Immagini

TaoFilmFest, buio in teatro

Quali prospettive per la rassegna di cinema? Le contraddizioni dello storico festival siciliano, tra un’anomala formula produttiva e le incognite sul prossimo futuro

L’edizione 68 del Taormina Film Fest (26 giugno – 2 luglio) ha formalmente concluso il triennio affidato alla produzione e all’organizzazione da parte di Videobank. Ma prima di addentrarsi in una valutazione del prodotto festivaliero, è certamente prioritario interrogarsi sull’attuale stato della Fondazione Taormina Arte Sicilia e sulla sua effettiva operatività. La nomina della nuova Sovrintendente Ester Bonafede ha archiviato l’epoca dello storico segretario generale Ninni Panzera e prelude a quella di un ormai prossimo consiglio di amministrazione “palermocentrico” che, da statuto approvato, sarà in nettissima prevalenza – per più di tre quarti – nominato dalla Regione Siciliana e dal suo Assessorato del turismo dello sport e dello spettacolo (con il Comune di Taormina, socio fondatore insieme alla Regione, ancora una volta ospite in casa propria). L’evento cinematografico è, da una decade, di fatto, noleggiato a privati per carenza di risorse e anche questa sembrerebbe una stagione destinata a un naturale tramonto, qualora l’iter amministrativo venisse a breve perfezionato e – con le nomine e l’attribuzione delle risorse adeguate – il festival venisse ricondotto nell’alveo della pubblica amministrazione e nella disponibilità di un Ente senza scopo di lucro. Le dinamiche e gli sviluppi relativi all’edizione 69 sono senz’altro argomento di maggiore e ben più pressante attualità rispetto al residuale valore di quella da poco disputata.

La scena de “Il padrino” di Francis Ford Coppola girata a Savoca

Non andrebbe poi dimenticato che si parla ancora oggi di festival in senso tecnico perché, appena un paio d’anni fa, provvedevamo a reintrodurre il carattere competitivo della manifestazione, oggi puntualmente svilito da una Selezione ufficiale ridotta ad appena sei opere in concorso (a fronte di ben quattro premi, ai quali si sono aggiunti quest’anno il premio del pubblico e quello del sindacato dei critici cinematografici), 3 classici, 4 fuori concorso e 7 titoli al Teatro Antico. Sicuramente la partecipazione – onerosissima e tutt’altro che “amichevole” – di un veterano come Francis Ford Coppola ha svoltato parzialmente le sorti di un’edizione che non avrebbe avuto troppo da dire sul piano dell’audiovisivo ma, quantomeno, ha visto, dopo due anni, il ritorno di un ospite internazionale e di un grande cineasta dopo l’ingiustificabile e inspiegabile digiuno di presenze straniere dell’edizione 67. L’offerta artistica si è rivelata modesta se si tiene conto del fatto che, in assenza di regolamentazione a escludere la possibilità di vittorie plurime, a un singolo film – Boiling Point – sono andati irritualmente ben tre premi principali (tra cui miglior film, migliore regia, migliore attore e premio Sncci) e che nemmeno l’investimento da “all-in” su Coppola è bastato a compensare una Selezione comunque davvero essenziale per sette giorni di evento e una programmazione al Teatro Antico che ha alternato: un classico restaurato come Il Padrino (capolavoro indiscusso ma ai limiti di un improponibile e ancora tragicamente attuale stereotipo), un premiato docufilm su Ennio Morricone che Tornatore ha presentato a Venezia un anno fa accompagnandolo in lungo e largo per tutto lo Stivale e già disponibile in home video, ex calciatori del Mondiale ‘82, un film d’animazione, un bel documentario su Franco Battiato e presenze di interpreti prettamente italiani. E purtroppo i borderò Siae non hanno neppure potuto smentire i prevedibili pronostici della vigilia, che vedevano il Teatro Antico con qualche centinaio scarso di spettatori durante i giorni lavorativi, fatta eccezione per inaugurazione e serata di premiazione comunque lontane dal sold out. Certo è che suona un po’ grottesco ritrovarsi ogni anno a rispolverare gli slogan su rilancio, rifondazione e ripartenza…

