Storia

Auguri Keith Richards, mille di questi riff

– Il chitarrista dei Rolling Stones compie 80 anni e si allinea con il suo compagno d’avventura Mick Jagger 
– Le scorribande romane ai tempi della Dolce Vita e quel doppio flop negli anni Novanta al Flaminio

Con quello straccio tra i capelli e le rughe profonde, sembra un chitarrista zingaro o un Cristo sofferente scolpito su un tronco d’ulivo. Consumato dalla vita on the road, segnato dalle cattive abitudini, prosciugato dalle infinite trascuratezze cui solo agli immortali è dato sopravvivere, Keith Richards, Keef (per gli amici) potrebbe avere i suoi 80 anni, festeggiati oggi, o i 969 di Matusalemme; nel rock è la maschera che parla, e la sua è potentissima. Se ne frega degli slogan, di quello che han scritto su di lui, grande chitarrista posseduto da mille demoni o Lucifero partorito durante un voodoo a base di blues. «Ma quale diavolo!», esclama lui scoppiando in una risata catarrosa e subito aspirando voluttuosamente dall’ennesima Marlboro come fosse una riserva d’ossigeno.

Quale che sia il suo interlocutore, Richards pretende normalità, confidenza, allegria. Continua a essere una star riluttante dopo più di sessant’anni da Rolling Stone con oltre duecento milioni di dischi venduti, riff memorabili che hanno segnato in maniera indelebile la storia del rock (Gimme Shelter e Jumpin’ Jack Flash sono solo esempi), l’ennesimo trionfale tour mondiale, un sorprendente disco fresco di pubblicazione, Hackney Diamonds, un’autobiografia best seller a dir poco rivelatoria – Life (2010) che affettuosamente chiama “La Bibbia” – un audiobook per bambini, Gus and Me, disegnato dalla figlia Theodora, in cui narra la storia dell’adorato nonno materno e della sua prima chitarra. 

C’è un Keith professionale, composto, paziente, e c’è un Keef divertente, ironico, buontempone che ha voglia di ricordare, montare e smontare leggende metropolitane, beffarsi delle frasi a effetto che i “motherfucker” sparano come scoop: «Una canna la mattina? Scandalo! Ma cazzo, sono Keith Richards, cosa si aspettano da me? Sgt. Pepperun disco di merda? Blasfemo! Avrò ben il diritto di esprimere un’opinione; fu quel disco che ci costrinse a incidere nel ‘67 Their Satanic Majesties Request, il più brutto degli Stones. Ne parlavo anche con John (Lennon), un fratello, ne ho riparlato di recente con Paul (McCartney), un amico». 

Dalla bocca rugosa espira una nuvola di fumo denso, ritratto perfetto del drago che Johnny Depp ha voluto come padre nel film Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo e l’amico Tom Waits ha raccontato in un poema: «Keith Richards può andare più veloce di un fax / La sua urina è blu / Mani da spaccalegna / Braccia da marinaio / Schiena da soldato / Cervello da detective / Spalle da boxer / Voce da ragazzo del coro». 

Con Tom Waits ha condiviso molte cose. Ed è lunga la lista di quelli che con lui hanno condiviso l’incubo della dipendenza – Gram Parsons, John Phillips dei Mamas & the Papas, John Lennon. «Brian Jones no, lui ne era schiavo quando ancora non mi facevo. E io, che gli avevo soffiato Anita Pallenberg, non ero la persona giusta per dargli una mano».

Le scorribande romane degli anni Sessanta con la Pallenberg, che girava Barbarella a Cinecittà, la Campo de’ Fiori di Gabriella Ferri, che per Anita era come una sorella e con il pittore Mario Schifano. A Roma la Pallenberg aveva contratto quelle cattive abitudini ben prima che Keith iniziasse il suo match con l’eroina, così come Donyale Luna, indimenticata top model di colore originaria di Detroit che Richards e Pallenberg frequentarono assiduamente in quel 1967 (sarebbe morta di overdose nel 1979). Era il periodo in cui se una ragazza fosse entrata nel clan degli Stones avrebbe saltato fatalmente da un letto all’altro (Marianne Faithfull, girlfriend di Jagger, ancora ricorda con un certo rimpianto l’unica notte d’amore col chitarrista). Storie in parte narrate in Life, una biografia unica nel suo genere, senza censure, come dovrebbero essere i libri di chi sceglie di raccontarsi. 

Mick Jagger e Keith Richards due arzilli ottantenni

Il mio ricordo personale di Keith Richards risale al 1990, nel backstage dello stadio Flaminio a Roma, prima di tre date italiane del tour dei Rolling Stones. Keith e Mick aprirono le loro stanze segrete alla stampa perché i due concerti romani erano andati molto male nelle prevendite. Keith si fece trovare con la consueta sigaretta appiccicata alle labbra, mentre giocava a biliardo prima di salire sul palco, con Jagger seduto su una poltrona. Entrambi sorseggiavano whisky e si dimostrarono socievoli e divertenti. Ci sommersero di battute, che celavano la preoccupazione per i due flop romani. Dai quali, tuttavia, si ripresero immediatamente. Due giorni, a Torino, al momento dell’esecuzione di Brown Sugar, sotto il palco dello Stadio delle Alpi si accalcano 50mila persone. Tutti a cantare “I said, yeah, yeah, yeah, wooo”. Solo quattro anni più tardi, poi, il Voodoo Lounge world tour registrerà uno degli incassi più spaventosi della storia della musica, superato solo da A Bigger Bang tour.

Auguri Keith, mille di questi riff.

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