i generi musicali. Ho studiato violino al Conservatorio di Udine e ho avuto esperienze con orchestre, ma volevo esprimermi con la mia voce piuttosto che interpretare le note scritte su una pagina. A Barcellona, dove sono andata per un corso post-laurea, ho partecipato a diverse session jazz. Undici anni fa ho approfittato di una borsa di studio per andare alla Berkley School di Boston che è aperta a tutti i tipi di musica».

Oltre oceano la violinista friulana ha trovato praterie dove spaziare liberamente. Il sogno americano, per lei, si è realizzato. «Mi considero una musicista eclettica, anche se la classica non l’ho dimenticata». E, infatti, nel suo album di debutto, intitolato Sparks, Ludovica Burtone suona una sorta di jazz da camera, dove un sassofono, un basso o una batteria s’insinuano fra le melodie e gli archi per mettere a soqquadro rigide strutture classiche. Nascono così brani come Blazing sun, fra musica classica, folk, batteria e piano jazz, melodia e improvvisazione. In Awakening, invece, il violino di Ludovica cede il ruolo di protagonista al sax tenore di Melissa Aldana. Un basso jazz accompagna Incontri, ispirato dalle prime esperienze quando la musicista arrivò a Boston. È sognante e struggente Altrove, dagli echi morriconiani, forse a causa della presenza della cantante Sami Stevens dei Tredici Bacci.

Altro momento clou dell’album è Sinha, l’unica cover di Sparks. Composto originariamente da Joao Bosco e Chico Buarque, il brano era stato arrangiato dalla talentuosa violinista per il suo progetto  con O Kwarteto Collective, co-fondato con la violinista Delaney Stöckli e dedicato alle tradizioni musicali del Brasile. «Questo è un commento musicale alle atrocità di una realtà che non è ancora finita. La schiavitù è ancora una realtà in tutto il mondo», spiega l’artista. 

Ludovica Burtone (foto Alex Duvall)

In Sparks le donne sono protagoniste, è un disco al femminile. «Avere una donna come punto di riferimento è diventato importante. A New York è molto facile vedere donne sul palco, sono musiciste apprezzate e richieste», spiega. «Ma, in generale, c’è molta attenzione per l’inclusione, che non riguarda soltanto le donne. Con Jon Batiste, ad esempio, collaborerò al suo progetto di un’American Symphony che coinvolge musicisti nativi d’America, afroamericani, immigrati e spazia dalla musica classica al jazz sino all’elettronica».

Manca la musica pop dal suo vasto mondo musicale. Eppure, molti violinisti hanno attaccato il proprio strumento a una presa elettrica ed hanno scalato le classifiche di vendita rileggendo classici del rock o del pop.

«Il pop è un genere del quale non mi appassiono. E poi adesso c’è un grande mercato per gli strumenti ad arco. Tutti vogliono un quartetto d’archi nel proprio disco».

Sparks è un viaggio personale di Ludovica Burtone nel quale racconta le sue radici, la sua esperienza come emigrante negli Stati Uniti e la sua evoluzione come musicista. Una narrazione personale che, attraverso la contaminazione fra musiche, diventa universale. Non a caso, il prossimo progetto della violinista udinese amplierà l’orizzonte alle donne che l’hanno preceduta lungo le rotte dell’emigrazione verso l’America.

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