Mostre

Viaggio nel mondo di Rino Gaetano

– A Roma la prima mostra dedicata al cantautore di Crotone che ha segnato un’epoca nella musica italiana: documenti, foto, cimeli artistici, la raccolta dei dischi, video, strumenti musicali, oggetti, abiti di scena
– Il ricordo di chi lo conobbe: Riccardo Cocciante, Vincenzo Mollica e Francesco Micocci. «Era un uomo libero perché libero era il suo pensare. Non amava i conformismi perché era testardamente e coscientemente anticonformista fino all’estremo»
Rino Gaetano, Crotone, 29 ottobre 1950 – Roma, 2 giugno 1981 (foto di Peppe D’Arvia – archivio Anna Gaetano)

Oggi gli scarti di Rino Gaetano farebbero milioni di visualizzazioni. Ma le vittorie postume, si sa, non danno soddisfazione. E, soprattutto, non possono darne a chi non c’è più, come il cantautore col cilindro venuto da Crotone, morto il 2 giugno 1981, a soli 30 anni, per un incidente stradale, ma anche per l’impossibilità di trovare in tempo l’ospedale dove ricoverarlo. Una fine che lui aveva profeticamente previsto dieci anni prima, in un brano rimasto inedito, La ballata di Renzo: «La strada era buia, s’andò al San Camillo/ e lì non l’accettarono forse per l’orario/ si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni/ e lì non lo vollero per lo sciopero». Il San Camillo e il San Giovanni, come il Policlinico, anche citato nel pezzo, furono i tre ospedali che rifiutarono Rino in quella tragica notte.

Questo inedito, come tante altre rarità, si ritroverà nella mostra “Rino Gaetano”, che sarà ospitata a Roma dal 16 febbraio al 28 aprile 2024 al Museo di Roma in Trastevere, nel quartiere che amò e frequentò fin dai tempi del Folkstudio, il mitico club romano dove passò persino Dylan e dove fu subito chiaro che Rino Gaetano era un alieno, beffardo, satirico, poco adatto a far parte dei «colleghi cantautori eletta schiera che si vende alla sera per un po’ di milioni» (per dirla con Guccini). Nell’esposizione, che documenta l’intero cammino artistico del cantautore calabrese, documenti, foto, cimeli artistici, la raccolta dei dischi, video, strumenti musicali, oggetti, abiti di scena come l’accappatoio indossato durante il Festivalbar all’Arena di Verona e la giacca in pelle utilizzata a Sanremo, manifesti e la collezione di cappelli. Tutti oggetti gelosamente conservati dalla sorella Anna.

L’accappatoio indossato da Rino Gaetano durante il Festivalbar all’Arena di Verona

La leggenda vuole che a portarlo per la prima volta in una casa discografica sia stato Lucio Dalla, che gli diede un passaggio in auto mentre il giovane Gaetano, con la chitarra in spalla, faceva l’autostop. Di certo alla It Dischi, dove già c’erano De Gregori e Venditti, lui arrivò come un fulmine a ciel sereno, cambiando tutto e portando una clamorosa ventata di rinnovamento nella canzone d’autore.

«Aveva visto giusto mio padre Vincenzo Micocci che nel 1970 aveva fondato l’etichetta indipendente It Dischi e due anni dopo avrebbe offerto il primo contratto discografico a Rino, colpito dal suo talento eccezionale e certo delle sue potenzialità», ricorda oggi Francesco Micocci. «Fu proprio papà a convincere Rino a cantare: quel giovane e appassionato musicista era stato portato nel suo ufficio da Venditti, che l’aveva conosciuto al Folkstudio, ma era convinto di non avere una bella voce. Glielo avevano fatto credere in collegio a Narni, escludendolo dal coro, e per questa ragione lui voleva limitarsi a scrivere la musica e i testi. Tanto che si era presentato alla IT con un amico che avrebbe dovuto cantare i suoi brani. Ma Vincenzo ribatté che sarebbe stato perfetto come cantautore, termine da lui stesso inventato nel 1959, nell’ufficio di Melis alla RCA, per Gianni Meccia».

Gli strumenti, i cappelli, i dischi

Atipico, in tutto, Rino Gaetano conquistò il successo nel 1975, con un 45 giri, Mio fratello è figlio unico, che sembrava talmente un flusso di coscienza da essere diviso in due parti, sulle due facciate del disco. Atipici erano i suoi testi, eredi del latino “ridendo castigat mores”, ma adagiati su filastrocche e musichette orecchiabili, cosa ben poco politicamente corretta, scomoda per gli anni degli slogan a pugno chiuso. Lui di slogan non ne aveva, era surreale come Jannacci, ma sudista non milanese, il suo riso amaro sapeva di Magna Grecia.

