«Le sale vanno avanti con qualche filmone americano, i nostri film non piacciono. Chiediamoci cosa manca». Il produttore Aurelio De Laurentis: «Sono brutti, non sono scritti bene». «Quelle di Favino sugli attori sono polemiche che lasciano il tempo che trovano». Dal 15 settembre su Paramount+ la seconda serie di “Vita da Carlo”
«Hanno chiuso troppe sale. Siamo sempre lì, prima Barbie ora c’è Oppenheimer. Le sale tirano avanti con qualche filmone americano. Dobbiamo riflettere su cosa manca al nostro cinema, se il pubblico vuole altri attori, più novità, che si azzardi di più. I risultati mi impensieriscono, io mi auguro che si riprenda, ma probabilmente si deve cambiare qualcosa nella scrittura. Sono certamente dispiaciuto perché io sono nato col cinema, mi manca tantissimo».
È l’amara riflessione di Claudio Verdone nel corso della presentazione della seconda serie di Vita da Carlo, dal 15 settembre su Paramount+ in dieci puntate (mentre la terza serie si comincerà a girare a novembre e la quarta è in preparazione).
Entra poi a gamba tesa il suo produttore Aurelio De Laurentiis: «Sapete che c’è? I film italiani sono brutti, non sono scritti bene. Oppenheimer lo rivedi tre volte, quale film italiano rivedi tre volte? Ai David ho sentito affermazioni vecchie, stantìe: il cinema non deve tenere conto delle esigenze della platea. Io ne ho sempre avuto rispetto. Poi abbiamo avuto le distorsioni dei critici, perfino al signor Hitchcock non veniva perdonato il tipo di cinema che faceva. In tanti criticarono Vittorio De Sica che ha vinto quattro Oscar, ma giocava ai Casinò, aveva bisogno di soldi e doveva stare sempre sul set. Noi siamo distruttori, non abbiamo il culto del nostro cinema e non difendiamo i nostri autori».
Carlo Verdone parla anche degli eccessi del “politically correct”: «Premesso che sono il primo antirazzista, ci sono estremismi ridicoli, che non riesco a comprendere, il “politically” corect è diventato un’americanata, viene dagli USA che sono la prima industria del porno e ci vengono a dare lezioni di morale». E, a proposito del polverone sollevato alla Mostra di Venezia da Pierfrancesco Favino sugli attori americani (in particolare Adam Driver per Enzo Ferrari) che interpretano icone italiane, ha commentato: «Sono polemiche che lasciano il tempo che trovano. Ha detto bene Sofia Coppola, il regista è l’artefice del film, e lui che sceglie l’attore. Se Michael Mann ha scelto Adam Driver vuol dire che doveva essere così. Chiediamoci cosa manca al nostro cinema. Mi spiace, io sono nato col cinema. Ma la mia carriera l’ho fatta».
Quindi non intende tornare sul grande schermo, al film d’autore?
«Beh, Un sacco bello, Compagni di scuola, Al lupo al lupo lo sono. Forse ci proverò appieno quando scriverò il mio primo romanzo, ci proverò».
Se il cinema va male e le grandi sceneggiature latitano, avanti allora con la serie tv. «Che è il mio piccolo 8 e mezzo», spiega l’attore e regista romano. Accanto alle conferme di Max Tortora (l’amico rompiscatole), Monica Guerritore (l’ex moglie), Filippo Contri (il figlio), Caterina De Angelis (la figlia), Antonio Bannò (il fidanzato Chicco); accanto, alla new entry Stefania Rocca, autrice di libri per bambini, ci sono tante guest star: Ibrahimovic, Christian De Sica, Mita Medici, Claudia Gerini (tornano nel cameo come Jessica e Ivano in un esilarante amarcord), Gabriele Muccino («questo si mangia tutte le parole, non lo capisco quando parla», dice Carlo), Fabio Traversa.
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