Disco

Gli Interpol tornano a brillare con il loro settimo sigillo

Gli Interpol hanno creato la colonna sonora della New York post 11 settembre. Insieme a The Strokes, LCD Soundsystem, Yeah Yeah Yeahs e The National, sono state una delle rock band emergenti di fine millennio, diplomandosi alla Mercury Lounge del Lower East Side per essere venerate a livello internazionale. Ma dopo due album strepitosi, è seguito un periodo infruttuoso in coincidenza con il passaggio a una grande etichetta discografica.

La copertina dell’album The Other Side of Make-Believe 

Dopo una pausa di quattro anni, sono tornati nella etichetta con la quale avevano debuttato per sfornare il loro settimo album in studio, intitolato The Other Side of Make-Believe e realizzato a Londra con un valido team di produzione composto da Flood (Depeche Mode, New Order, U2) e Alan Moulder (Nine Inch Nails, My Bloody Valentine). 

Il singolo principale e la traccia di apertura, Toni, è una delle loro canzoni migliori, una fiaccola mid-tempo a combustione lenta che combina tutti i motivi familiari della band in un modo nuovo e avvincente. Come ha notato il frontman Paul Banks, «nella musica c’è sempre una settima volta per fare una buona impressione». The Other Side of Make-Believe è un album molto più minimale rispetto a molti dischi degli Interpol, ma suona comunque ricco. Le voci multitraccia sono praticamente assenti, ma le chitarre spigolose, gli stacchi di batteria e la loro miscela avvincente di malinconia ed euforia sono tutti presenti e migliorati.

Something Changed e Renegade Hearts sono altre due gemme. Gli Interpol sanno sfruttare un irresistibile arpeggio di pianoforte, sopravvivendo con aria di sfida ai capricci delle tendenze musicali, nonostante un tempo detenessero indiscutibilmente il titolo di una delle band più alla moda del mondo. Paul Banks & soci erano tra le luci più belle della scena newyorkese. Più vecchi, più saggi e invecchiati come il buon vino, sono ancora una delle band più speciali di questo secolo.

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