I QCconcert con New Perigeo, Riccardo Cocciante e Rino Gaetano (archivio Anna Gaetano)

«Ho incontrato Rino Gaetano per la prima volta alla fine degli anni Settanta presso la casa discografica Rca che, sotto l’impulso del geniale direttore artistico Ennio Melis, rappresentava in quegli anni un luogo formidabile di incontro, innovazione, confronto. In poche parole, un modo di intendere la musica all’insegna della condivisione, senza fretta, di cui oggi si sente tanto la mancanza», racconta Riccardo Cocciante. «Tra le creazioni di Melis c’era il “Cenacolo”, un’opportunità che permetteva ai cantautori affermati di scambiare idee e provini con gli emergenti. E c’era il QConcert, un’esperienza del tutto nuova e molto interessante in cui tre artisti diversi si esibivano sullo stesso palco divisi dai rispettivi stili ma uniti dalla passione per la musica. Al QConcert del 1981 partecipammo io, il gruppo dei New Perigeo e lo stesso Rino che, data dopo data, attraversando l’Italia, imparai a conoscere bene. In quell’occasione ci scambiammo le canzoni: io presentai la sua Aida dandole una connotazione piuttosto straziante, lui cantò la mia A mano a mano, che avevo scritto nel 1978, in una versione opposta imprimendole la sua personale identità. Io lo facevo in tre quarti, lui in quattro quarti e la sua versione mi piacque moltissimo. Un artista non sempre deve assecondare le aspettative del pubblico ma deve avere anche il coraggio di spiazzare. Poi, nel corso degli anni, A mano a mano è diventato un pezzo del repertorio di Rino».

I dischi e le copertine

Il successo arrise molto velocemente a Gaetano, la sua irriverenza poetica piaceva a tutti, al pubblico dei giovanissimi soprattutto ma anche a quello che lo vide debuttare sul palco di Sanremo nel 1978 cantando Gianna. Per la prima volta nella storia del Festival, fu pronunciata la parola “sesso”. Nel teatro Ariston, all’epoca, l’impressione fu di vedere un marziano, per la forza dissacrante di quella performance ispirata più a Carmelo Bene che ai codici della musica.

«Al Festival lui avrebbe voluto presentare Nuntereggae più, un pezzo che aveva suscitato molte polemiche», riprende Micocci. «Ma mio padre lo convinse a portare Gianna che arrivò prima nella sezione “Cantautori” (e terza assoluta dietro …e dirsi ciao dei Matia Bazar e Un’emozione da poco di Anna Oxa) e fu un successo discografico clamoroso, anche in Europa e America Latina. E Rino poté finalmente comprare la casa ai genitori che da Crotone, in Calabria, si erano trasferiti a Roma e, titolari di un portierato in via Nomentana, vivevano in un seminterrato. Acquistare una casa per la famiglia era il sogno che il cantautore inseguiva fin dall’inizio della carriera».

Rino Gaetano con il leggendario cappello a cilindro durante la sua esibizione al Festival di Sanremo del 1978

Nonostante i pochi anni della sua avventura musicale l’elenco dei brani memorabili è davvero lungo: in Nuntereggae più fece i nomi e i cognomi, quasi andando oltre il Pasolini che sapeva ma non poteva fare quei nomi e cognomi, ma scanditi su un giamaicano ritmo in levare, un reggae, a completare il ludico uso delle parole, a nascondere il serio dietro il faceto, per sperare che i signori censori non si accorgessero di lui, ma anche che così fosse più facile far arrivare il messaggio. In Aida condensò la storia d’Italia in una marcia trionfale da teatro dell’assurdo, s’impossessò del Novecento di Bertolucci, ma pensando al Marley di No woman no cry nell’uso dei cori femminili. O ancora l’esaltazione della forza femminile di Gianna che «difendeva il suo salario dall’inflazione», sino alla sua celebre Ma il cielo è sempre più blu, intrisa di luoghi comuni e di misfatti che i “benpensanti” definiscono progresso, ai quali si contrappone l’indomabile speranza dei “sognatori” che vagheggiano “un cielo sempre più blu”. E poi ancora, ma la lista è lunga, Berta filavaSfiorivano le viole, che con linguaggio desueto trattava i temi dell’emarginazione.

«È stato un artista eclettico ed originale che nelle sue canzoni sapeva far convivere, con sentimento e perfezione, poesia, malinconia, ironia ed allegria», commenta Vincenzo Mollica. «Aveva un sorriso limpido con cui poteva pungerti o accoglierti come in un abbraccio. Era un uomo libero perché libero era il suo pensare. Non amava i conformismi perché era testardamente e coscientemente anticonformista fino all’estremo. Quando componeva e quando cantava era se stesso fino in fondo; per questo le sue canzoni si cantano ancora e ci fanno riflettere per la loro sorprendente attualità. Le sue sono canzoni universali che respingono la polvere del tempo. Rino Gaetano ci ha lasciato doni bellissimi perché all’ombra della sua arte respiriamo quel dolce sentimento fatto di intelligenza, vitalità e bellezza senza fine».

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