Zoom

Alle origini del suono del deserto

– La riscoperta di un disco pubblicato nel 1994 e del quale si erano perse le tracce porta alla band saharawi El Wali che ha influenzato il desert blues o rock tuareg
– La musica è sopravvissuta attraverso i telefonini e ora l’album è stato ripubblicato: racconta le origini della guerra contro il Marocco e la storia di un popolo in esilio che sogna l’indipendenza
– Un conflitto che dura da cinquant’anni: dal 1975 il popolo saharawi viene considerato straniero a casa sua o addirittura impossibilitato a rientrare nella propria terra

Un muro lungo più di duemila chilometri nel deserto africano. Una guerra di quindici anni che si è conclusa, ma un conflitto che ancora non ha fine. Un referendum per l’indipendenza richiesto dall’Onu che non è mai stato fatto. E un popolo che vive da più di cinquant’anni nei campi profughi. È la storia dell’ultima colonia africana, quella del Sahara occidentale, conosciuta come ex Sahara spagnolo.

Si trova nel nord-ovest del continente africano e insieme a Marocco, Mauritania, Algeria, Tunisia e Libia fa parte di quell’insieme di Paesi denominato Maghreb. È un territorio di circa 266.000 Kmq, che confina a nord con il Marocco, a sud con la Mauritania, a est con l’Algeria e a ovest con l’oceano Atlantico. Il suo territorio è prevalentemente desertico e comprende due regioni distinte: il Saquia el-Hamra a nord e il Rio de Oro a sud.

Dal 1975 il popolo saharawi viene considerato straniero a casa sua o addirittura impossibilitato a rientrare nella propria terra. A raccontare questo dramma è una orchestra, chiamata El Wali, composta da saharawi che si oppongono al dominio marocchino. È la più ascoltata nel Sahara occidentale, ma è difficile trovare informazioni su Google e solo un album su YouTube (senza i nomi dei cantanti o dei musicisti). Il luogo in cui ha avuto origine la band, il Sahara occidentale, è un punto interrogativo per la maggior parte delle persone. El Wali è diventato una sorta di orchestra nazionale, un gruppo le cui canzoni non hanno crediti e non appartengono a nessuno, un’entità che cambia i membri nel corso delle generazioni.

Situato tra il Marocco e la Mauritania, questo deserto era una provincia spagnola – e una delle ultime colonie europee in Africa – fino al 1975, quando la Spagna lo consegnò al Marocco. I nativi del Sahara occidentale, i sarawi, erano una miscela di tribù nomadi con quasi nessun concetto di nazione prima che il Marocco li costringesse a lasciare la loro terra. Alla fine degli anni Settanta, trovarono rifugio nell’Algeria sud-occidentale, dove, unificati dal nemico comune, gettarono le basi di una nuova nazione, la Repubblica Democratica Araba saharawi (SADR).

Guidati dal Fronte Polisario di sinistra, hanno iniziato una guerriglia contro il Marocco che dura ancora oggi. Il conflitto si è recentemente intensificato, soprattutto dopo che l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha riconosciuto le rivendicazioni marocchine sul territorio nel 2020. Anche se in gran parte dimenticato dalla comunità internazionale, questa è una delle guerre più lunghe dell’Africa e una lotta continua contro la colonizzazione (il Sahara occidentale è considerato dall’Onu un territorio non autonomo, essenzialmente una colonia del Marocco).

Maulud Emhamed Sidi Bashir, chitarrista settantacinquenne, e Lud Mahmud, membro del movimento indipendentista Polisario Front, erano tra le decine di migliaia di persone che hanno dovuto lasciare le loro case nel Sahara occidentale e fuggire nei campi in Algeria, dove il Polisario ha usato la musica per aiutare a conservare un’identità nazionale. La poesia tradizionale, infusa di testi sulla lotta contro il Marocco, è stata adattata in canzoni. Il risultato è uno splendido arrangiamento di strumenti occidentali e locali suonati da una band che presto avrebbe preso il nome di El Wali.

