Storia

Don Quijote, Sicilia y Archinuè

La canzone “Dulcinea” di Francesco Sciacca, “anima” della band etnea, è entrata nella tesi di dottorato sul legame fra il capolavoro di Cervantes e la cultura siciliana che la studiosa Sara Macaluso ha difeso all’Università di Murcia. Vi proponiamo stralci di questa ricerca contenente l’intervista all’autore del brano musicale
Francesco Sciacca e Sara Macaluso

Dai palchi di tutta la Sicilia all’Ariston di Sanremo per finire in una tesi di dottorato sulla ricezione del Don Chisciotte in Sicilia, con cui la studiosa Sara Macaluso ha ottenuto il massimo dei voti (“Sobresaliente cum laude” y Mención internacional) presso l’Università di Murcia in Spagna. È accaduto a Francesco Sciacca, fondatore, leader e “anima” della band folk-rock Archinuè

La ricercatrice, docente di lingua e letteratura spagnola nel liceo linguistico “R. Salvo” di Trapani, nel suo lavoro dal titolo La recepción del Quijote en la cultura siciliana desde el siglo XVIII hasta nuestros días spazia dal campo letterario a quello artistico: accanto a nomi di celebrati scrittori (tra cui Meli, Pirandello, Sciascia, Bufalino, Consolo, Camilleri e Buttitta), di artisti (come Salvatore Fiume, Piero Guccione, Bruno Caruso, Michele Canzoneri o Ferdinando Scianna)  e popolari attori (tra essi Lando Buzzanca, Mimmo Cuticchio, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia), inserisce anche quello di Francesco Sciacca che con la sua band Archinué, nel 2002, ha ottenuto i prestigiosi “Premio della Critica” e “Premio Sala Stampa Radio TV” nella categoria “Nuove proposte” al Festival di Sanremo con la canzone “La marcia dei santi”.

Ad attirare l’attenzione della docente trapanese è stata, però, un’altra canzone composta da Francesco Sciacca, premiata anch’essa dalla Critica per il miglior testo, nell’ambito della X edizione del Festival della canzone siciliana: Dulcinea, un brano che prende spunto dal personaggio della contadina amata da don Chisciotte. 

Nella sua tesi, la professoressa Macaluso, analizza il testo della canzone degli Archinué e, mettendo in parallelo il racconto di Francesco Sciacca con quello di Cervantes, giunge tra l’altro ad una considerazione: «Il nome “Dulcinea” nel testo non viene nemmeno menzionato ed è lecito chiedersi, pertanto, come mai l’autore l’abbia scelto come titolo del brano. In realtà, reputo che la presenza della donna amata da don Chisciotte aleggi sulla storia in quanto motore delle azioni del cavaliere: è per lei che lascia tutto – “a tia ti vinni n’testa di malidiri lu nomu di la to casata sulu pi l’amuri” – e sempre per lei – “iu pensu a tia” – si lancia nella grande avventura di contrastare i “fitenti”, la “genti ‘nfami”. A ben vedere, anche nel Don Chisciotte Dulcinea non “è presente”: è un personaggio virtuale che esiste solo nella mente del protagonista; al tempo stesso, però, è il motore di molte sue azioni e questo è un elemento che accomuna la canzone con il testo cervantino».

Da questa tesi riportiamo stralci dell’intervista che l’autrice ha fatto a Francesco Sciacca a completamento del capitolo a lui dedicato.

«Mi regalarono il Don Chisciotte e iniziai a leggere quel bel “malloppo”!», racconta Sciacca alla professoressa Macaluso, spiegando la genesi del brano. «All’inizio pensavo fosse più scorrevole, ero titubante. Poi mi ha preso e mi sono appassionato. L’idea di scrivere la canzone però non è legata propriamente al Don Chisciotte, ma ho collegato don Chisciotte alle persone che fanno di tutto per rendere migliore la società in cui viviamo: il più delle volte queste persone sono invisibili e si ritrovano a lottare contro forze avverse, come se fossero mulini a vento. È stato questo che mi ha suscitato la canzone. Le persone a cui mi riferisco spesso neanche le conosciamo, non sono i grandi eroi, ma le persone normali che cercano di rendere migliore la società con i pochi mezzi che hanno a disposizione. Purtroppo, però, le forze più grandi spesso prevalgono».

Quindi la tua lettura del Don Chisciotte ha dato i suoi frutti… 

«Quando ho letto il libro avevo circa vent’anni e l’ho letto di getto, poi però l’ho ripreso con calma perché a me piace sottolineare e prendere appunti. E ho trovato molti spunti interessanti. La prima volta che ci si avvicina al Don Chisciotte lo si fa con il sorriso, poi invece il libro ti fa pensare, ti fa riflettere e tira fuori quella parte drammatica che è in ciascuno di noi». 

