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“Dark Side Redux” alla prova del palco

La cronaca di uno dei concerti tenuti da Roger Waters al Palladium di Londra per presentare il suo remake
Un prologo introduttivo parlato, poi l’inizio dello spettacolo musicale che non emoziona i fan dei Pink Floyd
Un senso di appiattimento e la perdita della tridimensionalità che genera l’opera originale

Per chi, come me, ebbe la fortuna di trovarsi tra mani un misterioso LP, tutto nero con un triangolo che rappresentava la rifrazione di un fascio di luce che si scomponeva nei colori dell’iride, senza sapere chi fosse il gruppo e cosa suonasse ma, attratto da quella copertina, lo acquistò senza alcuna remora e, non appena aperto e messo su la puntina, ne rimase letteralmente affascinato, poter assistere al secondo concerto in  cui Roger Water  viene a presentare la sua riedizione di The Dark Side of the Moon Redux potrebbe chiudere un cerchio che si era aperto cinquant’anni fa.

Premetto che di questo lavoro di Waters avevo ascoltato solo la versione di Money, girata qualche mese fa in rete, e che, proprio perché i miei figli mi avevano regalato questo concerto, per evitare di arrivare influenzato da commenti e pareri, ho evitato di ascoltare altri pezzi e leggere critiche e/o altro.

Per questo evento Roger Waters ha scelto il London Palladium, un vecchio teatro in stile vittoriano, con una capienza sotto i duemila posti distribuiti in tre ordini di platea; scenografie ridotte all’osso, una grossa americana su cui era installato solo un grande triangolo con led, otto proiettori grigliati agganciati alla parete di fondo del proscenio e, sopra di essi una serie di dieci proiettori.

Sul palco, piuttosto stretto in profondità, sulla sinistra un’area con viole e contrabbassi, davanti ai quali c’è un piano elettrico; sulla parte centrale sono state posizionate diverse tastiere, una chitarra acustica e un basso elettrico; chiude la scena sulla destra una batteria composta dai pezzi essenziali. Sulla parte anteriore una scrivania con una sedia e, alle spalle, altre due sedie.

Su specifiche indicazioni dell’organizzazione, all’ingresso eravamo stati avvertiti che tutti i terminali (cellulari, orologi ecc.) sarebbero stati inseriti in una speciale busta sigillata per impedire qualunque utilizzazione, buste che sarebbero state liberate poi all’uscita ….. per un paladino dell’anti sistema come Waters un atteggiamento molto indicativo.

Con una decina di minuti di ritardo sull’orario previsto, entra in scena lui, con una vistosa giacca rossa su un completo nero e, dopo aver completato il consueto saluto, prende in mano un microfono e parte per un lungo monologo, di cui, sia per il mio precario inglese sia perché parla velocemente ed usa spesso termini incomprensibili, almeno per me, capisco ben poco, così mi metto ad osservare le facce degli altri spettatori, per vedere di scrutarne le sensazioni e, sinceramente, vedevo persone a cui tutta quella sua esposizione non sembrava interessare granché. Dopo oltre venti minuti si sollevavano voci e mugugni, a cui il mattatore sembrava comunque non fare caso se non rispondere, in maniera comunque ironica, a chi gli chiedeva qualcosa in merito alle recensioni della prima serata o sulla sua improbabile giacca o altre notizie su Donald Duck (che, ho letto dopo, dovrebbe essere una papera a cui sembra molto affezionato e con cui scambia pareri).

Il vecchio Waters, quando si è presumibilmente reso conto di aver tirato un po’ troppo la corda, ha invitato sul palco i musicisti che lo accompagnano e, dopo una rapida presentazione, a quasi quaranta minuti dall’inizio dello show finalmente si sente musica. I primi due brani sono The Bar su cui spiccano le performance di Via Mardot (theremin), Azniv Korkejian (voce) e Robert Walter (pianoforte), quindi parte Mother che, in qualche modo sembra avvolgere piano piano la sala. Ma tutto dura giusto il tempo di un sospiro. Finita la canzone, si svuota il palco e vengono accese le luci in sala… Ci si guarda in giro stupiti, molte persone si alzano, chi va a prendere da bere chi, presumo si sia già stancato e va per andarsene, quando scende sul palco una rete metallica sulla quale parte un filmato con Waters in primo piano che viene a presentare la genesi, sia musicale che di testo, di ogni singolo pezzo di T.D.S.O.T.M.  (ovviamente per come le vede lui), rimarcando l’intento di ristabilire la centralità dei temi di Dark Side  rispetto alla orecchiabilità della musica.

Purtroppo, tutta questa parte dello spettacolo è stata caratterizzata da troppe persone che giravano per il teatro e, molte parlavano tra loro invece che ascoltare, grande confusione, quasi come cercata e voluta.

Dopo questa ennesima introduzione, finalmente inizia lo spettacolo. Ritornano le luci di scena e partono le note di Speak to Me / Breathe: un ritmo cadenzato, Waters che quasi recita con tono cupo. Segue On the Run e quindi Time e The Great Gig in the Sky, con i testi riprodotti sullo schermo a rete. I brani scorrono via, sempre sullo stesso tempo, non c’è feeling, non c’è sentimento, se non fosse per gli interventi delle viole e delle vocalist sarebbe tutto troppo piatto.

La seconda parte si apre con Money. Nella versione dal vivo sembra meno pesante rispetto a quella in studio, ma la allunga troppo e non riesce ad emozionare. Tralascio ogni giudizio su Us and Them, violentata senza pietà, per completare con Any Colours You Like e Brain Damage che riescono a sollevare finalmente un po’ l’anima, subito affossata poi da Eclipse…. Fine.

Non c’è un grande tributo del pubblico, molti si alzano e vanno via. Resta un grande senso di amarezza, di vuoto, di incompiuto. Forse ci sarebbero stati altri e più interessanti modi per subliminare i cinquant’anni di T.D.S.O.T.M.  ma Roger Waters è questo, nel bene e nel male. E, se qualcosa ha potuto dimostrare, è certamente che, qualunque sia la sua verità, T.D.S.O.T.M.  è e sarà sempre solo Pink Floyd, ovvero quell’amalgama che il ritmo di Mason, i tappeti di Wright e gli intrecci e gli assoli di Gilmour uniti alle visioni di Waters, fecero amare a un quindicenne nel 1973.

Finisco con un giudizio raccolto fuori dal concerto da una mia coetanea, che diceva di essere rimasta delusa perché aveva provato una sensazione di appiattimento che cancellava la tridimensionalità che genera l’ascolto di T.D.S.O.T.M

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