– Ispirato alla lettura del romanzo dello scrittore argentino Julio Cortázar, il duo campano pubblica “Rayuela”
– Sonorità prodotte da macchine elettroniche dialogano con strumenti tradizionali di diverse culture. Echi di antiche civiltà in un mondo robotico
– «Il progetto musicale è uno spazio in cui si cerca, attraverso l’indagine sonora, la sospensione del giudizio»
La rayuela (da raya, che in spagnolo significa “linea”, “striscia”) è un antico gioco per bambini che si svolge su un tracciato di caselle disegnato per terra. È lo stesso che in Italia chiamiamo “campana” oppure “settimana”, o ancora “gioco del mondo”. Il primo giocatore lancia una pietra nella casella 1, con un piede solo (il destro) va nella casella 2 ed effettua poi il percorso con un piede solo in corrispondenza delle caselle 3 e 6, e con due piedi nelle caselle 4/5 e 7/8. Il tutto facendo attenzione a non toccare mai le righe o mettere un piede fuori dalla rayuela. Nel percorso di ritorno raccoglie la pietra depositata nella casella 1 e continua a giocare, scagliando la pietra sulla casella 2. Ad ogni giro conquista una casella: chi possiede una casella può utilizzarle nel percorso, al contrario di chi non la possiede. Se sbaglia passa la mano. Man mano che le caselle vengo occupate diventa sempre più difficile fare il percorso.
A questo gioco si è ispirato il famoso scrittore argentino Julio Cortázar quando ha scritto Il gioco del mondo (titolo originale: Rayuela), pubblicato nel 1963, romanzo considerato da parte di scrittori e letterati dell’epoca il corrispettivo per la letteratura latinoamericana di ciò che l’Ulisse di James Joyce fu per la letteratura europea del primo Novecento.
Cortázar descrive la variante argentina del gioco, dove la prima casella si chiama “Terra” e l’ultima “Cielo”, menzionandolo più volte lungo il romanzo. Ma, soprattutto, il gioco ispira le tre distinte modalità di lettura offerte dallo scrittore: 1) leggerlo nella maniera tradizionale, partendo dalla prima pagina e seguendone il normale ordine sequenziale fino al capitolo 56, dove tre asterischi indicano la conclusione dell’opera; 2) leggerlo a partire dal capitolo 73, seguendo poi l’ordine dei capitoli stabilito dall’autore; 3) leggere il romanzo con la sequenza dei capitoli scelta liberamente dal lettore, ordinando e disordinando i capitoli a proprio gusto.
Con queste stesse modalità di lettura bisogna accostarsi a Rayuela, l’ultimo sforzo musicale del duo degoya (obbligatoriamente scritto in minuscolo). Una modalità lineare, un’altra opzione frammentaria e, infine, la terza più disordinata e caotica, come potrebbe sembrare a un primo e affrettato ascolto. Un’esperienza indicata da istruzioni specifiche fornite al pubblico all’interno della copia fisica del record.
Pubblicato sotto l’etichetta Liburia Records, in formato fisico e digitale, questo progetto è stato reso possibile grazie ai contributi di NuovoImaie. Non è, come si può intuire, un lavoro per il grande pubblico, ma per quella nicchia che segue le avanguardie, le contaminazioni estreme, l’improvvisazione, le destrutturazioni. Che, poi, potrebbero diventare colonne sonore di installazioni artistiche, lavori cinematografici o teatrali, esposizioni.
Andrea Laudante e Francesco Di Cristofaro sono i degoya, «termine di origine persiana che significa “come se / come fosse”», spiegano. «Descrive la sospensione dell’incredulità che può manifestarsi attraverso una buona narrazione. degoya è uno spazio in cui si cerca, attraverso l’indagine sonora, la sospensione del giudizio».
Andrea Laudante è un compositore napoletano di musica elettroacustica e polistrumentista, dall’estetica influenzata dallo studio e dalla pratica delle tradizioni spirituali orientali, che si manifestano fortemente in opere come il ciclo Percezioni di Prakṛti. Nel disco si destreggia fra apparecchiature elettroniche: feedback analogico, sintesi fm, live looping.
Francesco Di Cristofaro, anche lui campano, è musicista, compositore, ricercatore e studioso di strumenti e tradizioni musicali di tutto il mondo, con una particolare attenzione all’area mediterranea e orientale. Oltre a vantare collaborazioni che spaziano da Beppe Barra a Nino D’Angelo, da Moni Ovadia a Juri Camisasca, per citare solo alcuni, è coinvolto in diversi progetti, da quello più legato alle musiche popolari dei Brigan a quello più contemplativo e sperimentale con degoya. In Rayuela Di Francesco suona zurna, bansuri, corno da caccia, marranzano, shvi, whistle e kaval bulgaro.
Ed è proprio nel dialogo fra i freddi suoni elettronici ed il calore di strumenti della tradizione popolare l’elemento caratterizzante di Rayuela. Dieci tracce electro-acustiche molto brevi, soltanto tre – La puerta, Para e A Jugar – si avventurano oltre i fatidici tre minuti e mezzo, tutte basate sulla improvvisazione, sulla ricerca di connubi sonori sperimentali fra un mondo ancestrale e uno futuribile, su interconnesse linee narrative che ne costituiscono l’intreccio. Il corno di Abrir sembra annunciare l’avvio di una battuta di caccia alla volpe, prima di trasformarsi in una via di mezzo tra free jazz e impalpabili passi di danza. Se La puerta sembra inizialmente ispirarsi alla saga cinematografica horror, quando la si apre si percepiscono richiami e atmosfere bucoliche. Musica futurista, concretismo, robotica, echi di civiltà antiche nello spazio sonoro infinito dei degoya.