Storia

Diodato: la musica trasforma il caos in speranza

Il cantautore tarantino con il suo “Così speciale tour” sarà sabato 26 agosto a Catania e l’indomani a Palermo. «Quando suono ci sono dei momenti di pura felicità in cui sento che tutto il viaggio che mi sono fatto nella testa negli anni non era una follia. E ora fa vibrare gli altri»

“Ah, che vita meravigliosa / Questa vita dolorosa / Seducente, miracolosa / Vita che mi spingi in mezzo al mare / Mi fai piangere e ballare /Come un pazzo insieme a te”. Conclude ogni sera con le parole di Che vita meravigliosa i concerti del Così speciale tour che sabato 26 agosto farà sosta a Catania, Cortile Platamone (Palazzo della Cultura) alle 21:30 (ingresso di via Landolina) e l’indomani, domenica 27 agosto, Palermo, ai Cantieri culturali alla Zisa. «Perché sul palco sono felice», motiva Diodato. «Quando suono ci sono dei momenti di pura felicità in cui sento che tutto il viaggio che mi sono fatto nella testa negli anni non era una follia. E ora fa vibrare gli altri».

La musica è balsamo sulle ferite, la cura al Buco nero in mezzo al cuore, terapia emozionale che in Così speciale, l’ultimo album del cantautore tarantino, sfocia in suoni inattesi tra elettronica, post-progressive rock (Che casino), brillantezza dei fiati, senza tralasciare la lezione di Domenico Modugno. «Sì. La musica sublima, esorcizza, amplifica, mi fa crescere, mi spinge a dire e fare cose che altrimenti non sarebbero alla mia portata e che, poi, scopro essere condivise da tanti».

Diodato è entrato nella storia. Al di là delle sue innegabili capacità canore e di scrittura. La sua canzone Fai rumore, vincitrice del Festival di Sanremo 2020, è stata spartiacque tra il mondo prima e dopo il Covid. Sembrava scritta apposta per urlare al mondo il diritto dell’essere umano di esistere. In piena pandemia e tutto quello che ne è conseguito. Quando la cantò, solo, all’Arena di Verona, con un vento leggero che gli scompigliava i capelli, nella mistica della Storia, rappresentava un po’ tutti noi. Che, poi, l’abbiamo cantata sui balconi, nelle case, durante il lockdown. «Quella canzone mi ha cambiato la vita, inutile negarlo», ammette. 

Sono parole e note che hanno paura di naufragare, concetto terribilmente attuale, che riconoscono che siamo tutti sulla stessa barca, altra immagine tragicamente contemporanea: non affondano solo i migranti, è la nostra società che affonda con loro

Antonio Diodato

Il 2020 è stato un anno straordinario per Diodato. La vittoria al Festival, bissata al David di Donatello con Che vita meravigliosa, inserita nella colonna sonora del film La dea fortuna, diretto da Ferzan Özpetek. Quando avrebbe dovuto godere i frutti della vittoria, è arrivata la pandemia a bloccare tutto. Adesso il ragazzo pugliese sembra cantare il post-Covid in Così speciale. «Dovevamo uscirne migliori, ma non è stato così, però ce la faremo, grazie anche alla musica: io la uso per capire e capirmi e capirci un po’ meglio, o almeno per tentare di farlo. Come catarsi per venirne fuori. Sono dieci canzoni, dieci fiori fragili cresciuti nonostante tutto, come quelli dell’opera di Paolo De Francesco in copertina. Sono parole e note che hanno paura di naufragare, concetto terribilmente attuale, che riconoscono che siamo tutti sulla stessa barca, altra immagine tragicamente contemporanea: non affondano solo i migranti, è la nostra società che affonda con loro».

L’album si apre con Ci vorrebbe un miracolo, in cui Diodato fornisce un’istantanea dei tempi strani in cui viviamo, in cui ognuno sente di dover dire la sua e spesso l’arroganza la fa da padrone. «È una richiesta d’aiuto, uno sguardo sul caos della società. Sì, certo, anche la guerra a un passo da casa, su cui ognuno dice la sua. Ma da non credente non so a chi chiederlo questo miracolo. Eppure, io ho speranza e fiducia nell’umanità, nonostante tutto. Il mio è un invito a rimboccarsi le maniche. La soluzione alle estremizzazioni è l’incontro, la comprensione. Provare a capire insieme penso sia alla base del tessuto sociale. Il miracolo è togliersi i paraocchi, liberare mani e orecchie».

Le canzoni raccontano le nostre fragilità. Essere fragili, di solito, è sinonimo di debolezza. Ma, spesso, anche di bellezza, come afferma la ricercatrice texana Brené Brown: «Traiamo amore dalla disperazione, compassione dalla vergogna, benevolenza dalla delusione, coraggio dal fallimento, forza dalla fragilità. Scoprirci è il nostro potere. La narrazione è la strada verso casa. La verità è la nostra canzone. Noi siamo i coraggiosi e affranti. Noi ci rialziamo più forti di prima». La fragilità non è sinonimo di debolezza. Anzi, è dalla vulnerabilità che scaturiscono l’innovazione e il cambiamento.

La musica ha il potere di trasformare il caos in speranza. La società che ci circonda urla, è carica di populismo e non ci si ascolta reciprocamente

Antonio Diodato

Così speciale è un album sicuramente autobiografico. La musica, racconta, resta il suo mezzo per affrontare ogni cosa e analizzarla, come in una catarsi: «Sento dentro di me molto caos, alimentato in parte da ciò che vedo intorno oltre che internamente. La musica ha il potere di trasformare il caos in speranza. La società che ci circonda urla, è carica di populismo e non ci si ascolta reciprocamente. Partendo dal mio sentire ho cercato di raccontare tutto questo». 

Magari sognando “occhiali da sole in faccia per non fargli vedere cosa portiamo giù in fondo agli occhi e vi offriremo da bere”. «Sarebbe bello… Fare il mestiere che faccio vuol dire comprare un biglietto per le montagne russe».

E per Sanremo 2024 lo farai?

«È un po’ presto per parlarne. Sono molto legato al Festival e ho un rapporto bellissimo con Amadeus. A Sanremo mi sento a casa, mi ha cambiato la vita ed è diventato un grande veicolo di promozione. Vedremo…».

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