Storia

Addio Tina, la regina del rock’n’roll

Tina Turner è morta all’età di 83 anni, in Svizzera dove viveva nella sua terza vita. Era malata da tempo. Una vita all’insegna della resilienza, la guerra contro il marito-schiavista Ike. È stata una straordinaria performer, icona di bellezza e una voce graffiante. «Come voglio essere ricordata? Come una donna che ha mostrato ad altre donne che va bene lottare per il successo alle proprie condizioni»

Tina Turner, la “leonessa”, la donna che visse tre volte, la potente cantante che ha contribuito a creare un marchio R&B ad alto numero di ottani come metà del duo incendiario Ike & Tina Turner e ha cantato a squarciagola gemme soul-rock come Proud Mary, River Deep, Mountain High e What’s Love Got to Do With It, è morta a 83 anni. Lo ha reso noto il suo manager, Bernard Doherty, che ha detto che Tina è morta mercoledì dopo una lunga malattia nella sua casa di Küsnacht, vicino a Zurigo, in Svizzera. La cantante era diventata cittadina svizzera dieci anni fa.

Se c’è un concetto che riassume tutta la parabola di Tina Turner, iniziata nei campi di cotone di Nutbush, Tennessee, passata attraverso il matrimonio tossico con Ike Turner fino ad arrivare al successo globale come rockstar quarantenne felicemente risposata e spiritualmente realizzata, la parola è redenzione. Quella redenzione che è sempre stata alla base del gospel, la radice della musica soul, che ha infervorato le prediche nelle Chiese della domenica e nei discorsi politici del reverendo King: la fede che per quanti peccati e dolori ci siano in una vita, tutto questo un giorno troverà una conclusione. La redenzione che mostra come anche una cantante bullizzata e prigioniera di una partnership infernale, un giorno può trovare il suo riscatto. Potrà chiudere una prima vita, e iniziarne una seconda, di cui la prima sarà solo un lontano ricordo.

La “guerra” con il marito Ike. E se c’è un momento emblematico dell’inizio della seconda vita di Anne Marie Bullock, è un giorno di novembre del 1977. Il luogo, il tribunale civile di Los Angeles. È il giorno in cui finalmente arriva di fronte al giudice la pratica di divorzio chiesto un anno prima, dopo la fuga dal marito Ike in una notte in Texas, il vestito sporco di sangue e senza un soldo in tasca.

Quello è il giorno in cui, pur di troncare qualsiasi legame col passato, rinunciando alle molte cose che aveva in comune con l’uomo che le aveva reso la vita impossibile, fa una scelta radicale: «Non voglio nulla, solo poter mantenere il mio nome d’arte». Quel nome che Ike aveva depositato con un copyright per poterla eventualmente sostituire nella Revue. Quel nome – anche quello! – di sua proprietà. È il giudice, colpito dal fatto che lei rinunci a tutto, a decidere. In aula, Tina guarda Ike e gli dice «mi hai dato tu questo nome, guarda cosa ne farò io ora». È il primo passo verso una nuova vita, una nuova carriera, che la porterà sette anni dopo a quel Private Dancer che la incoronerà regina del rock e venderà 20 milioni di copie. 

Straordinaria performer. Il suo era pop che aveva l’energia e l’intensità del rock e la sensualità del soul e dell’r&b. Tina è stata una delle più straordinarie performer mai apparse sui palcoscenici: Mick Jagger, tanto per fare un nome, che era un suo amico fraterno, ha sempre ammesso di averle “rubato” il modo di stare in scena, ai tempi in cui i Rolling Stones erano così giovani da aprire i concerti di Ike & Tina Turner. Le loro performance insieme, a cominciare da quella a Live Aid, con Mick Jagger che le strappò la gonna, sono pagine di storia. «È una delle prime interpreti donne con cui ho lavorato che ha la stessa cosa aggressiva che ho io», disse Jagger a Rolling Stone nel 1995. «Era come una versione femminile di Little Richard».

Un’icona di bellezza senza tempo, un fascino irresistibile, probabilmente le gambe più belle della storia della musica (e non solo). Una voce inconfondibile, graffiante, immersa nella storia della black music ma perfetta per il pop da classifica, la capacità di resistere a un’esistenza che racchiude almeno tre vite, una naturale empatia sono gli elementi che ne hanno fatto una delle artiste di maggior successo di sempre. 

Hollywood la chiamò per recitare in Mad Max a fianco di Mel Gibson: sexy, afroamericana e aggressiva. Non era cosa comune. Ormai tutto era ripartito, era tornata la regina Tina. Nel 1985 fu tra le voci di We are the world. L’anno successivo per Break every rule sfoggiò le collaborazioni con Bryan Adams, David Bowie, Mark Knopfler, Phil Collins, Eric Clapton e Steve Winwood. Nel 1991 firmò l’autobiografia-bestseller da cui fu tratto, due anni dopo, il film Tina – What’s love got to do with it diretto da Brian Gibson, con Angela Bassett nei suoi panni. Nel 1995 Bono e The Edge scrissero per lei, e per l’omonimo film di James Bond, GoldenEye.

Altre tragedie, poi la malattia. Ma la vita conservava nuovi dolori per lei, che intanto aveva sposato Erwin Bach, di 16 anni più giovane, si era trasferita in Svizzera e aveva abbracciato il buddismo. Nel 2013 un ictus, nel 2016 la diagnosi di cancro intestinale, peraltro curato omeopaticamente. Infine una grave insufficienza renale che l’ha messa di fronte alla scelta tra dialisi e trapianto. In dialisi, valutò l’idea del suicidio assistito, poi le fu trapiantato un rene, donatole dal marito. Nel 2018 si suicidò il primogenito, Craig Raymond Turner, l’anno scorso morì il secondo, Ronnie Turner, anche lui affetto da cancro. La sua vota è un inno alla resilienza. 

Nell’ultima intervista concessa, alla domanda “come vorresti essere ricordata?”, rispose: «Come la regina del rock’n’roll. Come una donna che ha mostrato ad altre donne che va bene lottare per il successo alle proprie condizioni».

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