L’atto d’accusa del sassofonista e compositore siciliano durante il concerto con il Francesco Cafiso Nonet, evento che ha chiuso la Festa del Rifugiato a Canicattini Bagni. Un tuffo nelle tradizioni del jazz con alcune fra le più autorevoli espressioni dell’Isola
«Nel capoluogo, a Siracusa, non si fa cultura». È l’atto d’accusa che Rino Cirinnà, uno dei sassofonisti siciliani di statura internazionale, fra più apprezzati in Italia e all’estero, lancia dal palco di via XX Settembre a Canicattini Bagni. È appena terminata la pirotecnica esibizione del Francesco Cafiso Quartet, sigillo di chiusura della serie di eventi della Festa del Rifugiato, quando l’ambasciatore nel mondo della “città della musica”, la New Orleans siciliana, come è definita la cittadina iblea, si toglie il sassolino dalla scarpa.
«È più facile per noi siracusani suonare a Catania o Palermo che nel proprio capoluogo», spiega Cirinnà, direttore artistico della rassegna. «Siracusa è una bellissima città, ricca di tanti tesori monumentali, ma poi c’è il vuoto, non si fa nulla. È una città priva di identità culturale. Ci sono tanti giovani e non sanno dove suonare, devono cercare fortuna lontano dalla loro terra. Nel nostro piccolo, qui a Canicattini Bagni, cerchiamo di portare spettacoli di alta qualità, di fare quello che dovrebbe organizzare una città come Siracusa, che ambiva a diventare capitale della cultura in Italia».
Quei giovani come i talentuosi sassofonisti Fabio Tiralongo (contralto) e Andrea Guglianello (baritono), Boris Latina (trombone) e Matteo Frisella (tromba) che domenica sera si sono affiancati alla superstar Francesco Cafiso, a pietre miliari del jazz siciliano, come Cirinnà e il contrabbassista catanese Nello Toscano, ed a realtà già affermate come il gelese Peppe Tringali alla batteria ed il siracusano Salvo Riolo alla tromba, con in più lo “straniero”, il pianista Jo Debono, punta di diamante della scuola jazz maltese.
Una formazione, quella del Francesco Cafiso Nonet in continua mutazione, diversa da quella che si presenterà venerdì 8 settembre al Palazzo della Cultura, cortile Platamone, di Catania. Non cambia l’obiettivo, che è quello espresso nell’album We play for tips (Suoniamo per le mance), un titolo che deriva da una scritta che i musicisti di strada di New Orleans avevano inciso sui loro berretti. Ed è un viaggio agli albori del jazz, alle radici della tradizione della musica afroamericana. O, come è accaduto domenica a Canicattini, alla riscoperta di capolavori assoluti come Kind of Blue di Miles Davis, dal quale sono stati tratti due pezzi: All Blues e So What. E poi l’afrocubanista Manteca di Dizzy Gillespie, Shiny Stockings di Frank Foster che militò nella big band di Count Basie, Sidewinter di Lee Morgan, tra ballad e song, swing e musical. Evergreen, brani divertenti, musica d’intrattenimento, caratterizzata dallo scoppiettio brillante dei fiati, dalla profondità del contrabbasso, da una ritmica effervescente, da travolgenti assoli che hanno strappato gli applausi e, alla fine, la standing ovation del pubblico che ha assiepato lo spiazzo. Altro che mance. D’altronde, è raro incontrare un tal concentrato del miglior jazz siciliano.
Accade a Canicattini Bagni, cittadina adagiata ai piedi dei Monti Iblei, un altro di quei borghi che cerca di bloccare lo spopolamento (in cento anni ha visto dimezzare la popolazione) puntando sulla cultura, riscoprendo e valorizzando la propria identità. Quella che il capoluogo ha smarrito.