Interviste

Galathea, la “culture club” diventa tribale

– S’intitola “Sacred Love” il secondo lavoro del progetto del DJ Massimo Napoli: «Un album più “africano” e con più pezzi cantati»
– Mare, mito, Africa, vocalità e spiritualità sono gli elementi di un eccellente e raffinato miscuglio di ingredienti, sonorità, generi
– Il producer siciliano è ormai pronto al grande salto dalla console al palco. «I club oggi sono in crisi e anche la figura del dj è scaduta»

Presentando la scorsa edizione del festival musical-culinario Ricci Weekender, il DJ e producer, precursore di generi e stili musicali come l’acid jazz, Gilles Peterson scriveva su questo sito che «esistono forti paralleli tra il mondo degli chef e quello dei DJ». E spiegava: «Nel primo caso, gli ingredienti sono curati per creare un menu. Nel secondo, la musica è combinata per creare un set o una playlist. Entrambi usano un processo alchimistico per produrre qualcosa di nuovo che desta sorpresa e godimento per chi ne viene in contatto».

Massimo Napoli fa parte della seconda categoria. Ma come uno chef stellato riesce a mescolare diversi ingredienti, trovando combinazioni raffinate e inaspettate tra elementi diversi. Una cucina, pardon, una musica fusion con una inclinazione etnica. Per palati esigenti. 

Massimo Napoli

Massimo Napoli è un DJ e producer molto popolare in Sicilia, e non solo. È stato uno dei fondatori di Piatto Forte e Nero Espresso che hanno animato le notti e le feste ai Mercati Generali. Ha girato il mondo al ritmo del funk e del soul. Da due anni ha intrapreso una nuova avventura che potrebbe segnare il passaggio dalla console al palco. Il nome del progetto è Galathea, con l’acca, per evitare i trabocchetti della caotica e spesso ripetitiva corsa a un nome d’arte.

«Il nome doveva essere Galatea», confessa il DJ catanese. «Ma quando sono andato a registrare i pezzi alla Siae, mi sono accorto che c’erano altre due persone che lo avevano scelto. Per evitare complicazioni, ho aggiunto l’acca distintiva». 

Un’aggiunta, però, che cambia il senso del nome, perché Galathea risulta essere un crostaceo decapode. Resta il mare, comunque, al centro del progetto sia esso rappresentato da una ninfa o da un granchio. «Progetto che è nato sulla riva del mare, perché io sto in una zona di Acicastello chiamata “Specchio di Galatea”», riprende Massimo Napoli. «È stato durante il periodo del lockdown che ho cominciato a riprendere e sviluppare idee, brani, melodie, campionamenti che tenevo da anni nel cassetto. Ho anche ripreso il sassofono, che suonavo da ragazzo. Da questo materiale è nato il primo album di Galathea, legato alla mitologia, al mare, alle influenze mediterranee».

Il mare è il punto di partenza anche per il secondo lavoro, Sacred Love, in uscita agli inizi del 2024 e anticipato dall’omonimo singolo. Si salpa da Ginostra per fare rotta verso mari più esotici: i Caraibi, l’Atlantico, il Golfo di Guinea. Si scende a terra per attraversare i deserti del Burkina Faso e del Mali. La “culture club” diventa tribale, come in Sacred club, il groove afro-jazz trova accostamenti originalissimi con il soul-jazz spirituale, afro-beat, echi di suoni cinematografici anni Sessanta. Eos sembra una romantica ballata pianistica, ma in sottofondo c’è un tappeto percussivo brasileiro. Una tromba jazz crea brividi nel dialogo tra un profondo basso e percussioni nella magnifica Impression. Il cha-cha s’incunea in Caminito, mentre il desert blues rende ipnotica Divinitè eseguita con l’accompagnamento vocale di Kadi Koulibaly, cantante del Burkina Faso con base a Parigi. Che non è l’unica voce femminile del disco: nella title-track troviamo anche Giulia La Rosa, talentuosa jazzsinger catanese.

«Sì, questo è più “africano” come album, rispetto al precedente che aveva inclinazioni dub, reggae», sottolinea Massimo Napoli. «E ci sono più pezzi cantati. Per me la voce è fondamentale, è il primo strumento. Inoltre, aiuta a rendere più radiofonico un brano. Sacred Love sta girando in diversi network».

Mare, mito, Africa, vocalità e c’è un quinto elemento che traspare dall’ascolto dell’album: la spiritualità. DivinitéOuaga e Koloko, ben interpretate da Kadi, toccano la sacralità e il misticismo del continente africano e si fondono con le sonorità spiritual jazz occidentali. Divinité, nello spoken word del poeta francese Diego Hernandez, affronta i temi della fede, della vita e del rapporto con il proprio “io”, con rimandi alle produzioni della chanson francese, in cui si interseca e si espande nello spazio cosmico il canto spirituale a tratti “sahariano” di Kadi. La stessa title-track è un gospel afroamericano dalla ritmica tipicamente afrobeat, che ricorda vagamente See-Line Woman di Nina Simone.

«Sono un grande appassionato di jazz spirituale, John, Alice Coltrane. Mi piacerebbe fare un disco con musicisti gospel», racconta Massimo Napoli. «È una scelta artistica, un aspetto musicale che mi piace. Sono riferimenti che sento e che già avevo inserito in altri progetti».

Sarebbe davvero riduttivo definire Sacred Love un album di musica da sottofondo, per club, anche se la finalità è questa. È una musica rilassante, che ispira calma, dai ritmi sinuosi. Eppure, come i piatti gourmet di grandi chef meriterebbe più attenzione, per la ricercatezza degli ingredienti, la cura e la pulizia nella ricerca, gli innovativi impasti sonori. La mise en place ideale sarebbe quella di un palcoscenico. Massimo Napoli, o Galathea, con questo album mostra di avere le carte in regola per fare il grande salto.

«Abbiamo fatto già alcuni “live” e ne faremo uno il 20 dicembre alla Ecs Dogana di Catania per presentare Sacred Love», spiega. «Nel mini-tour eravamo in otto sul palco e c’era Giulia. Ma la realizzazione è molto complicata. Io volevo una band con musicisti che provenissero da diversi generi – jazz, etno -, ma otto elementi non puoi portarli in tour. Purtroppo, le scelte economiche prevalgono su quelle artistiche. Sarò costretto a ridurre a cinque i musicisti della band e ad affidarmi all’elettronica. Questo oggi è un problema per molti musicisti, costretti a formazioni basiche per affrontare tour. Io avrei bisogno di una sezione con diverse percussioni e un’altra di fiati».

Le occasioni per chi fa musica uscendo dal mainstream sono diventate sempre più rare ed i club, una volta più aperti alle nuove tendenze, ancora risentono degli effetti nocivi della pandemia. «Il club ormai è quasi sparito a causa del Covid, rimangono alcuni festival come il Ricci Weekender, il Festivalle di Agrigento o l’Ortigia Sound System», commenta Napoli. «Ma, soprattutto, mancano la cultura e la curiosità di andare a sentire e ballare musica nuova. La mia proposta è destinata a una nicchia. I miei lavori vendono di più all’estero che in Italia: in Gran Bretagna come in Sudafrica. La rivisitazione che ho fatto del brano Samba de Sausalito di Santana è stata trasmessa alla BBC. Anche la figura del DJ è scaduta. Oggi si scarica da YouTube e poi si va a fare diffusione. Non c’è più cultura musicale. C’è troppa roba, poca attenzione, e si resta confusi dalla quantità di proposte musicali».

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