«Sono scappata dai proiettili», dice Ahdaidhum Abaid Lagtab, un’ex componente di El Wali. «Sono arrivata nel bel mezzo dell’occupazione e ricordo i saharawi morti». All’età di 16 anni, Lagtab, come Bashir, fuggì dall’avanzata dell’esercito marocchino a metà degli anni Settanta. Si è unita a El Wali nel 1979, quando la band era già attiva, con circa una dozzina di membri, e aveva preso il nome del co-fondatore e martire più famoso del Fronte Polisario: El-Ouali Mustapha Sayed. Con l’aspetto di una rockstar e il carisma di Che Guevara, galvanizzò la nazione prima di essere ucciso nel 1976 all’età di circa 28 anni durante un raid. È ancora l’eroe dei saharawi per eccellenza.

«All’inizio, lavoravamo per la nazione», spiega Salma Mohamed Said, AKA Shueta, una cantante e batterista veterana che ha iniziato con El Wali. «Alcuni suonavano strumenti tradizionali, come la batteria. Altri suonavano strumenti moderni, come la chitarra e la tastiera. Il tradizionale ha bilanciato il moderno». A cavallo fra gli anni Ottanta ed i Novanta la band ha tenuto concerti dalla Libia al Sudafrica, dal Portogallo alla Germania Est alla Corea del Nord. Nel 1994, El Wali è andato in Belgio per una sessione di registrazione organizzata da Oxfam. Il risultato è stato una registrazione di ottima qualità: Tiris, tredici canzoni suonate con tre cantanti, chitarra elettrica, basso, batteria, tastiera e tidinit, un tradizionale liuto sahrawi. È un mix di melodie gioiose ma nostalgiche che raccontano le origini della guerra contro il Marocco e la storia di un popolo in esilio che sogna l’indipendenza.

Il mondo – o almeno l’Occidente – avrebbe probabilmente perso traccia di Tiris se non fosse stato per un “etnomusicologo di guerriglia” e produttore dell’Oregon di nome Christopher Kirkley. Intorno al 2009, Kirkley era in tour nel Sahel (un tratto del Sahara meridionale) e nell’Africa occidentale per raccogliere campioni di musica locale per una serie di album chiamata Music from Saharan Cellphones.

«A quel tempo, Internet non era molto diffuso nella regione», racconta. «Ma i cellulari e il bluetooth lo erano, e la gente li usava per ascoltare e scambiare musica. L’unico modo per ottenere canzoni era copiarle da un telefono all’altro». Durante le sue ricerche, le canzoni di El Wali continuavano a spuntare su schede di memoria e sim, ma Kirkley non sapeva chi fossero quegli artisti. «Non c’erano molte informazioni; spesso erano solo intitolati Polisario».

Secondo Kirkley, la musica sahrawi ha contribuito a introdurre la regione alla chitarra elettrica, che ha davvero preso piede nell’Africa occidentale negli anni Novanta. Molta della più nota musica per chitarra tuareg – a volte conosciuta come desert blues o rock tuareg, suonata da artisti del calibro di Mdou Moctar e Tinariwen – è stata enormemente influenzata dalla musica per chitarra sahrawi. «Soprattutto il ritmo allegro e il tipo di ritmo reggae, quelli hanno un’origine nella musica sarawi», sottolinea. «Era il suono definitivo del Sahara occidentale».

Attraverso persone che lavoravano in ONG nel Sahara occidentale, Kirkley è entrato in contatto con il produttore musicale sahrawi Hamdi Salama, che lo ha presentato ad Ali Mohammed (il chitarrista in Tiris), che gli ha parlato della sessione di registrazione in Belgio con Oxfam. «Non c’è stata alcuna possibilità di rintracciare questo CD in nessuna parte del mondo, è scomparso da Internet e da qualsiasi media occidentale», racconta Kirkley. «C’è qualcosa di affascinante in una musica che risuona e sopravvive su una rete di telefoni. Senza di essa, probabilmente non avrebbe mai questa seconda vita».

Nel 2019, Kirkley e Salama hanno ripubblicato Tiris di El Wali, che adesso è disponibile su Spotify e YouTube. Ora stanno lavorando a una nuova uscita di musica della band saharawi. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *