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Fenomeni social pop politici

Un impiegato della Virginia rurale conquista la vetta di Billboard Hot 100 con una canzone chitarra e voce contro i politici di Washington diventata virale su YouTube. In Perù, un ventitreenne lancia il “Q-pop” su TikTok cavalcando le proteste contro il governo

«Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti». La profezia di Andy Warhol nel lontano 1968 dapprima con la televisione, adesso con i social media, è diventata una realtà. Oggi un nip – non important person – può rubare la scena al vip – very important person – e non soltanto nelle case del Grande Fratello, ma in tutti i campi. Il nostro è quello della musica e proprio in questi giorni si stanno diffondendo due fenomeni “virali”, come si definiscono, che partendo dal nulla sono diventati globali. 

Il più recente è quello di Oliver Anthony, impiegato americano della Virginia rurale. Nel 2021 ha cominciato a fare musica per uscire dalla depressione e come terapia per la salute mentale, lunedì scorso si è trovato sulla vetta della Billboard Hot 100 senza essere mai apparso in classifica prima e senza avere un contratto. La sua canzone, Rich men north of Richmond, è stata la prima che ha registrato con un microfono professionale e non con il cellulare, così come ha fatto conoscere la sua musica al mondo sul suo canale YouTube. Grazie ai social network, la canzone è diventata un fenomeno virale per la sua critica ai politici di Washington, che ignorano la realtà in cui vivono le persone della classe operaia come lui. La questione ha avuto risonanza soprattutto tra i sostenitori di destra del Partito Repubblicano.

In Rich men north of Richmond si sente solo la voce di Oliver Anthony e la sua chitarra. Il tema non ha altro arrangiamento o strumento. Questo suono grezzo alimenta il lamento country che proviene dalle viscere di una remota fattoria demaniale, dove il cantautore vive con i suoi tre cani e compone musica nel tempo libero. Il video è stato girato da un amicoche lavora per una radio locale. È stato caricato sulla piattaforma video quattordici giorni fa. In questo arco di tempo ha superato le 42 milioni di visualizzazioni in due settimane. Su Spotify la storia è simile: oltre 24 milioni di streaming.

Oliver Anthony

Il compositore, il cui vero nome è Christopher Anthony Lunsford, ha provato a riflettere sul successo arrivato all’improvviso. «Penso che queste canzoni abbiano collegato milioni di persone a un livello molto profondo perché sono cantate da qualcuno che sente le parole nel momento in cui vengono pronunciate. Nessun montaggio, nessun agente, nessuna stronzata… Solo un idiota e la sua chitarra. È uno stile di cui non avremmo mai dovuto sbarazzarci», ha scritto Anthony in un lungo post su Facebook diventando l’idolo della destra americana.

Oliver Anthony – il nome d’arte è un omaggio al nonno e al mondo di questo, i Monti Appalachi degli anni Trenta – ha abbandonato la scuola all’età di 17 anni, quando era al liceo. Dal 2010 ha fatto diversi lavori in fabbriche dello stato del North Carolina. Il più recente, dice, è stato in una cartiera. «Lavoravo al terzo turno sei giorni alla settimana per 14,5 dollari l’ora. È stato infernale», scrive Anthony, che rivela che dieci anni fa ebbe un incidente che gli fratturò il cranio e lo costrinse a tornare nella sua nativa Virginia. Dal 2014 lavora come addetto alle vendite in un’azienda manifatturiera.

L’altro fenomeno social pop arriva dal Perù. Protagonista il ventitreenne Lenin Tamayo, dal nome del leader della rivoluzione russa. È cresciuto ascoltando sua madre, un’artista folk andina che canta in spagnolo e quechua, una lingua condivisa da 10 milioni di parlanti in Paesi tra cui Perù, Ecuador, Colombia, Brasile, Bolivia, Argentina e Cile. Da adolescente, il K-pop è diventato la sua passione e lo ha aiutato a trovare un gruppo di compagne di classe che la pensano allo stesso modo che lo hanno aiutato a combattere il bullismo che dice di aver affrontato a scuola per il suo aspetto indigeno. Ora lui stesso ha fuso quei capitoli, mescolando testi in spagnolo e quechua con ritmi K-pop per creare Q-pop (in cui la “Q” sta per “Quechua”). Ha accumulato più di 4,4 milioni di “like” sul suo account TikTok e ha pubblicato cinque singoli digitali online.

Lenin Tamayo

«L’arte è un veicolo per muovere le coscienze e generare cambiamento», ha detto Tamayo, che questa settimana ha pubblicato Amaru, il suo album di debutto in formato digitale. Amaru significa serpente in quechua, una parola che è legata alla storia, ai testi, alla musica, alla mitologia degli Incas e ai suoni moderni. Come nel caso di Oliver Anthony, anche qui il successo del peruviano si lega alla politica. Nel video dell’anteprima di Amaru, si vedono poliziotti picchiare i manifestanti che portano una bandiera peruviana e poi inseguire una donna che fugge attraverso una foresta andina. La scena evoca un nuovo ricordo delle recenti proteste cittadine che chiedevano le dimissioni del presidente Dina Boluarte che hanno provocato 67 morti, la maggior parte dei quali di origine indigena. Come migliaia di peruviani, Tamayo ha partecipato alle proteste di inizio anno nella capitale. «È molto importante fare questo tipo di musica», è convinto Tamayo. «Perché ti permette di generare cambiamento e generare speranza nei giovani».

Fenomeni, in effetti, che alimentano speranze nei giovani che cercano di emulare musicisti, influencer, youtuber di successo. Ma, come profetizzava Warhol, questa popolarità ha una durata breve. Forse qualcosa più di quindici minuti, è certo tuttavia che di Oliver Anthony e Tamayo, così come di tanti passati attraverso i talent o lanciati da YouTube o Spotify, di tracce non ne rimarranno nella storia.

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