Interviste

E la messa diventa uno standard jazz

L’AB Quartet sperimenta partendo dalle melodie gregoriane e sviluppa un album – “Do ut des” – che spazia negli sconfinati territori della musica. «Il tema qui è dato dal canto religioso, al quale si aggiunge una forte ritmica, assente nell’originale, così come la parte armonica che è tutto ripensata. Alla fine, è vero, si finisce nell’improvvisazione più libera»
La copertina dell’album “Do ut des”

Si comincia alla fioca luce che filtra attraverso colorate vetrate tagliando il buio delle chiese. In tono sommesso, come un canto gregoriano, la melodia comincia a diffondersi nell’oscurità per poi, piano piano, crescere fino a esplodere in sorprendenti combinazioni di colori, ritmi, suoni, e spaziare negli sconfinati territori della musica. Sono temi di canti religiosi o liturgie i punti di partenza dei sette brani che compongono Do ut des, terzo album dell’AB Quartet. Dove la sigla non fa riferimento alla preposizione latina, ma alle iniziali del pianista Antonio Bonazzo, una delle due “anime classiche” della formazione milanese, l’altra è il clarinettista Francesco Chiapperini. D’estrazione jazz sono il contrabbassista Cristiano Da Ross e il batterista Fabrizio Carriero, che tuttavia non disdegna il rock.

È quasi naturale che da questo incontro di culture musicali nascano combinazioni sonore disparate e spiazzanti, nelle quali la contaminazione e gli incroci di genere hanno un ruolo da protagonista. «L’idea iniziale era quella di sviluppare musiche antiche, partire da melodie gregoriane tratte da messe religiose», spiega Bonazzo. «Lo stesso titolo dell’album, Do ut des, è ispirato alla musica antica, piuttosto che alla famosa frase derivata dal linguaggio giuridico latino. Tradotto in gradi della scala temperata, secondo la denominazione latino-germanica, può avere corrispondenze con le note: do ut des diventa così do do re-bemolle. Una trovata che ci collega ai madrigalisti, portandoci al 1500». 

Strada facendo, però, è successo qualcosa: quei temi religiosi di partenza sono andati sfumandosi, diventando fugaci accenni. Fatta eccezione per alcuni pezzi – l’inizio di Dies irae e Beata Viscera – le atmosfere religiose si sono rarefatte, diventando poco percepibili negli altri brani del disco. «In effetti, in alcuni pezzi abbiamo perso il controllo e del materiale dal quale siamo partiti si sono perse le tracce», confessa Bonazzo. 

L’AB Quartet, formazione milanese composta da Antonio Bonazzo (piano), Francesco Chiapperini (clarinetti), Cristiano Da Ros (c/basso) e Fabrizio Carriero (batteria e percussioni) (foto Floriana Stormelli)

Anche perché, alla fine, è prevalso l’istinto jazz dell’improvvisazione. Il tema è diventato spunto per creare nuove sonorità.

«È un ritorno alla riproposta di standard nel jazz. Si parte da una partitura melodica e la si riarrangia. Il tema qui è dato dalla melodia gregoriana, alla quale si aggiunge una forte ritmica, assente nell’originale, così come la parte armonica che è tutto ripensata. Alla fine, è vero, si finisce nel jazz, nell’improvvisazione più libera. D’altronde, noi veniamo tutti dal free».

Ci sono però alcuni momenti in cui si sfiora la musica prog(ressive). Ad esempio, nello sviluppo di Dies irae, sembra di ascoltare i Genesis prima maniera.

«Ho un po’ quella impronta, quand’ero giovane i primi passi nella musica li ho fatti con un gruppo di progressive. Ma è la tendenza di quest’album che alla fine porta verso il rock e il pop».

C’è tuttavia una parte sperimentale e anche d’avanguardia, come in Lente sed sine misericordia e Ut queant laxis, che sono anche i due brani firmati dal contrabbassista Da Ros. Così come, nello scoppiettante inizio di Lux originis, si avvertono echi sudamericani.

«C’è un po’ di tutto questo, è una musica ibrida e di difficile collocazione dal punto di vista stilistico. Mentre, per quanto riguarda Lux originis, più che al Sudamerica i riferimenti sono a Cannonball Adderley, che è uno dei miei musicisti preferiti».

Anche lui, il sassofonista di Tampa, un esperto di “miscugli sonori”, come quelli che caratterizzano Do ut des dell’AB Quartet. 

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