Interviste

Eugenio Finardi: “Euphonia Suite” è il mio atto di ribellione

La nuova “musica ribelle” è un misto di jazz e classica in contrasto con «una visione consumistica della musica, che serve solo a fare casino». «Lo scopo è quello di trascendere». In scaletta i brani più amati del cantautore milanese e due cover di Battiato e Fossati. «Oggi è difficile trovare gente che suoni con la stessa furia che avevamo noi»

Nasci da incendiario, muori da pompiere, recita un aforismo di Dino Segre, noto con lo pseudonimo di Pitigrilli. Che, traslato in musica, potrebbe essere trasformato in nasci da rocker, muori da jazzista. Nella Euphonia Suite, portata in tour questa estate in attesa di pubblicarla in autunno su disco, Eugenio Finardi, il rocker italiano cresciuto a cavallo dell’Atlantico, passa in rassegna il suo canzoniere e brani di autori da lui profondamente amati, riletti come meditazioni sull’umana condizione in una dimensione fra il soft jazz e la musica classica.

«Ma io faccio ancora rock», s’impettisce poco dopo aver festeggiato il suo settantesimo compleanno alla mezzanotte del 16 luglio all’anfiteatro Thalos di Augusta, dove si era esibito con il suo trio e Alfio Antico special guest. «Ho suonato da poco a Pistoia Blues Festival, con la Treves Blues Band, e anche nella scaletta della suite ci sono un paio di blues», tiene a sottolineare. Poi, dopo una pausa, si sofferma a meditare: «È vero, comunque, la suite è più classicheggiante. Siamo partiti da una lettura jazz, siamo arrivati a qualcosa che va oltre, trascendentale, ricca di armonie, dissonanze. La definirei musica classica contemporanea. È il mio atto di ribellione, la mia nuova “musica ribelle” contro una visione consumistica della musica, che serve solo a fare casino».

Eugenio Finardi alla fine del concerto di Augusta dove ha festeggiato il suo settantesimo compleanno

Finardi ha sostituito il diesel con un motore elettrico, è meno rumoroso, meno inquinante, meno dispendioso, più sostenibile. «Se dovessi fare come Mick Jagger, mi accascerei presto sul palco», ride. «Ma non rinnego il rock, le due cose camminano insieme. Come dice Walt Whitman, conteniamo moltitudini… rock, jazz, musica napoletana… Ti confesso che oggi è difficile trovare gente che suoni con la stessa furia che avevamo noi, io, Walter Calloni, Rocchi. Manca quella energia propulsiva…».

Una frecciata ai Måneskin, i nuovi alfieri del rock nostrano? «I Måneskin sono come ero io alla loro età. E sognano come sognavo io. Sono contento per loro. Ancora sono al primo giro di giostra, noi ne abbiamo già compiuti due». Una frecciatina.

Verso la metà degli anni Settanta, Eugenio Finardi era un’anomalia del sistema, qualcosa che in Italia non esisteva. Perché faceva rock’n’roll, quando quello che circolava nel Belpaese aveva una parentela piuttosto stretta con il prog, che r’n’r non sarà mai. Era la voce della scena alternativa milanese, quella che raccoglieva personalità come Claudio Rocchi e Massimo Villa degli Stormy Six, l’italo-brasiliano Alberto Camerini, l’emigrante catanese Franco Battiato, e di lì a poco il gruppo più influente di quella fusion fra jazz rock ed etnica che sono gli Area. Si esibiva nei Festival del Proletariato Giovanile di Re Nudo, mensile di cultura underground che faceva parte dell’onda lunga politico-culturale del ’68, inglobando ideologie e posizioni diverse. Proprio in uno di questi raduni della cultura del dissenso, tenutosi alla Playa di Catania nel giugno del 1974, Finardi incontrò Alfio Antico con il quale ha duettato nei bis del concerto di Augusta sulle note di Musica ribelle. «È una forza della natura Alfio. Pensa che lo conosco da quando Pino (Daniele, nda) era ancora il bassista di Napoli Centrale. Ci siamo rivisti più volte a Milano, al Castello di Carimate (che ospitò un leggendario studio di registrazione tra il 1977 ed il 1987, nda), e ogni volta che sono in Sicilia non perdiamo l’occasione di incontrarci e suonare assieme».

Finardi in concerto ad Augusta

Tamburi, batteria e basso non ci sono nella Euphonia Suite, un fluire di emozioni che ruota attorno alle armonie del pianoforte di Mirko Signorile, ai contrappunti del sax di Raffaele Casarano e, soprattutto, alla voce melodiosa, a volte dolce e altre grintosa, di Finardi. In questo magma sonoro fra jazz e classica vengono immerse le canzoni più amate del cantautore milanese, come ExtraterrestreLa RadioDieselNon è nel cuoreDolce ItaliaSoweto, brani meno noti, da Vil Coyote a Katia, e due cover: Oceano di silenzio di Franco Battiato, trasformato quasi in un canto gregoriano, e Una notte in Italia di Ivano Fossati, «che continua ad emozionarmi quando la interpreto».«È un progetto nato dal grande silenzio legato al lockdown», racconta Finardi. «Avevi due modi per reagire: o buttarti nei grandi e affollati raduni di questa estate, o con l’assalto ai voli andati in tilt, oppure vivere la propria esperienza in modo più intimo, interiore, condividendo le emozioni. La voglia di sognare, di trascendere. Ecco, lo scopo di Euphonia suite è quello di trascendere».

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