Disco

Cyrano: canto il disastro e il divenire

Esce il prossimo 30 novembre “Atto I: il faro dei perduti”, album di debutto di Carlo Festa, cantautore di Motta Sant’Anastasia che ha scelto come nome d’arte una canzone di Guccini. Un disco di impegno civile, di grande spessore letterario e musicale. «Nel farlo, mi sono messo al servizio di chi non ha voce per gridare»

«In piedi campeggiatori, camperisti e campanari!». Immaginatevi di svegliarvi al suono di una radiosveglia con questa frase ogni giorno della vostra vita, in un lunghissimo e interminabile 2 febbraio. L’anello temporale che conosciamo come “Il giorno della marmotta” non è solo l’idea geniale alla base di un film di successo come Ricomincio da capo, ma è la situazione che apre a pensieri, riflessioni, desideri, paure, possibilità, rielaborazioni e un milione di altri spunti. È quella nella quale si è trovato Carlo Festa, cantautore di Motta Sant’Anastasia che nel maggio di due anni fa con il singolo Promessa annunciava l’uscita del suo primo album Atto I: il faro dei perduti

«Da quel momento i vari lockdown hanno rallentato i processi di registrazione e compositivi», racconta. «Questa situazione ci ha investiti emotivamente e psicologicamente, contribuendo anche alla riflessione. Io e Alessandro Garofalo, che ha collaborato a tutto l’album, abbiamo cominciato a rimuginare su alcune cose che non ci convincevano, cercando nuovi equilibri fra gli strumenti elettronici e quelli tradizionali. Così, quando la scorsa estate siamo entrati finalmente in sala di registrazione, alcune canzoni erano totalmente cambiate rispetto agli originali».

Carlo Festa, in arte Cyrano

Dopo più di due anni da quell’annuncio, finalmente, il 30 novembre, Atto I: il faro dei perduti verrà svelato a tutti con un concerto alla Cooperativa Prospettive di San Giovanni Galermo. Ed è un album al quale molti dovrebbero prestare attenzione. Atto I: il faro dei perduti è uno di quei lavori in cui la musica torna ad affrontare temi sociali con linguaggi letterari e sonori di grande spessore. Uno di quei dischi che dovrebbero essere ascoltati da chi oggi va in cerca di nuovi talenti guardando la televisione o YouTube.

Riavvolgendo il nastro e tornando a quel maggio di due anni fa, ricordiamo che Carlo Festa si presenta con il nome d’arte di Cyrano, da pronunciare alla Guccini, senza l’accento finale alla francese. La sua penna è intrisa di poesia e letteratura, di quei libri che divora («e che ho divorato ancora di più in questo periodo di clausura»), la sua spada è una chitarra affilata da sfoderare contro “politici rampanti, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false”.

Ascoltando l’album Atto I: il faro dei perduti ci sono sincerità e rigore in tutte le otto tracce, nessuna delle quali sotto i quattro minuti, dove certo non manca il déja-vu, ma dove il fiume di musica è arginato da una buona dose di genuina e artigiana passionalità, che non obbedisce a secondi fini di mercato, ma è l’esercizio di una vocazione. Violini e viole si incrociano con elettronica e sintetizzatori. «Unire atmosfere classiche a sonorità contemporanee è un obiettivo che ho inseguito per imprimere un carattere personale ai miei brani», sottolinea Carlo Festa, uscito dal Conservatorio Vincenzo Bellini con un diploma di didattica musicale. Sperimentazioni sonore, che, nell’incontro con le parole, creano un nuovo immaginario visivo. Una forma-canzone profonda, provocatoria, complessa e imprevedibile. 

Il titolo del disco è un’indicazione: «Nel fare quest’album, il mio obiettivo è stato quello di mettermi al servizio di chi non ha voce per gridare, per esprimersi. Vuole essere, nel suo piccolo, il faro che illumina l’oscurità per chi si è disperso». Come quei ragazzi, talvolta minori, a cui Carlo Festa dà supporto familiare nel suo lavoro quotidiano di educatore territoriale domiciliare.

Più che di utopie oggi abbiamo necessità di sopravvivenza. Alle guerre che abbiamo alle porte e che noi siciliani abbiamo da sempre. Sopravvivenza alla pandemia, ai disastri provocati dai cambiamenti climatici. Che sono frutto della nostra responsabilità. Ecco, dovremmo farci carico delle nostre responsabilità: è questo che manca

Carlo Festa, in arte Cyrano

I perdenti, i respinti, i migranti, gli ultimi sono i protagonisti delle canzoni di Cyrano. Persone che tentano di sopravvivere al disastro generale, che lottano e non si rassegnano. Che cercano di andare oltre, come negli straordinari, emozionanti, sei minuti e più dell’iniziale Disastro e divenire, dove il cantautore catanese dimostra di aver metabolizzato così in profondità tutto il possibile e immaginabile di Battiato, Guccini e Fabi, da riuscire a mettere in luce ogni sfaccettatura e restituirla con rispetto. Oppure come in Telemaco, dove un tamburo detta il ritmo come rivolto ai rematori della nave a bordo della quale il figlio di Ulisse va in cerca di “un luogo lontano in cui il metallo delle armi sia stato già riciclato” e si augura che dallo scontro militare si passi all’abbraccio solidale tra Occidente e Oriente. O ancora come in Oltre: “Oltre tutte le parole spese un tempo in favore di una idea; uno straccio di utopia, che ci avrebbe consegnato un mondo libero da ogni ipocrisia”, canta Cyrano.

«Più che di utopie oggi abbiamo necessità di sopravvivenza. Alle guerre che abbiamo alle porte e che noi siciliani abbiamo da sempre. Sopravvivenza alla pandemia, ai disastri provocati dai cambiamenti climatici. Che sono frutto della nostra responsabilità. Ecco, dovremmo farci carico delle nostre responsabilità: è questo che manca». 

“La storia è crudele perché insegna all’uomo che non ha intenzione di imparare niente, gli basta star fermo, spegnendo la mente”, canta nel brano La storia è crudele con toni declamatori e recitativi e in una ambientazione western alla Sergio Leone con fischio finale alla Ennio Morricone. 

Il passato culturale al quale facciamo sempre riferimento non ci appartiene più, bisogna pensare a un rinascimento della Sicilia

Carlo “Cyrano” Festa

Accanto a grandi temi, c’è spazio anche per piccole battaglie. Come quella che ha ispirato a Carlo Festa la canzone La ballata di Tiritì, dal nome della contrada che ospitò la prima contestata discarica. «La piccola storia influenza la grande storia», commenta Cyrano. «È anche l’eco di quello che accade in contesti più ampi. In questo caso furono abbattute colline per ricoprirle con montagne di rifiuti. È una canzone contro il potere». 

Quel potere contro il quale si ribellò Tifeo, che ebbe l’ardire di sfidare gli dei. A lui Cyrano dedica una intensa e drammatica canzone: «Questa figura mitologica mi ha colpito per il peso che questo Titano porta sulle spalle. Il peso della Terra, non per quello specifico, ma per quello morale di una terra martoriata», spiega l’autore. «Voleva essere una canzone sulla Sicilia, raccontata senza le ipocrisie di fondo, con tutte le sue contraddizioni. Il passato culturale al quale facciamo sempre riferimento non ci appartiene più, bisogna pensare a un rinascimento della Sicilia». 

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