Boiling Point

Le potenzialità di Taormina sono e restano enormi. Anche se oggi appare nostalgico guardare al suo festival come a una realtà che si proponeva, un tempo, come alternativa meridionale alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia. E ancora più azzardato appare il paragone con Cannes, Berlino o gli altri festival con effettive ambizioni internazionali, dove a fare la differenza non è soltanto il discrimine dei mezzi e del budget. È semmai una questione di identità, di programmazione. Al di là della storicità, dei fasti passati e dell’attuale fastidiosissima tendenza al sensazionalismo, il festival si colloca nella fascia dei numerosi eventi estivi di portata locale e regionale come ne esistono tanti lungo la penisola. Si dovrebbe, quindi, smetterla di dichiarare impunemente che lo storico festival del cinema non competa con gli altri (realmente) internazionali esclusivamente perché la Regione e gli altri Enti pubblici non ci mettono abbastanza soldi. È vero, e anche abbastanza ovvio. Ma se quelle risorse pubbliche le avessero volute/potute investire, lo avrebbe prodotto direttamente Taormina Arte senza la necessità di appaltarlo a privati – a cui rimpinguare con profitto le casse – e di chiedere a uno sponsor di impegnarsi a devolvere, a prescindere da contributi terzi, 700.000€ annui più canone per l’esercizio del marchio. Questa regola produttiva è stata finora la politica della stazione appaltatrice, sancita da una convenzione tra le parti che nulla ha garantito in cambio. Ci ha pensato, piuttosto, il Governo regionale a devolvere il più alto importo di contribuzione pubblica da una decade a questa parte.

Eppure, nello scacchiere festivaliero il Taormina Film Fest si attesta come solo uno dei tanti eventi italiani, che si rivolge però in prevalenza a un pubblico strettamente locale. E questo ridimensionamento della portata della manifestazione esula dagli effetti della pandemia. Egemonia ormai persa anche nel panorama della programmazione estiva taorminese, dove compete, con crescente difficoltà, con eventi musicali attesissimi – che assicurano grandi incassi e una ricaduta diretta sull’indotto – o con l’inarrestabile ascesa di Taobuk, inaugurato alla presenza del presidente Mattarella. Basti poi pensare alla congerie disorganica di eventi e di date in calendario fissate dalla Commissione Anfiteatro Sicilia che, con un discutibile criterio di assegnazione, non rispetta la volontà dei costituenti il Comitato Taormina Arte che, quarant’anni fa, sancivano il primato e il coordinamento degli eventi di cinema, teatro e musica dell’Ente.

Il regista Francis Ford Coppola, presenza onerosa per la rassegna cinematografica siciliana

Di certo, una promozione così tardiva non è funzionale all’acquisto di pacchetti turistici. Ed è pertanto improbabile che sia proprio il festival a produrre effetti determinanti per l’indotto e a intercettare flussi turistici che non siano di prossimità. A mancare è forse la volontà di rivolgersi a una platea festivaliera internazionale, abituata a ben altri standard e difficile da attrarre in una sede non metropolitana, specie con l’offerta artistica attuale. Nell’ultimo biennio non sono mancate indulgenti attenuanti per cause di forza maggiore. Ma, guardando ad altre realtà, non erano nemmeno poi così fondate. Difficile dire quali siano le prospettive: dovrebbe probabilmente concludersi una decade anomala sul piano organizzativo. Per cinque anni si è proceduto con l’affidamento diretto ad Agnus Dei di Tiziana Rocca e, salvo la parentesi dell’edizione in house del 2017, gli altri cinque è stato nuovamente fatto ricorso a gestioni private con affidamento a mezzo di procedure ad evidenza pubblica in favore di Videobank. Viene quindi spontaneo domandarsi se l’orientamento della Regione sia quello di porre fine a questa anomalia nella formula del sistema produttivo che regge l’evento, con tutto ciò che comporta sul piano economico e organizzativo. Guardando con apprensione al risultato del voto regionale, l’edizione 2023 andrebbe intanto programmata nell’incertezza, in attesa vengano nominati i restanti organi della Fondazione e, quindi, anche la direzione artistica delle varie sezioni.

