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Debbie Harry, il sogno erotico del punk

La cantante dei Blondie si racconta nel libro “Face it” . Gli inizi come coniglietta di Playboy, la droga, lo stupro, poi i primi passi nel mondo dei locali di New York. Negli anni Settanta diventa una star acclamata da tutti: 17 film, 43 apparizioni in serial tv, 40 milioni di album venduti nel mondo

Il suo sguardo sexy sotto una chioma bionda ha lanciato una generazione di platinate. Prima di Madonna e di Lady Gaga, è stata il sogno erotico del punk. Debbie Harry, con all’attivo 17 film, 43 apparizioni in serial tv, 40 milioni di album venduti nel mondo, è una di quelle rare figure femminili che per grinta, carattere, personalità artistica, hanno costruito una forte immagine di sé, tanto da diventare una vera e propria icona pop che neppure il passare del tempo riesce a scalfire. Sex symbol, superstar, diva, musa di artisti come Andy Warhol e di stilisti come Vivienne Westwood, Dolce & Gabbana e molti altri, voce del gruppo che prendeva il nome dal colore dei suoi capelli, ha portato il punk nelle sale da ballo.

Debbie Harry per creare la sua immagine di popstar guardò prima al cinema. Il suo amore per le figure fantasy dei cartoni animati la portò a Barbarella, interpretata da Jane Fonda nel film Roger Vadim, anche se la sua più grande influenza è stata Marilyn Monroe, che «interpretava un personaggio, la proverbiale bionda muta con la voce da bambina e il corpo da ragazzina … una donna che interpretava l’idea di una donna da uomo». Come unica donna in una band tutta maschile, Harry sapeva che doveva lasciare il segno. Con i suoi capelli di perossido, i vestiti del negozio dell’usato e l’espressione che si trovava da qualche parte tra un broncio e un ghigno, era una pin-up con una striscia sovversiva. «Il mio personaggio Blondie era una bambola gonfiabile ma con un lato oscuro, provocatorio, aggressivo. Ci stavo giocando ma ero molto serio» racconta Deborah Ann Harry, che ora ha 77 anni, in Face It, il libro di memorie realizzato con la scrittrice musicale Sylvie Simmons nel quale delinea le influenze e gli eventi che l’hanno portata alla fama. 

“Face It”, il libro di memorie realizzato da Debbie Harry insieme con la scrittrice musicale Sylvie Simmons

Nata a Miami, dopo esser stata abbandonata dai genitori, si trasferisce nel New Jersey dove trascorre un’infanzia tranquilla. Dopo il diploma, lavora in vari modi come modella, segretaria presso l’ufficio della BBC a New York, cameriera e coniglietta Playboy. Quando si trasferì per la prima volta a New York, voleva diventare una pittrice ma, dopo aver visto artisti del calibro di Janis Joplin, Velvet Underground e, in seguito, New York Dolls, decise che la musica era la sua vocazione. Harry si unì e lasciò varie band tra cui gli Stiletto, attraverso i quali incontrò Chris Stein, che sarebbe diventato il suo principale collaboratore come chitarrista dei Blondie, il suo partner per i successivi tredici anni e, dopo la loro separazione, uno dei suoi più cari amici.

Debbie Harry offre un vivido ritratto di una squallida scena bohémien della New York della fine degli anni Sessanta in cui le droghe erano «parte della tua vita sociale, parte del processo creativo, chic e divertente. Nessuno pensava alle conseguenze». Descrivendo il suo primo incontro con l’eroina con il suo fidanzato del tempo, ricorda: «Era così delizioso … Per quelle volte in cui volevo sopprimere parti della mia vita o quando avevo a che fare con un po’ di depressione, non c’era niente di meglio dell’eroina. Niente».

È in questo contesto che accade un episodio che segnerà profondamente la vita di Debbie Harry. Una notte, rientrando a casa, lei e Stein trovarono sulla porta un uomo che li minacciò con un coltello. Quando gli dissero che non avevano soldi, lui insistette per accompagnarli nel loro appartamento. Lì legò Stein e Harry mentre accumulava le loro chitarre e gli amplificatori vicino alla porta d’ingresso. Quindi sciolse Harry e la violentò.