Questo è esattamente ciò che dicono gli spagnoli del Don Chisciotte: fa ridere i bambini, fa pensare i giovani e fa piangere i vecchi… 

«È proprio ciò che io “ho vissuto” leggendo il libro e che poi ho messo dentro la canzone Dulcinea che ho scritto ispirandomi all’opera di Cervantes. Nel testo della canzone il nome Dulcinea non compare, ma si capisce che si parla di lei quando don Chisciotte la chiama “amuri miu” e si propone di fare qualsiasi cosa per lei, specialmente combattere gli infami. Don Chisciotte vuol dimostrare alla gente il suo impegno contro i “fitenti”, ma prima che alla gente vuol farlo vedere alla donna amata: “Amuri miu, iu pensu a tia, ca a me ci pensa Diu, pi l’occhi di tutta la genti, l’haiu a ammazzari a sti fitenti, e ognunu l’ha sapiri lu nomu miu”». 

Io faccio una trasposizione tra le follie di don Chisciotte e quelle di chi porta avanti certe lotte in Sicilia. Il testo della canzone dice “chista è a nostra storia, ca di ‘ncapu a nu Vulcanu, ni tuffamu ‘n mezzu ai stiddi pi taliari di luntanu, ‘n anzunnamu n’avventura, comu fussi storia vera”, cioè noi siamo un po’ folli come don Chisciotte, ci immedesimiamo in lui e viviamo un po’ fuori dalla realtà, senza possedere sempre una visione ampia e chiara di quello che è successo e succede ancora intorno a noi. 

Francesco Sciacca
Francesco Sciacca

Quindi qual è il messaggio che vuoi trasmettere con questa canzone? È un messaggio sociale? 

«Sì. Io faccio una trasposizione tra le follie di don Chisciotte e quelle di chi porta avanti certe lotte in Sicilia. Il testo della canzone dice “chista è a nostra storia, ca di ‘ncapu a nu Vulcanu, ni tuffamu ‘n mezzu ai stiddi pi taliari di luntanu, ‘n anzunnamu n’avventura, comu fussi storia vera”, cioè noi siamo un po’ folli come don Chisciotte, ci immedesimiamo in lui e viviamo un po’ fuori dalla realtà, senza possedere sempre una visione ampia e chiara di quello che è successo e succede ancora intorno a noi. “Briganti e cavaleri” invece rappresentano la realtà di oggi: sono gli ipocriti, i politici, cioè tutte quelle persone false che ci troviamo sempre accanto con il sorriso tra i denti. Siccome queste persone ce le abbiamo sempre intorno, quasi non ci rendiamo più conto chi esse siano veramente».

Tu ti immedesimi in don Chisciotte quando dice “l’haiu a ammazzari a sti fitenti”?

«Sì, io parlo attraverso la voce di don Chisciotte e prendo le parti delle persone che non possono parlare, quelle più deboli». 

Io noto un richiamo molto forte alla Sicilia quando dici “c’è cu patti, cu chianci, cu arresta, cu n’veci sinni va, a circari fortuna luntanu di cca”. 

«Qui c’è la nostra terra, c’è tutta la nostra storia, quella della nostra gente costretta a partire e ad andare via per poter lavorare. Nessuno lo fa volentieri: va via fa per necessità e si ritrova catapultato in un paese estraneo, lontano dalle proprie radici. La nostra terra ci propone tanta bellezza, ma a volte non ci dà un futuro. Don Chisciotte, invece, resta qui e agisce, per amore, in difesa di Dulcinea, ossia di coloro che, deboli, sono sopraffatti dai potenti, dai “briganti e cavaleri”». 

Fammi capire meglio: don Chisciotte è l’immagine, quindi, di un certo tipo di siciliani… 

«Sì, mi riferisco a tante persone comuni che agiscono per il bene di tutti attraverso piccole azioni che vanno contro la mentalità corrente. Si tratta di cose semplici di cui spesso nessuno si accorge e, se qualcuno le nota, quasi quasi ritiene pazzo chi compie quelle azioni».

Mi ha interessato molto il fatto che tu abbia contestualizzato il personaggio di don Chisciotte nella nostra terra, in Sicilia, ma specialmente qui vicino all’Etna, e lo abbia attualizzato alla situazione sociale che vivi sulla tua pelle. 

«Il Don Chisciotte non è un libro del passato: è sempre moderno e contiene tante idee e tanti spunti sempre attuali. Cervantes voleva indicarci che i valori per cui lotta don Chisciotte, malgrado la sua follia, sono sempre fermi e non passeranno mai di moda, sono valori per i quali vale sempre la pena combattere: la libertà, l’onestà e la giustizia. Un uomo come don Chisciotte, un uomo con la generosità e il cuore di don Chisciotte, poi, ha bisogno di qualcuno a cui dedicare la propria vita e le proprie gesta: ecco perché Dulcinea è legata indissolubilmente a lui, fa parte di lui». 

Per questo hai scelto il personaggio di Dulcinea per dare il titolo alla canzone? 

«La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho iniziato a scrivere la canzone è stato proprio il nome “Dulcinea”: evoca dolcezza. Mi piace il suono di questo nome». 

È la stessa motivazione di don Chisciotte! 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *