«Non avrei mai immaginato che la mia musica potesse risvegliare ricordi in persone che hanno dimenticato persino chi sono». L’artista ennese in tour negli Usa come testimonial degli effetti terapeutici che le canzoni possono avere sui malati di demenza
«Non avrei mai immaginato che la mia musica potesse risvegliare ricordi in persone che hanno dimenticato persino chi sono». È ancora «sconvolto, emozionato e felice» Angelo Di Leonforte, pianista ennese di Assoro, al suo ritorno dagli Stati Uniti, dov’è stato invitato da una azienda farmaceutica giapponese, con sedi in diversi Paesi, come testimonial degli effetti terapeutici che la musica può avere sui malati di Alzheimer o demenza senile.
Man mano che suonavo, ho assistito a un piccolo miracolo: ho visto le persone rialzarsi, reagire, muoversi, canticchiare, abbracciarsi
Angelo Di Leonforte
«A New York sono andato a suonare in una casa di riposo per ex artisti colpiti da quella malattia», racconta Di Leonforte. «Quando sono entrato, non sapevo come relazionarmi con loro. Erano curvi su se stessi, con lo sguardo nel vuoto, silenziosi, senza alcuna espressione nel viso. Mi sono messo subito a suonare e, per fortuna, il piano era posizionato in modo che potessi guardare il pubblico. Così, man mano che suonavo, ho assistito a un piccolo miracolo: ho visto le persone rialzarsi, reagire, muoversi, abbracciarsi. È stata l’esperienza più bella alla quale ho partecipato. Dopo aver proposto le mie musiche, quando ho chiesto se avessero delle richieste, hanno interagito chiedendomi alcuni standard, presentandosi con le loro storie, canticchiando alcuni brani».
C’era una ex ballerina di Broadway, c’erano attori di teatro e c’era un chitarrista jazz che era stato in Italia, dove aveva suonato con Luciano Pavarotti. «Non solo ha ripreso a parlare, ma si è ricordato anche alcune parole in italiano. È stato lui a chiedermi Stella by Starlight. Alla fine, mi ha detto: “Salutami l’Italia”», continua a meravigliarsi il pianista siciliano. «Non mi sarei mai aspettato quel colloquio, la stessa direttrice ha confessato che non avrebbe scommesso un centesimo su una reazione dei pazienti. Invece… C’è stata una signora, rimasta zitta per tutta l’ora del concerto, che al termine si è avvicinata e mi ha tirato per la giacca per dirmi. “Thank you”. È stata dolcissima».
Ma come è capitato che un pianista jazz ennese si potesse trovare in una casa di riposo per ex artisti a New York per tenere un concerto? Riavvolgiamo il nastro e andiamo alla pubblicazione dell’album This Too Will Pass, uno dei piccoli capolavori che hanno segnato la rinascita del jazz siciliano nell’estate di due anni fa. Durante uno dei concerti per promuovere il disco, al Sicilia Jazz Festival di Palermo, in platea c’era la vice amministratore delegato di un’azienda farmaceutica giapponese che da quarant’anni sperimenta un farmaco contro l’Alzheimer. Il pianismo di Angelo Di Leonforte, sobrio ed elegante, in grado di regalare brani di grande intensità, sullo stile di Bill Evans, affascinò la spettatrice nipponica. Che, una settimana dopo, contattò l’artista ennese, chiedendogli se fosse disponibile a comporre un “sound brand”, ovvero una musica che identificasse la sua azienda ed i suoi scopi. Sfida accettata. E, qualche tempo dopo, Di Leonforte presentò Hope, composizione jazz oriented, ma con una struttura tale da «racchiudere la mission di affrontare la malattia sia per via farmacologica sia musicale».
Sfida vinta. Tant’è che lo scorso 27 luglio il pianista viene investito della nuova missione di accompagnare con un suo concerto una serie di convegni e conferenze dell’azienda in questione in America. «Abbiamo cominciato da San Diego, girando poi l’America con quattro tappe», racconta Di Leonforte. «Ogni concerto era introdotto da un medico che parlava sul ruolo della musicoterapia nella lotta contro l’Alzheimer, mostrando video con pazienti che reagivano all’ascolto di una canzone. Poi io eseguivo le mie musiche, gran parte delle quali dall’album This Too Will Pass».
Ma se a San Diego e nelle tappe successive era soltanto teoria, a New York, quella casa di riposo diventa «la prova vivente di quello che avevo sentito dire nelle introduzioni ai miei concerti». Di Leonforte crede davvero nel “miracolo” della musica. «Ho avuto conferma anche dal direttore del Great American Songbook Foundation. Loro programmano playlist in cui racchiudono canzoni che hanno contrassegnato la giovinezza di queste persone malate. Hanno il potere di far tornare la parola a gente che non parla più».
Incontri, sensazioni ed emozioni di questo viaggio negli Usa tra musica e scienza hanno lasciato profonde tracce nel pianista siciliano. Sono state gettate le basi per un nuovo progetto, che per scaramanzia Di Leonforte non vuole anticipare, e «ho scritto un nuovo brano, dedicato alla signora giapponese che mi ha coinvolto in questa avventura», rivela. «S’intitola Kindness, “gentilezza”. I giapponesi esprimono la loro gentilezza anche nel modo di porsi, nei movimenti. L’ho registrato in America nell’audiovideo con altre mie composizioni che l’azienda diffonderà nel mondo. La signora giapponese ha voluto la partitura scritta a matita e piena di correzioni e l’ha incorniciata a casa».
Accanto a ricordi felici, il «trauma» del ritorno. Perché l’America, soprattutto per un artista, resta l’America dei sogni. «Lì la domanda era: “Quale pianoforte vuole?”. Qui invece è: “C’è o non c’è il piano?”. America e Italia sono due mondi distanti anni luce. Lì c’è rispetto per la figura del musicista, è visto come un professionista, un lavoratore. Qui è un giullare, un intrattenitore. La differenza è troppa, troppa, troppa…».
Così tanta da mettere in programma un viaggio di ritorno nel Paese a stelle e strisce?
«L’idea di spostarmi mi sfiora, mi affascina e mi spaventa».
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