Quello che può intrigare il lettore, al di là della passione o meno per i Blondie, sono i tanti momenti legati a personaggi simbolo del periodo. Tra le pagine fanno capolino a più riprese i componenti dei Ramones e dei Talking Heads, ma anche artisti come Andy Warhol o Basquiat che videro la forza di rottura delle loro opere riflessa nello stile dirompente di Debbie. Svetta per il suo sapore piccante e ironico insieme il racconto dell’esperienza con Bowie e Iggy Pop. Nel 1977 i due fecero un tour insieme e i Blondie erano i loro supporter; ebbene un giorno i due giganti (entrambi nel pieno del loro periodo più “stupefacente”) cercavano disperatamente della cocaina. Debbie ne possedeva un grammo ma ne odiava gli effetti collaterali su ansia e corde vocali, così ne fruirono il Duca e l’Iguana. A quel punto Bowie, preso dall’euforia, si sbottonò i pantaloni e le mostrò senza preavviso le proprie… doti! «Visto che la mia band era composta da soli uomini forse pensavano che fossi la “misuratrice” ufficiale del Rock. Le misure di David erano ben note e amava tirarlo fuori sia con gli uomini che con le donne. Era divertente, adorabile e sexy. Non lo toccai neppure ma pensai: “Beh, niente male!”»

Debbie Harry e David Bowie

David Bowie mi mostrò il suo pene nello spogliatoio, Visto che la mia band era composta da soli uomini forse pensavano che fossi la “misuratrice” ufficiale del Rock. Le misure di David erano ben note e amava tirarlo fuori sia con gli uomini che con le donne. Era divertente, adorabile e sexy. Non lo toccai neppure ma pensai: “Beh, niente male!”

Debbie Harry

E poi i tempi eroici del CBGB, la mecca del rock e del punk dove fecero i primi passi, e del Max’s Kansas City, altro locale leggendario di New York. «Eravamo tutti pazzi, c’era una sorta di ossessione, eravamo ossessionati dal sogno rock…». 

Tra il fascino decadente di una città in movimento, alla fine degli anni Settanta, nasce la stella Blondie. Imponenti figure culturali cominciano a muoversi dentro e fuori alla sua orbita, tra cui Miles Davis, Patti Smith, Jean-Michel Basquiat, Andy Warhol. Durante una serie di spettacoli a Los Angeles, lei e Stein sono invitati a incontrare Phil Spector nella sua dimora. Li saluta «con una Colt 45 in una mano e una bottiglia di Manischewitz (vino kosher) nell’altra». Altrove, ci sono incursioni nel cinema: ha interpretato una moglie trascurata in Union City di Marcus Reichert e Velma Von Tussle in Hairspray di John Waters. Lei e Stein erano entusiasti di rifare il film Alphaville del 1965 e ha persino acquistato i diritti dal suo regista Jean-Luc Godard per mille dollari. Solo più tardi hanno appreso che non era lui il proprietario.All’inizio degli anni Ottanta, i rapporti con la band erano diventati difficili. La cancellazione del tour dell’ultimo minuto a causa della cattiva salute di Stein (in seguito gli fu diagnosticata una rara malattia autoimmune) è stata l’ultima goccia, ed il giocattolo Blondie si è rotto. Poco dopo, hanno scoperto di aver accumulato due anni di tasse non pagate, spingendo Harry a svendere la sua casa, la sua macchina e persino alcuni dei suoi vestiti. Ingoiando la sua rabbia e dopo aver riportato Stein in salute, tornò al lavoro. Inevitabilmente, però, i racconti di Harry sulle sue imprese da solista mancano dell’eccitazione dei primi anni.

«Nessuna vita è perfetta, non importa come possa sembrare da lontano, tutti hanno della merda da affrontare. Ho vissuto momenti molto molto felici, altri di grande confusione. E continuo ad andare avanti, non so se per testardaggine o stupidità. Nessuna vita è solo felice o solo triste. È impossibile. Ma non è ancora finita. A volte mi sento come se volessi dire a tutto il mondo: “Non sono ancora morta!”».

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