In coincidenza con il 25 aprile torna nelle sale il documentario di Giulia Giapponesi che ricostruisce le origini e gli usi dell’inno partigiano. La melodia esisteva già, e su questa sono stati innestati diversi testi. «Più conosciuta di “Volare” e di “‘O sole mio”. È cantata ovunque ci siano movimenti di opposizione e di lotta partigiana. Unisce il mondo»
Con oltre un miliardo di visualizzazioni online, Bella Ciao è la canzone italiana più ascoltata nel mondo negli ultimi anni. Come canzone di lotta e resistenza è stata recuperata nell’ultimo quarto di secolo da decine di realtà di protesta, dalla primavera araba alle proteste #occupy Usa e #occupy Mumbai, dalla lotta alla globalizzazione alla lotta ai cambiamenti climatici, dai funerali dei vignettisti di Charles Hebdo alle rivolte in Sudan e ai movimenti di piazza in Libano, in Cile, in Turchia. Bella ciao è stata cantata da Yves Montand, Giorgio Gaber, Anna Identici, Claudio Villa, Gino Paoli e Milva. E poi da Manu Chao, Woody Allen (la suonò in versione jazz all’Auditorium della Conciliazione di Roma) e Tom Waits. Ma è anche diventata un fenomeno tipico della globalizzazione: canzone simbolo della serie tv Casa di carta, jingle per vendere un prodotto in Messico, musica per promuovere Netflix in Arabia Saudita.
«È la canzone italiana più famosa al mondo, più di Volare e di ‘O sole mio. È cantata ovunque ci siano movimenti di opposizione e di lotta partigiana. Unisce il mondo», ha detto Cesare Bermani, storico, ricercatore sul campo di fonti orali, uno dei fondatori dell’istituto Ernesto De Martino che si occupa di cultura popolare.
Le sue parole evocano la libertà, la lotta contro le dittature e contro ogni estremismo, e per questa ragione è considerata la canzone simbolo della Resistenza. Il paradosso è però che il canto sarebbe stato scarsamente utilizzato nel periodo della dittatura nazifascista e finì per identificare le idee dei partigiani solo a guerra finita.
Alcuni storici della canzone italiana hanno identificato nel testo e nella musica influenze dei canti di lavoro delle mondine, altri lo fanno risalire al Cinquecento francese, altri ancora vedono nella melodia influenze yiddish. Fior di tomba, un canto popolare del Nord Italia, sembrerebbe secondo molti essere il canto precursore della versione che conosciamo, con alcune varianti tratte da altri canti popolari.
In Bella Ciao – Per la libertà, il documentario che torna nelle sale in coincidenza con il 25 aprile, la regista Giulia Giapponesi porta avanti una ricerca attenta e meticolosa per ricostruire le origini e gli usi della canzone. Ascolta diverse testimonianze, da Moni Ovadia a Vinicio Capossela ai Modena City Ramblers. E sono soprattutto donne al centro dell’indagine della regista. Come Floriana Putaturo Diena, figlia di un antifascista e vedova di un partigiano.
«Floriana ricorda bene Bella Ciao, lo abbiamo sentito dalla sua viva voce perché la canta nel film», spiega Giulia Giapponesi. «Soprattutto, Floriana ricorda una Bella Ciao con le strofe diverse da quelle che conosciamo oggi, ed è una prova chiara che Bella Ciao c’era durante la Guerra. Ma in realtà hanno già risposto ai dubbi sulla genesi le ricerche di Cesare Bermani, che vediamo nel film, e che ha ritrovato Bella Ciao nei cori della Brigata Majella e più tardi, in qualche documento scritto, anche nelle Marche. Ma un conto è vedere un botta e risposta sulla carta tra studiosi, un conto è sentirla cantare da qualche testimone che era presente all’epoca. Quindi ho pensato che Floriana fosse la risposta migliore a questo mistero-non-mistero».
Dice bene Vinicio Capossela all’inizio della prima intervista: “Bella Ciao viene in soccorso di chi ne ha bisogno”. Significa che di per sé è una canzone che non ha un colore, non appartiene a nessuno. Bella Ciao è stata cantata recentemente sia dai filorussi del Donbass, che si sentivano oppressi dagli ucraini, sia dagli ucraini che sono stati invasi dai Russi. Non ha una connotazione ideologica, non sta da una parte o dall’altra
Giulia Giapponesi
La melodia, dunque, esisteva prima. E su questa sono stati innestati diversi testi. Tanti semi hanno fatto crescere una pianta che a sua volta ha tante nuove foglie, che sono poi le versioni di Bella Ciao nel mondo. «È come una melodia allo stesso tempo triste e allegra che in qualche modo si lega bene a qualunque lotta o resistenza», prosegue la regista. «Dice bene Vinicio Capossela all’inizio della prima intervista: “Bella Ciao viene in soccorso di chi ne ha bisogno”. Significa che di per sé è una canzone che non ha un colore, non appartiene a nessuno. Bella Ciao è stata cantata recentemente sia dai filorussi del Donbass, che si sentivano oppressi dagli ucraini, sia dagli ucraini che sono stati invasi dai Russi. Non ha una connotazione ideologica, non sta da una parte o dall’altra. Per questo motivo sembrerebbe perdere di significato ed invece lo acquista ancora di più, perché è una canzone che viene in soccorso di chi ne ha bisogno, uno strumento insomma».
A renderla famosa, piuttosto che La casa di carta, secondo Giulia Giapponesi sarebbe stata «tutta quella gente in Turchia, in Kurdistan», che la cantava da ben prima della serie spagnola, «e la considera giustamente una loro canzone». Probabilmente, come spiegano bene Bermani e Marcello Flores D’Arcais nel documentario, è diventata così popolare per l’esplosione dei Festival della Gioventù nell’immediato Dopoguerra, dove veniva cantata. Quella del web non è che l’ultima detonazione di una serie di detonazioni che periodicamente l’hanno portata in auge in Paesi diversi ed epoche diverse. Il web ha unito tutte queste scintille. Più che un discorso pieno di paroloni, questa semplice canzone ci unisce tutti per la sua immediatezza, attraversando la storia ed i confini.