Dopo gli inizi nel segno del fado, l’artista di Fano svolta verso la canzone d’autore con la complicità di Tony Canto. L’effetto terapeutico della musica: «La produzione di opere, la spinta a creare, l’invenzione hanno un effetto benefico sulle persone». Eugenio Finardi e Jaques Morelenbaum fra gli ospiti. L’influenza di Lucio Dalla: «Le sue melodie erano ispirate dalla musica lusitana»
«La voce è come acqua che scorre e bagna i cuori, anche quelli di pietra. Osa l’anima, ora su un’isola, ora in un buio vicolo di Alfama o, ancora, nella fattoria Alemão a Rio de Janeiro. Tutto si ritrova e si intreccia nel suo canto e in questo disco che ci svela di cosa è capace Elisa, un messaggero dei flauti degli angeli». Sono le parole con cui Jorge Fernando Nunes da Silva, musicista portoghese, introduce l’album Curami l’anima di Elisa Ridolfi. Una voce che ha affascinato artisti del calibro di Lucio Dalla (che duettò con lei al Sao Luis di Lisbona e allo Strehler di Milano), Eugenio Finardi, Peppe Servillo, Enzo Gragnaniello, Andrea Parodi e molti altri.
«Erano i tempi del fado», ricorda Elisa, quando insieme con la chitarra del maestro Marco Poeta diffondeva nei teatri italiani la musica tradizionale portoghese e cantava le canzoni di Amalia Rodrigues. «Erano gli anni di iniziazione alla musica, un periodo che ho superato da tempo. In Curami l’anima non c’è nulla del fado tradizionale, se non di rimando, evocato, filosofico».
Curami l’anima s’inserisce, infatti, nel solco della canzone d’autore al femminile. Nella struttura musicale, con la classica forma canzone, e nell’intimità dei testi, che, come suggerisce il titolo, intendono sottolineare il ruolo terapeutico della musica.
«È riferito all’effetto che l’arte ha su di noi», spiega l’autrice. «La produzione di opere, la spinta a creare, l’invenzione hanno un effetto benefico sulle persone. Lo osservo su me stessa come sulla gente. Quando vedo le opere della mia amica scultrice Antonella Sabatini prendere vita, mi accorgo che in lei c’è uno stato di benessere».
Se l’arte è uno dei temi portanti dell’album, l’altro è il mare, presente in cinque delle dieci canzoni: “un mare di suoni”, “un mare che mormora”, “un poeta che aspetta la bassa marea”, un “mare che ascolti il mio canto”, un mare in tempesta. «Vivo a Fano, città di mare. Sin da bambina sono stata legata al mare, alla barca, alla pesca. Il mare, poi, filosoficamente mi lega al fado. La musica portoghese mi ha anche fornito un paio di occhiali con cui guardare il mondo. Il mare, insieme con la luna, è uno degli elementi ispiratori, che ti parlano se uno si apre e ascolta. Il mare è simbolo di navigazione, un concetto leopardiano».
Se Recanati è quasi a un tiro di schioppo da Fano, è più difficile spiegare i richiami a Virginia Woolf con Q. Pensando a “Gita al faro” di Virginia Woolf (una interpretazione di mostruosa bravura) e la vintage Il tempo che passa. «Questo è un album di incontri… Diceva bene Toquinho. “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”. Conoscere nuove persone comporta deviazioni dal tuo percorso che ti arricchiscono. Questi due brani sono stati composti per il progetto “Digital Faro” su Virginia Woolf commissionato da un festival letterario per un reading. Sono stati scritti con la pianista Stefania Paterniani. Ho scelto di metterli nell’album aggiornandoli».
E fra gli incontri che hanno avuto un ruolo decisivo nel percorso di Elisa Ridolfi c’è quello con il maestro messinese Tony Canto, il “deus ex machina” di Curami l’anima. «È il cappellaio matto, che ha tirato fuori il coniglio. Un grande professionista, produttore, autore, musicista. Ha scritto canzoni importantissime. Un maestro vero. Lo conoscevo da tempo, legati dalla passione per la musica lusitana e brasiliana. Quando mi sono trovato nelle vesti di organizzatrice di un festival a Fano ho deciso di invitarlo. Quando ci siamo incontrati, mi ha subito detto. “Ma ne hai cose da pubblicare?”. Gli ho inviato il materiale, che lui ha arrangiato, dando il via a tutto. Insieme abbiamo scritto anche alcuni pezzi».
Senza lo stimolo di Tony Canto, quindi, non avremmo avuto un album di Elisa Ridolfi, descritta come «una strana creatura che vive stagioni di grande rilievo e intensità per poi eclissarsi in qualche remoto mondo dal quale riemerge all’improvviso». Era, infatti, dal 2009 che non pubblicava un disco. «E il prossimo prima di morire», scherza. «Non ho molta fretta. Ho sempre voluto che la musica non fosse la mia vita, ma fosse nella mia vita. E, nello stesso tempo, volevo che la mia vita fosse musica. Stare bene, essere in armonia con quello che ci sta intorno».
Se la presenza di Eugenio Finardi nel brano Tutte le lingue del mondo, che si svolge come un vecchio fado, è la prosecuzione di una collaborazione e di una amicizia di vecchia data, quella di Jaques Morelenbaum in Ho un addio rappresenta uno di quei nuovi incontri dei quali parlava l’artista marchigiana. «Nato per caso, grazie a una amicizia su Facebook con Ylenia Pazienza che mi aveva inviato un testo da musicare», racconta Elisa Ridolfi. «Al momento della registrazione, mi dice: “Sai, conosco Morelenbaum, avrei piacere se ci fosse lui”. Lo contatta, e lui accetta l’invito. Il caso vuole che proprio in quel momento il compositore brasiliano fosse impegnato nel disco di debutto di Marisa basato su canzoni di Amalia Rodrigues. Così il brano risulta molto fadista».
Il brano manifesto dell’album è Fili di fado: “Sono fili di trame, fili di scialle, fili di fado quelli che porto tra le labbra e che non lo hanno mai cantato li voglio emettere così, a fil di voce e sentirli quasi uscire e trovar pace”, canta Elisa Ridolfi. Una melodia che ci riporta nelle atmosfere di 4 marzo 1943 di Lucio Dalla. «È vero, ma perché tutte le più grandi melodie di Dalla, quella citata o Piazza Grande, si possono facilmente trasporre nel fado. Lucio ha preso molto dalla musicalità fadista».
Esula dal contesto la conclusiva Plurifollie, minimalista, senza parole, sperimentale. Ho dato ampia libertà ad Antonio Gramentieri (don Antonio) che sperimenta forme analogiche, rumoristica, elettronica. Esco fuori dalla forma canzone per cercare la libertà dell’accadimento che non puoi prevedere, mondi nuovi, astratti».