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Fenomeno Blanco

Il trionfo sanremese con Brividi in coppia con Mahmood. Poi il raddoppio delle date del suo primo tour. Quello di Blanco sembrava un fenomeno di proporzioni imprevedibili. Molti addetti ai lavori vedevano nel ragazzo bresciano di Calvagese della Riviera, all’anagrafe Riccardo Fabbriconi, classe 2003, un altro caso Måneskin, destinato a un successo di caratura internazionale. Poi il primo intoppo. L’Eurovision Song Contest, dove la delusione è stata cocente. Nella finalissima, infatti, non è rimasta traccia della buona prestazione offerta dai due sul palco dell’Ariston: stonature, poca concentrazione, una punta di supponenza punita dal voto con un sesto posto che lascia l’amaro in bocca, facendo scivolare sul sodalizio di Brividi l’ombra dell’operazione commerciale messa in piedi per vincere il Festival e, magari, addolcire i bilanci di un album come quel Ghettolimpo di Mahmood rimasto ben al di sotto delle aspettative. Addio sogni internazionali. Si rimane in provincia.

Mahmood e Blanco sul palco dell’Eurovision Song Contest 2022

Difficile che i due si ritrovino in un nuovo progetto, se non per motivi commerciali. Anche perché Blanco ormai pensa a se stesso e naviga col vento in poppa, come dimostrano i 300.000 biglietti “bruciati” in appena 72 ore per tutte e 34 le date di quel Blu celeste tour che registra “sold out” da Nord a Sud, mentre Mahmood è ben distante da questi numeri.Al contrario del suo collega sanremese, Fabbriconi piace alle nonne e alle adolescenti: ha saputo far breccia nel cuore di vip e nip. Per fare il cantante ha messo da parte, senza rimpianti, i libri dell’istituto tecnico che non ha concluso ed i sogni di calciatore. «Più che cantare, avevo il desiderio di scrivere» ha raccontato a Radio Deejay. «Nel frattempo cantavo come sfogo, così ho unito le due cose». Sui fogli butta giù i suoi sfoghi di adolescente. Canta di Notti in bianco, parla e scrive di amori sofferti. Siamo “fottuti figli di puttana / Siamo scappati di casa / Come animali randagi” urla in Figli di puttana. È un giovane che “sotto la pioggia come la prima volta / A cantarti Nel blu dipinto di blu / Era la canzone nostra”. Interpreta canzoni dallo stile difficilmente inquadrabile in cui le linee melodiche accattivanti, cantate con l’aggressività e l’emotività dell’adolescenza, con romanticismo e carnalità, convivono con una sensibilità autentica e trasparente. Nelle sue canzoni è spesso presente un senso di decadenza, un sentimento triste che accompagna i testi e l’interpretazione. Come Blu celeste, il singolo uscito in contemporanea con l’album omonimo, in cui si racconta nel profondo. Il brano parla di una persona scomparsa che ha lasciato in lui un dolore tramutatosi in un mostro, tra sensi di colpa, disperazione e smarrimento. La parola “celeste” l’ha anche tatuata sull’addome. Non ha mai voluto raccontare nel dettaglio a chi sia riferita la canzone: «Vorrei solo che ognuno si immedesimasse pensando a qualcuno che ha perso».

Qualcuno lo ha definito un “post trap”, altri “il volto di qualcosa di nuovo, più punk, emotivo e diretto di chi l’ha preceduto”, ma i punti di riferimento lo accosterebbero al cantautorato. «Spazio molto tra gli ascolti. Ma a ispirarmi di più sono stati i grandi cantautori del passato: Battiato, Battisti, Celentano, Lucio Dalla, Gino Paoli per citarne alcuni. Artisti che hanno scritto canzoni immortali, che possono essere apprezzate da tutte le generazioni», rivela Blanco, rifuggendo da qualsiasi definizione.

«Non mi piace quando si cerca di darmi delle etichette», chiude ogni tentativo di schematizzarlo. «Quello che mi interessa veramente è fare musica. Che questa sia rock, pop, punk per me è sempre musica e conta solo questo. La gente tende a mettere nei cassetti e dare le etichette, invece la musica andrebbe solo ed esclusivamente ascoltata senza dare troppe definizioni. Poi sinceramente non mi hanno mai interessato le definizioni che la stampa mi ha dato».

Blanco e Mahmood vincono il Festival di Sanremo con “Brividi”

Davanti al travolgente successo Blanco resta Riccardo Fabbriconi, il ragazzo di un piccolo paese di provincia di poco più di tremila anime, legato ai genitori, i primi ad abbracciare dopo la premiazione sul palco dell’Ariston. «Nello show abbiamo pensato di portare in scena una versione “xl” della mia cameretta, perché è partito tutto da lì», spiega. «Volendo riportare la stessa vibrazione con cui è nato Blu celeste, registrato quasi interamente nella cantina dei miei, non potevamo che partire da lì. Solo i muri evocati dagli schermi sono quelli della casa di Michelangelo dove abbiamo girato Notti in bianco, un video low low budget, duemila euro, che rimane però quello in cui mi sono divertito di più».

Un ragazzo che non si erge a modello e che s’inchina davanti ai veri “big”, come Morandi e Ranieri o come quel Gino Paoli che ha riletto insieme con Mahmood nella serata delle cover. «Guardi non vorrei essere l’esempio di nessuno. Quello che mi interessa è fare musica», sottolinea. «Mi fa enormemente piacere avere tanta gente che apprezza il mio lavoro, ma non punto certo a essere un capostipite di qualcosa. Io seguo il mio istinto musicale e se un giorno nascerà l’era Blanco ne sarò molto felice. Per adesso siamo ancora nell’era Vasco che per me resta il re indiscusso della musica italiana».

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