Secondo lo schema adottato per il triennio, in esito a procedure a evidenza pubblica e ormai concluso, lo sponsor Videobank si impegnava a corrispondere un oneroso canone per l’esercizio del marchio Taormina Film Fest, di titolarità della Fondazione, e a farsi carico di un investimento pari a 700.00 euro per ciascuna delle tre edizioni. Prevedeva insomma che lo sponsor si impegnasse a sostenere interamente i costi dell’evento, salvo poi reperire in autonomia le risorse necessarie a coprire l’investimento. Secondo quanto recentemente dichiarato dagli organizzatori, il budget dell’edizione appena disputata sembra attestarsi intorno ai 400.000 euro, contrariamente alla convenzione originariamente stipulata. In questo clima liberista, è difficile valutare se l’offerta dello sponsor abbia soddisfatto i risultati attesi e oggetto della convenzione. Si sono avvicendate molteplici direzioni artistiche, stravolte linee editoriali e ridefinite le ambizioni internazionali. È difficile stabilire se gli obiettivi prefissati siano stati conseguiti – in assenza di dichiarazioni programmatiche e di un controllo stringente da parte della stazione appaltatrice Taormina Arte o delle istituzioni locali/regionali – mentre ogni scelta, decisione e obiettivo è subordinato ad arbitrarie valutazioni, alla buona volontà e alla disponibilità economica dei privati.

Oggi bisogna prendere atto che la contribuzione pubblica alla realizzazione dell’evento sia abbastanza consistente. Si tratta certamente del contributo più rilevante nell’ultima decade. Tra il sostegno economico fin troppo generosamente e incondizionatamente offerto dalla Regione Sicilia e quello garantito dal MiC, il valore della contribuzione pubblica è oggi quanto meno nettamente superiore rispetto a quello a disposizione della precedente gestione Agnus Dei. Senza voler fare i conti in tasca a nessuno, si dovrebbe in questo senso indagare il rapporto tra finanziamento pubblico, investimenti nella cultura e nelle produzioni di spettacolo, sempre nell’ambito delle politiche regionali. È un dato di carattere politico, oltre che squisitamente economico. Anche nel caso dei Nastri d’Argento saranno certamente prevalse valutazioni di opportunità logistica ed economica. La sostenibilità di un evento va certamente ben oltre il ritorno d’immagine che assicura. Assenti da Taormina per il terzo anno consecutivo nonostante la data del 25 giugno – originariamente riservata nel calendario di eventi al Teatro Antico all’evento del Sngci – sembra abbiano ormai fatto inesorabilmente ritorno a Roma. È avvilente come anche in questo caso la scelta non sia stata accompagnata da un dibattito pubblico, in un senso o nell’altro. Nessuna spiegazione e valutazione è stata fornita da parte di chi organizza o di chi ospitava.

Cosa cambierebbe qualora l’evento venisse ricondotto nell’ambito della pubblica amministrazione? Fino all’epoca della direzione di Deborah Young, chi veniva chiamato a organizzare l’evento rispondeva del proprio operato e non certo della propria buona volontà. In virtù della contribuzione pubblica a favore dell’organizzatore Taormina Arte, il giudizio di merito atteneva unicamente alla genuinità del prodotto e dell’offerta artistica, prescindendo da ogni altra considerazione relativa alle disponibilità e all’impegno dei privati. Una contribuzione progressivamente decrescente che oggi sembra invece registrare segnali di inversione nella tendenza. Il festival dovrebbe, prima o poi, fare ritorno al suo naturale sistema produttivo e sarebbe opportuno rendere conto della sua gestione come avviene in un qualsiasi altro Ente pubblico. Già questo costituirebbe un notevole passo avanti sul piano della serietà e della trasparenza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *